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  • GIROVAGANDO: TORRE PELLICE E I VALDESI

    11 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2799

    torre pellice2

    Da parecchi anni nelle ultime settimane di agosto Torre Pellice è al centro dell’ attenzione per l’ annuale Sinodo delle Chiese Valdesi e Metodiste. Può essere l’ occasione per visitare e scoprire una cittadina e un territorio carichi di fascino e di storia.  Dalla borgata Ruà, situata su di un promontorio, si gode una vista panoramica sulla vallata. La borgata dei Coppieri, un tempo il limite del ghetto in cui erano confinati i Valdesi, è oggi un vero e proprio villaggio completamente ricostruito.

    Le prime notizie  di Torre Pellice (che oggi conta circa 4500 abitanti) risalgono a un atto del 1186, e all’inizio del Dodicesimo Secolo la valle iniziò a popolarsi di Valdesi, in fuga dalla vicina Francia. Per secoli e secoli i Valdesi subirono persecuzioni e guerre, ma nel Settecento queste si attenuarono, anche se i Valdesi non potevano ancora ricoprire cariche istituzionali, destinate ai pochi cattolici, né celebrare il culto in pubblico. Finalmente, il 17 febbraio 1848, Carlo Alberto pose fine per sempre alle discriminazioni con l’  Editto di Pacificazione. Quel giorno, l’evento venne segnalato a tutti gli abitanti della valle, anche quelli che abitavano nelle borgate più isolate, con l’accensione di fuochi che potevano essere visti da grande distanza. Da allora, tutti gli anni i Valdesi ricordano l’evento ritrovandosi numerosi ed accendendo dei grandi fuochi all’aperto nella valle, la notte tra il 16 e il 17 febbraio.

    Nel 1700 o ebbe inizio il processo di industrializzazione di Torre (la prima filatura della seta è del 1760), che la portò, nel secolo successivo, a diventare il capoluogo della valle.

    Edifici e istituzioni di Torre Pellice testimoniano la sua realtà di capitale del mondo valdese. Si possono ricordare la Foresteria, il Museo con una ricca documentazione storica e etnografica, la Casa Valdese che ogni anno ospita il Sinodo, il tempio neo-romanico del 1852, il Collegio e il Convitto Valdese eretto in memoria dei 500 Valdesi caduti nella Prima Guerra Mondiale, la Casa Valdese della Gioventù e la Casa delle Diaconesse, sede centrale delle sorelle infermiere all’opera nei numerosi istituti di assistenza.

    La città ha due importanti biblioteche, una annessa al Museo, con oltre ventimila volumi, e un’altra presso la Casa Valdese che conserva oltre cinquantamila libri. Presso il Collegio Valdese si trova l’Erbario Rostan, che raccoglie la flora alpina delle valli pinerolesi.  In posizione dominante si trovano i ruderi del forte di Santa Maria. E infine La Galleria Civica d’Arte Contemporanea raccoglie circa quattrocento opere di pittura, scultura e disegno di artisti italiani del dopoguerra.

    Per gustare la cucina tipica delle Valli Valdesi non mancano i ristoranti che propongono il Seirass del Fen cioè la classica ricotta stagionata della zona, la minestra di castagne e latte, il pollo ripieno di verdure, il miele, i torcetti e la torta Gianduja.

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  • RISTORANTI STELLATI, UNA RICCHEZZA PER TUTTI

    10 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 448

    STELLAMICHELIN

    Ogni volta che si parla di ristoranti stellati si diffonde una strana atmosfera. “Quella è roba solo per ricchi, per gente che ha soldi da buttar via”,  “Io mangio divinamente in trattoria con 30-40 euro”: spesso mi sento rispondere così mentre racconto di servizi realizzati nei locali di chef pluripremiati e dove si spende quasi mezzo stipendio per una cena.

    Ed è vero. Abbiamo la fortuna di vivere in una regione dove si mangia bene quasi ovunque e a prezzi abbordabili.

    Ma l’avere, in Piemonte, 40 ristoranti stellati è una ricchezza da non sottovalutare.

    E’ stato infatti calcolato in 53 milioni di euro il valore economico indotto che ricade sul territorio da questi locali premiati. Non stiamo parlando solo degli incassi degli “stellati”, ma della spesa sostenuta dagli ospiti negli hotel, nei bar, nelle enoteche, nei negozi gourmet, nei servizi.

    Insomma, chi viene in Piemonte per mangiare da uno chef famoso, non si limita a consumare il lauto pasto e pagare il salato conto, ma – quasi sempre – fa un giro per la città, fa acquisti, sovente prende contatti per poi tornare… è una ricchezza per tutto il territorio.

    Tra qualche settimana, in novembre a Modena, verranno resi noti gli stellati 2024. Attualmente il Piemonte è quarto nella classifica per regioni, dopo Lombardia, Campania e Toscana, con il 10 per cento dei Premi Michelin in Italia.

    La nostra quota salirà o scenderà? Chissene….? Assolutamente no! Non è soltanto una classifica per ricchi, ma – come abbiamo cercato di spiegare – è fonte di reddito per l’intera regione.

    Quel che è quasi certo è che Torino, ancora una volta, non avrà il massimo riconoscimento con un ristorante 3 stelle. Alla città manca un due stelle dal 1995, cioè da quasi 30 anni. E parliamo della Vecchia Lanterna. L’ennesima dimostrazione delle difficoltà che sta vivendo il capoluogo piemontese, e della poca attrattiva che ha, per gli investitori del settore ristorazione, rispetto ad altre zone del Piemonte.

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  • I DOLCI DI LANGA DEL PASTICCERE BARROERO

    5 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2607

    nocciole

    Alta Langa è sinonimo di noccioleti, le nocciole sono sinonimo di dolci. Stefano Barroero vive con la sua famiglia da 15 anni in Alta Langa, nella frazione Viarascio di Cortemilia, ha una dozzina di ettari tutti coltivati a nocciole e con 400-500 quintali di prodotto fresco e genuino  produce ogni anno circa 150mila torte di nocciole, insieme con altri dolciumi come i brutti ma buoni, i baci di dama, vari tipi di  biscotti, creme e altre bontà  tutte a base di questo prodotto della terra di Alta Langa

    “Non esistono dolci di Langa senza nocciole, come le mandorle al Sud, qui al Nord le nocciole – dice Barroero – ed è stato stabilito che la nocciola di Alta Langa ha qualità migliori di quelle turche, argentine, ecc”

    Le nocciole vengono raccolte verso fine agosto, immagazzinate nei silos, selezionate per dimensioni e per qualità, sgusciate, tostate e poi nei laboratori della Pasticceria Barroero, ricavati dentro vecchie cascine, comincia la produzione di torte e altri dolciumi

    La nocciola per questi territori, segnati fino a qualche decennio fa dalla Malora di Beppe Fenoglio, è segno di riscatto, di orgoglio, di ricchezza:  “E’ indescrivibile il valore della nocciola nell’ economia e nella storia di Langa, la sua coltivazione ha contribuito a ridurre lo spopolamento di queste colline” spiega Ginetto Pellerino, Gran Maestro della Confraternita della Nocciola.

    Con la nocciola si produce la famosa torta di Cortemilia, ma anche la crema gianduja, i baci di dama, i brutti ma buoni e altri dolci.

    Ma c’è anche un’ ultima fresca novità: Isabella Barroero, moglie di Stefano ha creato i tajarin con pasta di nocciole.

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  • SCAFFALE: I LEONI SENZA CONFINI DI ALESSANDRO MELLA

    4 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 670

    LEONISENZACONFINI

    Un nuovo libro, un nuovo repertorio, nato dalla penna di Alessandro Mella, storiografo e divulgatore canavesano, per Marvia Edizioni (marviaedizioni@marvia.it). Dedicato ad un periodo difficile e lungo. Quello che andò dal 1885 al 1914, negli anni di Crispi e Giolitti, fino alla vigilia della Grande Guerra.

    Una fase caratterizzata dall’infelice esperienza dell’espansione italiana in Africa, dal conflitto con l’impero Italo-Turco e dalla missione in Cina al tempo della rivolta dei Boxer.

    Un volume ricco di storia e di storie: “Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, in epoca umbertina e vittorioemanuelina, il nostro paese si affacciava al resto del mondo secondo le consuetudini geopolitiche dell’epoca. In tempi in cui le relazioni internazionali si misuravano anche sulla capacità degli stati di intervenire oltre i propri confini o di consolidare la propria influenza in Africa od in Asia. Anni difficili in cui, tra tante contraddizioni, emersero anche figure di enorme valore personale. Italiani che combatterono e fecero del loro meglio sugli altipiani etiopi, le coste somale e perfino ai piedi della Grande Muraglia, in Cina, distinguendosi in circostanze spesso difficili ed estreme come del resto furono quei contesti controversi”.

    Aprono il volume una prefazione dello storico Aldo A. Mola ed un’introduzione del generale Carlo Maria Magnani presidente dell’Istituto del Nastro Azzurro fra Decorati al Valor Militare. Proprio Aldo A. Mola ha scritto nella prefazione: “Il volume comprende tre sezioni. Il primo è un florilegio di biografie, accompagnate da sintetiche considerazioni storiche e storiografiche, narrate con perfetto inquadramento del biografato nel suo contesto territoriale, familiare e sociale, preliminare al suo percorso specifico, e concluse con considerazioni morali e, quando opportuno, con le motivazioni delle decorazioni ricevute per la sua valorosa condotta. Sono “Bozzetti” che richiamano i repertori biografici ottocenteschi di Mariano d’Ayala e di Atto Vannucci e, più addietro nel tempo, alle “vite dei santi” (…).  Con la misura sommessa che gli è abituale, Mella conduce il lettore alla riflessione storica attraverso i profili di figure apparentemente minori e minime: medici, sacerdoti, artigiani, “piccoli borghesi”, figli di militari o già da tempo in servizio, che, per obbligo o per scelta, presero parte alle spedizioni italiane dal Mar Rosso alla Somalia e alla Cina, ove all’inizio del Novecento il governo di Roma riuscì a ottenere la concessione di Tien-Tsin, ove fu rapidamente edificata una casermetta per otto carabinieri: segnacolo della Patria lontana. Indirettamente Mella propone al lettore molti temi di vasta portata”.

    ALESSANDRO MELLA

    LEONI SENZA CONFINI

    MARVIA EDIZIONI

    18 euro

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  • E SE CI COMPRASSIMO UNA MASERATI?

    3 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 645

    AUTO

    La Volkswagen prepara dai 15mila ai 30mila licenziamenti. Mancano le vendite di circa mezzo milione di vetture e quindi la minaccia è quella di passare alla linea dura, con il taglio di almeno un quarto dei 130mila dipendenti.

    In Piemonte non c’è solo la crisi dell’automobile, core business del comparto metalmeccanico regionale, ma anche quella di altri settori, come tessile e siderurgico, con gli stabilimenti ex Ilva di Novi Ligure e Racconigi, da tempo in profonda crisi. Secondo un’indagine della Fim Cisl regionale, in Piemonte sono oltre 10 mila i posti di lavoro del comparto metalmeccanico che rischiano di svanire. A Mirafiori nuova cassa integrazione in arrivo per le Carrozzerie. Tanto che, in uno scenario nerissimo, da qui a fine anno gli operai sulla linea della Fiat 500e lavoreranno per appena dodici giorni, quattro settimane al massimo. Nel contempo, sempre a Mirafiori, lavora e lavorerà a pieno ritmo, invece, il reparto eDct, quello delle trasmissioni per i veicoli elettrici.

    C’è preoccupazione e incertezza nel mondo dell’automobile. Da un  lato si chiedono ancora incentivi: ma li chiedono anche il commercio, l’agricoltura, l’editoria, l’industria del turismo e dello spettacolo… insomma, un po’ tutti. Possibile che non ci sia un settore produttivo in grado di camminare con le proprie gambe? Tutti sempre a “puppare” soldi dallo Stato. Stato che poi aumenta le tasse e quindi è un gatto che si morde la coda.

    Forse è giunto il momento di ripensare completamente al mondo dell’automobile. Capisco quanto sia difficile,  soprattutto per il Piemonte, che rappresenta uno dei territori a più alta vocazione metalmeccanica d’Europa. Ma occorre pensare a qualcosa di diverso e non sperare ancora in aiuti statali, incentivi o quant’ altro.

    D’altro canto c’è poco da essere ottimisti se il mondo dell’auto è affidato a personaggi come quei manager che, nelle settimane scorse, hanno inviato una mail aziendale ai dipendenti Stellantis (quelli di Mirafiori di cui parlavamo qualche capoverso fa) con la proposta di acquistare – a condizioni di favore – una Maserati Grecale, Gran Cabrio o Gran Turismo, quindi vetture tra gli ottantamila e i centoventimila euro, cioè tra gli ottanta e i centoventi stipendi netti. Uno scherzo? Proprio no.

    La mail si concludeva così:  «la nostra straordinaria gamma ti aspetta!».

    Ridiamo per non piangere.

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  • CHE BONTA’ LE CHIOCCIOLE DI CHERASCO

    28 settembre 2024 • CINQUE SENSI • 2013

    LUMACHE CHIOCCIOLE

    Guai a chiamarle lumache. A Cherasco, storica cittadina cuneese, per tutti sono le chiocciole e ne hanno fatto un vero core business, inventando il metodo Cherasco per l’ allevamento, la coltura, la lavorazione, l’ utilizzo in cosmesi e  farmaceutica e ovviamente in cucina. Gustose, croccanti, nutrienti, poco caloriche possono entrare nei primi piatti, nei secondi, ma anche nelle pizze, nei burger, nelle insalate. Insomma, sono infiniti i modi di cucinare e servire le chiocciole

    In realtà l’ elicicoltura è diffusa in tutta Italia: 1500 allevatori di chiocciole con un indotto che complessivamente impiega 10mila persone per un giro d’ affari di 350 milioni di euro l’ anno. Produciamo però soltanto il 20 per cento del nostro fabbisogno, incrementando gli allevamenti potremmo arrivare a dar lavoro a 100mila persone.

    A Cherasco in autunno c’ è un Festival della Chiocciola ma c’ è anche la sede dell’ Istituto Internazionale di Elicicoltura dove questi animaletti vengono allevati in appositi recinti, poi portati nel centro dove comincia la lavorazione. Con la bava si possono ottenere prodotti per la cosmesi (eccezionali creme antirughe) ma anche per la farmaceutica. Insomma, da quel piccolo animaletto – proverbiale per la lentezza e per la sua vita sempre con la casa appresso – nasce un’ economia elicoidale che coinvolge e dà ricchezza a 13 settori.

    Ma è in cucina che la chiocciola di Cherasco vive il suo trionfo: basta provare qualcuno dei tanti menù proposti dai locali ristoranti per innamorarsi di questo piatto.

     

     

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  • GIROVAGANDO…IL CAMPANILE GRISSINO A TORINO

    27 settembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 3966

    NOSTRA SIGNORA DEL SUFFRAGIO

    Girovagando per  Torino vi capiterà di osservare la città dall’ alto e da qualsiasi punto vi  salteranno subito agli occhi la Mole Antonelliana insieme a qualche grattacielo, vecchio e nuovo, e quel campanile così strano. Lungo come un grissino, colorato, illuminato di notte, davvero una costruzione insolita.

    E’ la torre campanaria della chiesa dedicata a Nostra Signora del Suffragio, impropriamente detta di Santa Zita, di via San Donato 33, nell’ omonimo quartiere a poche centinaia di metri da piazza Statuto. Fu aperta al culto il 1 novembre 1876 dopo 13 anni di lavori ed era la casa madre dell’ ordine religioso di suore fondato da Francesco Faà di Bruno. Generale dell’ Esercito, matematico, astronomo…insomma una personalità eclettica prima della sua dedizione totale alla chiesa e ai poveri. Nominato beato da papa Giovanni Paolo II nel 1988 e le sue spoglie riposano proprio nella chiesa di via San Donato.

    Quell’ edificio fu costruito dal Faà di Bruno e le sue capacità tecnico scientifiche si rivelano soprattutto osservando il campanile che domina la cupola in stile romanico-bizantino. La torre è alta 75 metri mentre la base è un quadrato di soli 5 metri per lato. Insomma, un vero grissino.

    La cella campanaria non si trova in cima come in tutti i campanili, ma a metà. Trentadue colonne metalliche sorreggono la cella per non ostacolare il propagarsi delle onde sonore delle campane che a mezzogiorno arrivano in tutto il quartiere di San Donato nonostante il caos odierno.

    In cima c’ è un osservatorio astronomico dove lavorava Francesco Faà di Bruno, oggi in disuso, e un orologio con quattro quadranti illuminati anche di notte, utilissimi quindi a tutti agli abitanti del borgo.

    Sulla guglia una statua dorata di San Michele Arcangelo nell’ atto di suonare la tromba.

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  • LEI È STATA DAVVERO UNA GRANDISSIMA DONNA

    26 settembre 2024 • COSE NOSTRE • 659

    romanablasottipavesi

    Le cronache quotidiane ci presentano tantissime figure di donna, le più svariate. Dalla cronaca come dal gossip, dallo spettacolo come dalla politica, dallo sport come dall’ industria. Alcune esemplari, altre meno…Non sta a me giudicare. E non entro in questa spinosissima questione.

    Voglio ricordare invece la figura di una donna vera: per me, lei è stata davvero grande, un’ eroina. L’ho intervistata più volte e quegli occhi, quello sguardo, quella fierezza li porterò sempre nel cuore.

    È Romana Blasotti Pavesi, per tutti la Romana di Casale Monferrato. Un nome che ai più non dirà nulla, ma la sua è una storia da raccontare e conoscere: la storia di una vera eroina, suo malgrado, dei tempi moderni.

    È stata la donna simbolo della lotta all’Eternit.  Una vita segnata dal dolore, colpita negli affetti più cari, perché la micidiale fibra d’amianto le ha tolto il marito Mario (scomparso nel 1983, a 61 anni), operaio Eternit, la sorella Libera (morta nel 1990, a 59 anni), la figlia Maria Rosa (deceduta nel 2000, a 50 anni). Da questi dolori terribili Romana ha tratto forza per una lotta che ha portato avanti per decenni, ispirata da un profondo desiderio di giustizia contro il male che la sua città, Casale, ha dovuto subire a causa dell’Eternit.

    Battaglie che l’hanno vista per 30 anni essere la guida e presidente dell’Afeva – Associazione Familiari e Vittime dell’amianto – di cui ha mantenuto la presidenza onoraria fino alla morte, nei giorni scorsi, a 94 anni.

    Una lotta per dare giustizia alle migliaia di vittime del mesotelioma pleurico (malattia terrificante provocata dalle fibre di amianto). E a Casale si continua a morire, anche se l’Eternit è chiusa dal 1986. Ma quella fabbrica ha diffuso nell’aria le sue polveri micidiali dal 1907 in avanti, seminando morte e dolore.

    Mentre le tv si contendono interviste a vari tipi di donna e le prime pagine dei quotidiani sembrano diventate copertine di riviste di gossip, che si intrufolano sotto le lenzuola, noi vogliamo ricordare la Romana di Casale Monferrato. Davvero, una grandissima donna.

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  • LA ZUCCA, STORIA E RICETTE

    21 settembre 2024 • CINQUE SENSI • 4100

    zucca

    Le origini della zucca sono sconosciute ma, dai reperti trovati, è certo che la sua coltivazione e l’uso fossero diffusi già presso gli Egizi, i Romani , gli Indiani d’Oriente, gli abitanti del Niger e gli Africani, anche se in varietà diverse da quelle in uso oggi.

    Gli antichi Romani le svuotavano della polpa e le essiccavano, per ricavarne contenitori leggeri e impermeabili per  vino, acqua, sale, latte o cereali. Erano qualità originarie dell’India. Ma le zucche attualmente presenti nelle nostre coltivazioni e sulle nostre tavole, da dove provengono?

    Sono originarie dell’America Centrale dove sono stati ritrovati semi risalenti al 7.000 AC.

    In Nord America la zucca era l’alimento base degli Indiani e, proprio da loro, i coloni ne appresero la coltivazione e il consumo. Attraverso l’importazione arrivarono quindi in Europa le qualità di zucca grande come la Pepo, la Maxima e la Moschata, da queste ne sono derivate le specie più diffuse e consumate nel nostro territorio, anche se il consumo era maggiore negli anni ‘60/’70.

    Nei paesi anglosassoni è uso diffuso utilizzare grandi zucche per la preparazione della Jack-o’-lantern, caratteristica lanterna rudimentale utilizzata durante la festa di Halloween per cacciare gli spiriti maligni che, secondo la leggenda, vagano sperduti sulla terra. Si narra che, se una persona o un animale posseduto da questi spiriti si avvicina a una casa in cui è presente una zucca/lanterna, quest’ultima si illumina d’azzurro intenso e lo spirito viene intrappolato dalla fiamma.

    Con il termine zucca vengono identificati i frutti di diverse piante appartenenti alla famiglia delle Cucurbitacee, in Italia il periodo di raccolta va da settembre a tutto novembre. La zucca, ma soprattutto i suoi semi, hanno notevoli proprietà terapeutiche, sono infatti utili per combattere la colite e altri disturbi del tratto intestinale , l’insonnia, l’ipertrofia prostatica e addirittura la tachicardia.  E’ inoltre un ortaggio che si  presta a mille ricette: si consuma cucinata al forno, al vapore, nel risotto o nelle minestre, è ottima fritta in pastella e molto conosciuti e appetitosi sono i tortelli mantovani. Dai semi si ottiene un olio rossiccio usato in cosmesi e in cucina. Gli stessi semi sono deliziosi tostati e salati.

    Sono veramente molti i modi di impiegare in cucina la polpa di zucca, ma la nostra scelta è caduta sulla ricetta dell’ottima torta alla zucca. Una parentesi golosa ricca di gusto e proprietà benefiche:

    Torta alla zucca:

    Per la base

    Ingredienti: 200 gr. di farina,100 gr. burro freddo, 1 tuorlo d’uovo, 1 pizzico di sale, 3-4 cucchiaini d’acqua.

    Preparazione: nel frullatore mischiare la farina, il burro, il tuorlo, l’acqua e il pizzico di sale. Azionare il frullatore solo per 5/6 secondi alla volta. Quando l’impasto risulterà granuloso, togliere dal frullatore e finire di impastare a mano. Far riposare in frigo per 15 minuti.

    Per il ripieno

    Ingredienti: 1 Kg zucca non acquosa (preferibilmente di pasta gialla), 150 gr di zucchero, 3 uova intere, 1 cucchiaio di farina (setacciata onde evitare i grumi), 1 cucchiaino di cannella in polvere, 1 dl. di latte,10 amaretti, la buccia di 1 limone.

    Preparazione: far cuocere la zucca a pezzi nel forno per 30 minuti oppure farla saltare in una padella antiaderente senza aggiungere nulla (ne burro, olio o acqua).Quando sarà cotta frullarla con l’aiuto del frullatore.Quando si sarà intiepidita, aggiungere le uova, lo zucchero, la farina, la cannella, il latte e la buccia del limone grattugiata finemente.

    Preparazione torta

    Con l’impasto per la base, foderare la tortiera imburrata e infarinata con la pasta di uno spessore di circa 3/4 mm. e lasciare i bordi alti 2 cm. Bucare il fondo dello stampo con una forchetta. Cospargetelo con gli amaretti tritati, versare il composto. Infornare per 50 minuti a 180∞ ( con il forno già a temperatura). Servire fredda e a piacere decorare con alcuni ciuffi di panna montata fresca.

    Patrizia Durante

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  • SCAFFALE: DI VIOLE E LIQUIRIZIA DI ORENGO

    20 settembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2043

    Di viole e Liquirizia

    Il titolo è  già  un programma. Ti immerge subito in un fascino di profumi. La lettura, poi, ti porta in un meraviglioso mondo di sapori e percezioni olfattive e visive.

    Nico Orengo, scrittore torinese  scomparso nel 2009, per una volta abbandona i suoi  luoghi preferiti, fra Piemonte, Liguria e Costa Azzurra. Questo “Di viole e liquirizia”, pubblicato nel 2007  da Einaudi, e riedito adesso da Gedi, è ambientato in Langa, fra Alba e le terre del Barolo. Anche se una capatina fino a Nizza, in Francia,  il protagonista se la concede.

    Daniel è  un sommelier parigino che – chiamato a Alba per una serie di degustazioni – si trova catapultato in una saga familiare, ma anche nelle vicende umane di una terra  che, dopo i tempi della malora di Fenoglio, si trova adesso a vivere nella ricchezza e nello sfarzo. Ma più  che la trama, in questo romanzo di  Orengo, a catturare il lettore  sono le descrizioni dei vini, i sapori e  gli odori delle vigne, l’ombra delle colline, la scontrosità dei personaggi.

    Insomma, più  che un romanzo è un viaggio in Langa.

    NICO ORENGO

    DI VIOLE E LIQUIRIZIA

    EINAUDI EDITORE

    15 euro

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