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  • LA MONTAGNA A PAGAMENTO

    5 settembre 2024 • COSE NOSTRE • 1237

    STRADEMONTAGNA

    Come spesso accade, negli ultimi anni, trascorro i mesi estivi fra gite e brevi soggiorni in montagna, mare e collina. Un po’ per lavoro e un po’ per vacanza.

    E ancora una volta mi trovo a fare le solite osservazioni. Nei luoghi di villeggiatura marini, specie nelle regioni del Nord Italia, tutto è a pagamento. Se non decidi di accamparti in qualche centimetro quadrato di spiaggia libera, devi versare fior di quattrini – e i prezzi sono sempre più esosi – per poter godere di un’ ombrellone e di un paio di sdraio. Se invece ti avventuri in un parco di montagna è tutto gratis.

    Eppure mantenere un parco ha dei costi esorbitanti. Ed ecco, allora, che ribadisco una proposta  che non è mia, ma che all’ estero funziona perfettamente. Nei parchi della California, ad esempio, c’ è da pagare per l’ ingresso: un tot a persona e una quota per la macchina, se si percorre una strada carrabile. Quella cifra non va allo Stato, ma resta all’ ente che gestisce il parco, con l’ obbligo di utilizzare quel danaro per mantenere i sentieri in ordine, per creare aree picnic, per realizzare punti di informazione… insomma per migliorare l’ attrattiva di quelle oasi di soggiorno, visita e villeggiatura. In Italia, invece, la montagna è gratis, per tutti.

    Non entro nel merito della questione che da anni alimenta il dibattito sugli stabilimenti balneari e sulle relative concessioni. Mi voglio soffermare, invece, sull’ impossibilità di mantenere gratuita l’ accessibilità per le nostre montagne. Facciamo pagare l’ ingresso, i parcheggi, la fruizione di sentieri e aree boschive per poi offrire servizi di accoglienza adeguati, ma anche per poter punire quelle persone incivili che lordano prati e campi con i loro rifiuti.

    La montagna non può vivere da sola e gratis. Ha bisogno di aiuti e investimenti. Chi ne gode dei tanti benefici è giusto che paghi il giusto.

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  • CANESTRELLI E BALMETTI DI BORGOFRANCO D’ IVREA

    31 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 4402

    canestrelli

    Già nel 1400 durante i giochi per la Pentecoste per pagare gli attorichierici e i saltimbanchi venivano usate le nebule, cialde di farina, zucchero  e burro. Poi con la scoperta dell’ America e l’ importazione del cacao a Borgofranco d’ Ivrea, cittadina nel cuore del Canavese, in provincia di Torino, queste nebule diventarono i canestrelli, il dolce tipico della zona.

    E ancora oggi si segue la ricetta del 1650, ancora tutto fatto rigorosamente a mano in modo artigianale come nelle bottega del canestrello nel cuore di borgofranco d’ ivrea

    Il canestrello può essere abbinato a fine pasto a gelati, a creme, al bunet oppure come pasticceria secca insieme al tè, al caffè o a qualche vino da meditazione.

    Ma trovandoci a Borgofranco noi abbiamo preferito gustarli in un luogo incredibile, i balmetti caratteristiche cantine naturali ricavate nella roccia morenica, la cui origine è molto antica, ancora maggiore a quella dei canestrelli medievali

    All’ interno dei balmetti c’è una temperatura costante fra i 7 e gli 8 gradi, estate e inverno, e si può osservare un fenomeno naturale come la fuoriuscita di correnti d’ aria dalle ore, cavità nella montagna.

    Insomma i classici canestrelli vanno assaporati proprio qui nei caratteristici balmetti di borgofranco d’ ivrea per gustarne appieno  l’ autentica croccantezza

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  • GIROVAGANDO: I VILLAGGI WALSER

    30 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2789

    VILLAGGIWALSER

    Ai piedi del Monte Rosa, da scoprire e ammirare alcuni antichi villaggi Walser. Si tratta di una popolazione di origine Germanica che nel Medioevo migrò verso l’attuale Vallese, fondando una serie di comunità intorno al Monte Rosa, in zone di montagne incontaminate.

    I Walser sono hanno lasciato un segno del loro passaggio con le antiche case per rituffarsi in un passato vero e puro. Parliamo di un popolo dalla grande forza, che ha portato con sé un dialetto specifico, il Titsh, un tedesco antico che si differenzia molto da quello attuale, e la tradizione del Blockbau, la tecnica ad incastro mediante la quale hanno realizzato le loro caratteristiche abitazioni in pietra e legno.

    La casa Walser è infatti realizzata in pietra (fondamenta e piano terra con alloggio) e legno (piano superiore per fienile e deposito). Il tetto, coperto con lose di Ardesia (caratteristica pietra delle Alpi Occidentali) sporge oltre l’abitazione per creare una zona protetta che veniva utilizzata per l’essiccazione dei prodotti agricoli.

    Case da favola che sembrano immerse in un altro tempo e di cui, fortunatamente, rimangono in Piemonte diverse testimonianze.

    Macugnaga è probabilmente una delle testimonianze più importanti di quelle presenze antiche. Nel piccolo comune piemontese, situato ai piedi  del Monte Rosa, si trova la frazione Isella, un villaggio Walser rimasto praticamente intatto come testimoniano il forno comune e la piccola chiesa centrale.

    Un altro luogo ancora oggi visitabile è Rimella, paese fondato nel XIII secolo da popolazioni Walser che mantiene ancora oggi il caratteristico dialetto di origine tedesca. Il piccolo comune della Valsesia ospita il museo Walser più antico del Piemonte.

    Il territorio di Alagna Valsesia fu abitato dalla popolazione Walser. Alpeggi e frazioni scandiscono ancora oggi il territorio di Alagna dove è possibile respirare la tipica atmosfera walser data dalle caratteristiche architetture di pietra, legna e larice.

    Nella provincia di Vercelli si trova Riva Valdobbia, piccolo borgo fondato da gruppi di coloni Walser provenienti da Gressoney-Saint-Jean.

    E poi c’è il comune di Formazza, di lingua e cultura Walser, che fu il primo paese abitato dai Walser a sud delle Alpi. Il piccolo centro abitato è uno dei più settentrionali del Piemonte e ospita un famoso museo per celebrare questa popolazione che ha inevitabilmente segnato tutta la regione. Le visite si tengono tutto l’anno e sono ad offerta libera, basta una piccola somma che potrà aiutare chi ha deciso di tenere in vita questa importantissima parte di storia.

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  • Vicciola, la carne piemontese preferita da Carlo Cracco

    24 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 12145

    Fresh raw beef on cutting board

    In Spagna c’ è il Patanegra, prosciutto crudo d’ eccellenza perchè prodotto con carne di maiali nutriti solo con ghiande. In Giappone il manzo di Kobe: la leggenda vuole che l’alimento principale del manzo sia il grano, insieme alla bitta, e che l’ animale venga massaggiato con del sakè.

    Il Piemonte risponde con la Vicciola, carne di razza bovina piemontese macellata da animali allevati soltanto con nocciole. Tassativamente integre e con un calibro dai 13 ai 15 millimetri.

    Non l’ avete mai provata? Non sapete cosa vi siete persi. Vi dico solo che la tartare di Vicciola è tra i piatti top nel menù nei ristoranti di Cracco.

    Il disciplinare di produzione e macellazione è ferreo e regolamentato dal Ministero delle Politiche Agricole. C’ è una sola azienda in Piemonte autorizzata per questi allevamenti ed è l’ azienda agricola di Giovanni Rossetti a Cavour. A Torino la macelleria Pino di via Cibrario 53 è l’ unica rivendita a servire la Vicciola.

    Ovviamente la qualità della carne per gusto e contenuti nutrizionali (bassissime perecentuali di colesterolo) sono eccezionali. Le fettine, la battuta al coltello, i filetti e i sottofiletti, gli arrosti…tutti tagli straordinariamente magri con un gusto dolce e delicato, una consistenza estremamente morbida dovuta alla sua fibra oleosa (merito appunto delle nocciole, alimento base per i vitelli femmina e i castrati insieme con mais crusca e fieno) e quindi un senso di leggerezza. Un paradiso per i palati, anche i più sopraffini.

    Certamente il prezzo non è come quello della carne degli ipermercati. Ma per una volta…sarà come mangiare da un Masterchef come Cracco.

    Per ulteriori informazioni: www.vicciola.it

    Carlo Castelli

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  • SCAFFALE: CHIABOTTO E I SUOI BUONANIMA

    23 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 961

    buonanima

    Arrivi all’ ultima pagine del libro e lo porgi soddisfatto a chi ti sta accanto, consigliandone caldamente la lettura. 

    Credo che Ernesto Chiabotto, l’ autore del volume “I Buonanima”, sarebbe incredibilmente orgoglioso di quanto accaduto al sottoscritto dopo aver finito di leggere le vicende di Vàule, isolato paesino di montagna e di fantasia,  dove succede qualcosa di inaspettato. 

    A Vàule i morti ritornano. Nulla a che vedere con zombie e affini, perché i “Buonanima” (parola gergale con cui si allude ai defunti) sono davvero particolari e stanno benone.  Odorano di fiori, sfoggiano un linguaggio forbito anziché l’italiano sgrammaticato frammisto al dialetto dei loro compaesani, non hanno necessità di dormire né di bere o mangiare, non avvertono il freddo, sono affamati e assetati soltanto di conoscenza e sono in contatto con il mondo delle creature del bosco.

    Una resurrezione collettiva che provoca imprevisti mutamenti nelle esistenze dei vàulesi e non tutti saranno disposti ad accettarle. Una fiaba che pone gli abitanti di Vaule (e di conseguenza anche il lettore) di fronte a ciò che non si conosce e, quindi, a chi è diverso. Una risorsa o una minaccia? Vàule diventa così la metafora del mondo contemporaneo e alla sua reazione di fronte a ciò che è diverso.

    Ernesto Chiabotto, torinese doc, tocca i temi della cultura e dell’ignoranza, ma anche della religione e della spiritualità, ma affronta soprattutto l’ingerenza della politica, capace di strumentalizzare gli istinti dei paesani, poiché basta “andare dietro agli umori della gente e presentarli come propri” per avere il seguito dell’ opinione pubblica.

    “I Buonanima” è un romanzo da leggere con l’ approccio del racconto fiabesco, ma – senza rendersene conto – alla fine delle 368 pagine si realizza di aver affrontato un trattato di sociologia e di politica.

    Ed è questo il merito più grande del lavoro di Ernesto Chiabotto.

    ERNESTO CHIABOTTO

    I BUONANIMA

    NEOS EDIZIONI

    23 euro

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  • SE UN CANE VALE PIU’ DI UN NONNO

    22 agosto 2024 • COSE NOSTRE • 1013

    anziani

    Arrivano i famigliari con l’anziano al Pronto Soccorso. Dicono che sta male e spesso è vero… Ai sanitari non resta che procedere al ricovero. Li chiamano i “casi sociali” e si ripetono tutti gli anni.

    Perlopiù si tratta di persone non autosufficienti che sono seguite, a casa, dalle badanti.

    Estate, le badanti vanno in ferie, e i famigliari si rivolgono all’ospedale per un ricovero e per poter, anche loro, raggiungere i luoghi di villeggiatura.

    Un’altra situazione? Secondo i dati del Banco Farmaceutico di Torino, in questo 2024 sono 27mila in più le persone assistite rispetto allo scorso anno. Si tratta di rifornimenti di medicinali specifici e di pannoloni, quindi è facile immaginare che siano per persone anziane e non autosufficienti.

    Due esempi per farci dire che… Arriva l’ estate e il nonno non autosufficiente diventa un peso insostenibile, da affidare alla sanità pubblica.

    Sono mesi che siamo bombardati da servizi tv, pubblicità, appelli contro l’ abbandono dei cani. Ne avete sentito uno che inviti a non lasciare soli i nostri vecchi? Nessuno.

    Certo, il cane abbandonato è straziante. Ha quegli occhi tristi, lacrimevoli che fanno tenerezza, e invece il nonno allettato rompe, si lamenta…

    29Spendiamo più per i nostri animali di compagnia che per i figli (che d’ altronde non facciamo più!), diamo più importanza a un cucciolo, che non alle richieste di compagnia dei nostri anziani.  Ci commuoviamo e indigniamo per i maltrattamenti ad un animale e, poi, se un ragazzino viene picchiato e bullizzato, al massimo facciamo un video con i telefonini.

    Questa è la nostra società. Che ci piaccia o no.

     

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  • LA POSTA, TRATTORIA DEI FORMAGGI

    17 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 5613

    formaggio-1

    05Sono tornato alla Trattoria della Posta di strada Mongreno dopo più di 30 anni.  E che sorpresa: nulla è cambiato, pare che il tempo si sia fermato. E lo dico a mo’ di complimento.

    D’ altronde la famiglia Monticone gestisce questa locanda da 3 generazioni, dal 1951. Prima il nonno, poi il papà e adesso Enzo. E’ il trionfo della cucina piemontese tradizionale, di quella buona. Se volete gustare i tipici piatti torinesi non potete non recarvi in questo piccolo locale ai piedi della collina, a pochi metri da corso Casale. Dalla Finanziera alla Bagna Caoda, dal Brasato, che comincia a cuocere alle 6 del mattino per essere pronto a pranzo, per non parlare degli Agnolotti. Una delizia. Pensate che lo chef è andato addirittura a prepararli nella cucina francese di uno chef stellato.

    Discorso a parte meritano i formaggi. Un autentico sogno. I piemontesi ci sono praticamente tutti, dal più delicato agli erborinati più importanti. Ogni giorno decine margari arrivano dalle diverse province piemontesi per fornire il ristorante che ovviamente li mette in bella vista nella splendida vetrina interna. Li potete gustare nei soufflè, negli antipasti ma soprattutto nella ruota, un disco di legno sul quale è servita una scelta di formaggi da mandare in visibilio le papille gustative.

    Un pranzo o una cena e vi sembrerà davvero di tornare alle osterie di una volta, alla piemontese. Ne uscirete molto più che sazi e avrete speso fra i 30 e 35 euro.

    TRATTORIA DELLA POSTA – STRADA MONGRENO 16, TORINO – TEL. 011 8980193

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  • GIROVAGANDO: L’ ABBAZIA DI STAFFARDA NEL SALUZZESE

    16 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 5321

    staffarda

    E’ uno dei gioielli medievali del Piemonte, purtroppo poco conosciuta, anche perchè poco pubblicizzata e non ben indicata nella cartellonistica stradale.

    Antichissimo complesso abbaziale, in quanto fondata tra il 1122 ed il 1138 sul territorio dell’antico Marchesato di Saluzzo. Nel giro di pochi decenni  l’Abbazia benedettina cistercense raggiunse una notevole importanza economica perchè era luogo di raccolta, trasformazione e scambio dei prodotti delle campagne circostanti, rese fertili dai monaci con estese e complesse opere di bonifica. L’importanza economica aveva portato all’Abbazia privilegi civili ed ecclesiastici che ne fecero il riferimento della vita politica e sociale del territorio.

    Nel 1690 i Francesi, guidati dal generale Catinat invasero l’Abbazia distruggendo l’archivio, la biblioteca, parte del chiostro e del refettorio; dal 1715 al 1734, con l’aiuto finanziario di Vittorio Amedeo II,  vennero effettuati lavori di restauro che in parte alterarono le originali forme gotiche dell’architettura.
    Con Bolla Pontificia di Papa Benedetto XIV, nel 1750, l’Abbazia ed i suoi patrimoni divennero proprietà dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro,  ed eretti  in Commenda.

    Del complesso abbaziale si apprezzano in particolare la Chiesa, con il Polittico di Pascale Oddone e il gruppo ligneo cinquecentesco della Crocifissione,  il Chiostro, il Refettorio, con tracce di dipinto raffigurante “L’ultima cena”, la Sala Capitolare, la Foresteria; gli altri edifici costituiscono il cosiddetto “concentrico” di Staffarda, ossia il borgo, che conserva tuttora le  storiche strutture architettoniche funzionali all’attività agricola, come il mercato coperto sulla piazza antistante l’Abbazia e le cascine.

    Questo gioiello cistercense merita davvero una visita per ritornare indietro nel tempo e riassaporare i silenzi della vita dei monaci, ma anche per scoprire le prelibatezze culinarie che ancora oggi vengono preparate e vendute. Prodotti tipici della zona da portarsi a casa senza mancare una visita in una delle tante trattorie che si trovano nei vicini comuni di Revello, Saluzzo, Moretta, Cavour dove potrete degustare pranzi tipici piemontesi con un rapporto qualità-prezzo davvero interessante

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  • IN AUTO COME TARTARUGHE

    15 agosto 2024 • COSE NOSTRE • 914

    autovelox-01

    Rivolgo un caloroso invito ai costruttori di auto. Per quel che riguarda l’Italia, mettete in produzione vetture che non possano andare a velocità superiori ai 70-90 km/orari.

    Lo dico dopo aver girato, nelle ultime settimane, in lungo e in largo il nostro Piemonte. Una macchina che vada più veloce non serve, è perfettamente inutile.

    La ragione? Eccovela.

    La guida è diventata un’autentica gimkana provocata dalla miriade di cantieri stradali, dei quali abbiamo già ampiamente discusso qui, su questa rubrica: Il Punto.

    Ovunque interruzioni, sensi unici alternati, restringimenti di carreggiata… su autostrade, statali, provinciali, comunali, vie di comunicazione importanti e secondarie. Sempre e solo lavori in corso.

    Laddove la strada sarebbe libera, e quindi si potrebbero raggiungere velocità appena più sostenute, ci si imbatte, però, nell’incubo autovelox.

    Veri, finti, fasulli, autentici, mobili, fissi… ce ne sono di ogni tipo. Se, sulla vostra auto, avete il navigatore con quelle simpatiche applicazioni tipo Waze, Google Maps, ecc… è tutto un concerto di bip e voci sintetiche che ci avvertono che siamo in prossimità di controlli della velocità.

    Non entro nella solita polemica se sono installati per la nostra sicurezza o per fare cassa…constato solo che ormai la velocità di guida, in città e fuori, non va mai oltre ai 50 km/orari, di media. Per non parlare dei limiti ai 30 orari, in alcuni centri urbani.

    Ecco il motivo dell’invito  a non costruire più auto veloci, grintose, scattanti. Non ci servono. Meglio che siano comode, confortevoli per viaggiare a velocità di poco superiori a una gita in bicicletta.

    E’ la realtà delle nostre strade.

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  • Carmagnola e la peperonata, un trionfo di sapori

    10 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 6514

    peperoni

    Carmagnola e peperone, un matrimonio che dura da oltre un secolo. La coltivazione dei peperoni fu infatti introdotta in Piemonte agli inizi del ‘900 da un orticoltore di Borgo Salsasio, una frazione di Carmagnola. Il peperone rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia del territorio, ed è conosciuto e apprezzato in tutta Italia per il colorito intenso e vivace, per lo spessore della polpa e il profumo deciso. La qualità elevata, abbinata alla genuinità, ne fanno un fiore all’occhiello della nostra agricoltura.

    Il Quadrato (Braghesis), il Corno di bue (Lung), la Trottola e il Tumaticon, queste sono le sole quattro tipologie che possono fregiarsi della denominazione Peperone di Carmagnola riconosciuta dal Consorzio dei produttori.

    I peperoni sono una fonte di vitamine e, per la loro versatilità, possono essere cucinati in vari modi, ottimi quando sono ripieni di carne, ma anche abbrustoliti sul fuoco e spellati, freschissimi nelle insalate miste e stuzzicanti cotti al forno e conditi con un po’ di Bagna caoda.

    Ma la peperonata è uno dei contorni preferiti da tanti e l’arrivo dei primi freddi scatena una voglia irresistibile. La preparazione è semplice anche se non bisogna avere fretta, i peperoni infatti richiedono un buon tempo di cottura e gli ingredienti devono ben amalgamarsi. La consistenza finale è importante: il sugo deve essere cremoso ma i peperoni non devono essere disfatti.

    Ingredienti per sei persone:

    1 kg di peperoni di Carmagnola rossi, gialli e molto polposi, 400 gr di pomodori pelati, 200 gr di cipolle dolci, 2/3 gambi di sedano, 2 spicchi d’aglio, olio extravergine d’oliva, sale, un ciuffo di basilico (facoltativo).

    Preparazione:

    Pulite l’aglio, le cipolle e il sedano, tagliate tutto a fettine sottili e mettete ad appassire a fuoco dolce nella padella con l’olio extravergine d’oliva per circa 20 minuti. Nel frattempo pulite i peperoni, lavateli, tagliateli a metà, eliminate il picciolo verde, i semi e le coste bianche interne. Tagliateli quindi a striscioline di circa 2 centimetri e quando cipolle, aglio e sedano saranno appassiti, uniteli nella stessa padella. Coprite e lasciate cuocere, sempre a fuoco dolce per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto. Unite quindi i pomodori pelati tagliati in quattro e un buon pizzico di sale grosso, mescolate e fate cuocere lentamente per circa un’ora facendo molta attenzione a non farla attaccare. La cottura sarà ultimata quando il sugo della peperonata tenderà a consolidarsi sul cucchiaio di legno. Come ultima cosa, se gradite, potrete profumare la vostra peperonata con un ciuffetto di basilico. Il vostro contorno è pronto ad essere abbinato ad arrosti di carni bianche o rosse, ma sarà ottimo anche con polpette o hamburger.

    Un consiglio: lasciate raffreddare la peperonata e gustatela su fette di pane tostato su cui avrete dato una leggera grattata d’aglio, potrebbe sorprendervi!

    Patrizia Durante

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