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  • ALLUVIONE DEL 94, COSA E’ CAMBIATO?

    7 novembre 2024 • COSE NOSTRE • 574

    Alluvione-del-Piemonte-del-5-Novembre-1994

    Sono passati già 30 anni. Erano i primi di novembre, quelli che vengono dopo i Giorni dei Morti. E cominciò a piovere. Tanto, tantissimo.

    Le province di Cuneo, Torino, Asti e Alessandria furono pesantemente colpite da un violento evento alluvionale, che causò l’esondazione dei fiumi Po, Tanaro e molti loro affluenti (in particolare il torrente Belbo), causando 70 vittime e più di 2000 sfollati. Dopo 3 giorni di piogge continue (oltre 600 mm in 48 ore) il Tanaro crebbe a livelli spaventosi. Un’onda di piena si formò il giorno 5 novembre a Ormea e, correndo verso valle, devastò con furia inaudita tutto il suo corso e decine di centri abitati lungo le sponde, sino a giungere presso la confluenza nel Po alle prime ore del giorno 7 novembre. Anche il Grande Fiume esondò, seminando distruzione. Colpite furono le città di Ceva, Alba e Asti, inondate per un terzo della loro superficie e soprattutto Alessandria, sommersa quasi per il 50% del territorio, lì persero la vita 14 persone. La furia delle acque spazzò via tutto.

    In questi giorni diverse località nei territori devastati organizzano commemorazioni e ricordi dell’alluvione del ‘94.

    In quell’ epoca ero cronista per l’Agenzia Ansa e percorsi nel fango tutto il Sud Piemonte. Ancora oggi mi vengono le lacrime agli occhi nel ripensare e rivedere quei paesi invasi dall’acqua, con quella forza spaventosa che porta via tutto. Risento il rombo della corrente sotto i ponti. Mi torna nelle narici l’odore del fango che ha invaso gli stabilimenti della Ferrero ad Alba. Non riesco a scordare la disperazione di famiglie che hanno perso tutto.

    E mentre penso a tutto ciò. ecco che la televisione mi ripropone le medesime immagini, dall’Emilia Romagna, dalla Liguria, dalla Toscana, da altre zone d’Italia.

    30 anni passati inutilmente? Quando piove finiamo sempre sott’ acqua?

    Nel 1994 ricordo che la tragedia fu causata dalle mancate comunicazioni: i Comuni a monte dovevano lanciare l’allarme per le piene di torrenti e fiumi, via fax, ai Comuni a valle. Ma il tutto accadde tra sabato e domenica quando gli uffici erano chiusi e nessuno lesse i primi fax. Adesso la tecnologia ha fatto passi da gigante, eppure sembra che questa povera Italia non abbia imparato niente.

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  • MENU’ PIEMONTESE PER LE FESTE DEI SANTI

    2 novembre 2024 • CINQUE SENSI • 2689

    CISRA

    Ognissanti, una festa con origini profonde e antiche, così come sono antiche le tradizioni che l’accompagnano e che non ne vogliono sapere di cedere il passo alla festa commerciale e urlata importata dagli States. Insomma, da buoni piemontesi vogliamo resistere e conservare i sapori e le usanze di una volta.

    Le origini contadine della nostra regione sono quelle che maggiormente contraddistinguono questa festività che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, rappresentava un momento di grande vicinanza ai defunti, ma anche il passaggio tra la bella stagione del lavoro e dei raccolti, al momento di riposo delle campagne.

    E’ il capodanno agricolo e pastorizio che segna la fine della vendemmia, il rientro delle mandrie dai pascoli estivi e il ritorno della gente nelle case, al riparo dai rigori dell’inverno. Ma nei secoli passati era considerato, molto più di oggi, un periodo di meditazione interiore e quindi di contatto con l’aldilà, da qui l’esigenza di celebrare con riti significativi e propiziatori la conservazione della fertilità della terra, della salute degli uomini che dovevano superare la stagione gelida e oscura.

    Nelle campagne e nelle vallate piemontesi, nella sera d’Ognissanti, era usanza recarsi in visita al cimitero lasciando la tavola imbandita, in modo che le anime dei defunti postessero  rientrare nelle loro case e banchettare; il ritorno dei vivi nelle abitazioni veniva annunciato dal suono delle campane, così che i defunti potessero dileguarsi. Era anche usanza recitare il rosario tra parenti e concludere con una cena in famiglia. In molti luoghi era ben augurante lasciare a tavola un coperto vuoto dedicato ai defunti.

    La tradizione della zucca illuminata, come promessa di resurrezione, è viva anche in Piemonte, accompagnata da quella della zucca essiccata e riempita di vino che simboleggia la consolazione.

    Il piatto tipico regionale per la notte di Ognissanti è la Cisrà, un antichissimo piatto della tradizione culinaria delle Langhe ma diffuso in tutto il Piemonte. Si tratta di una zuppa a base di ceci e verdure a cui si aggiungono o le costine di maiale o trippa. La tradizione vuole che questa zuppa fosse offerta calda e fumante, dalla Confraternita dei Battuti (i penitenti), ai pellegrini che si recavano in paese per assistere alle funzioni religiose e visitare l’ultima fiera autunnale, l’ultimo mercato prima dell’inverno.

    Ricetta della Cisrà: 400 gr di trippa o costine di maiale, 200 gr di ceci secchi, 200 gr di patate, 400 gr di porri, 2 gambi di sedano, 1 carota, 1 cipolla bianca, mezzo cavolo verza, sale, pepe nero, rosmarino, olio extravergine di oliva.

    Preparazione: Mettere i ceci in ammollo in acqua tiepida almeno una notte prima della preparazione per ammorbidirli. Far rosolare la cipolla tritata nell’olio d’oliva, aggiungere i porri, le patate, il cavolo, il sedano e la carota, il tutto tagliato finemente. Fate soffriggere 10 minuti coperto e mescolando, quindi aggiungere la trippa (o le costine) e i ceci scolati dall’acqua della notte, fate insaporire per qualche minuto a fuoco vivace. Coprite poi con acqua calda, sale e pepe con il rosmarino tritato finemente, portate ad ebollizione, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per almeno tre ore, mescolando di tanto in tanto. Aggiustate di sale e servite, volendo si può aggiungere una spruzzata di parmigiano.

    E come in tutte le feste, non possono certo mancare i dolci. In Piemonte è tradizione preparare gli “os d’ mort”, piccoli biscottini a forma di tibia che, con molte varianti, sono presenti in tutta la regione, ma anche nel resto d’Italia.

    Ricetta degli os d’ mort: 250 gr di farina, 100 gr di nocciole tostate, 100 gr di mandorle dolci, 400 gr di zucchero, 2 albumi, il succo di un limone, burro per ungere la placca, farina per la lavorazione

    Preparazione: Scaldate il forno a 180°. In una ciotola ampia mescolate la farina con lo zucchero e gli albumi, profumate con il succo di limone, aggiungete le nocciole e le mandorle tritate grossolanamente e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo ma piuttosto sodo. Su un piano di lavoro allungate l’impasto per formare un serpentello che taglierete a fettine sottilie lavorerete per formare delle piccole ossa. Disponete i biscotti sopra una placca imburrata e infarinata e passateli in forno per 20 minuti circa. Teneteli d’occhio e toglieteli quando sono dorati. Sfornateli e lasciateli raffreddare.

    Buon appetito e buona festa di Ognissanti a tutti.

    Patrizia Durante.

     

     

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  • SCAFFALE: MACCIOCU E TORTA “COME LUPO NELLA PIOGGIA”

    1 novembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 764

    LUPO

    “Come lupo nella pioggia” è un romanzo complesso, in poco più di un centinaio di pagine, i due autori, Maria Antonietta Macciocu ed Ernesto Torta, con scrittura semplice, senza sbavature e mai banale, riescono a mettere nero su bianco un caleidoscopio di molti vizi e pochissime virtù, tipiche dell’animo umano.

    La cittadina marchigiana di Jesi, la sera dell’inizio della stagione lirica al Teatro Pergolesi inaugurata con l’opera verdiana “Il Trovatore”,  viene rinvenuto il cadavere Rose Gili, bellissima e misteriosa zingara. Dell’omicidio viene accusato un pakistano, ritrovato vicino al cadavere nell’atto di estrarre un coltello dal corpo della bella sinti e suo vicino di casa di casa. Tutto sembra risolto, con buona pace dei cittadini allarmati. Ma un paio di occhi ha visto qualcosa che potrebbe scuotere la buona società di Jesi.

    Straordinario, nella trama del romanzo, il parallelo con l’opera di Verdi: la zingara e la sua comunità, la gelosia, la paura del diverso, segreti inconfessati e inconfessabili, l’abuso di potere, bambini scambiati in culla… Il racconto segue un filo rosso che si snoda tra i vicoli di Jesi e gli splendidi paesaggi marchigiani, muti testimoni di colpi di scena, omicidi e confessioni, fino a condurre alla cattura del vero colpevole, mosso nelle sue scellerate azioni da qualche sentimento fatuo e molte macchinazioni, ma soprattutto da un’ambizione smisurata. Vero peccato capitale.

    “Come lupo nella pioggia” squarcia il leggero velo che copre la finta tranquillità di modi e di facciata di una cittadina di provincia, in cui serpeggiano inquietudine, invidia – sorella del pettegolezzo più feroce –  e rapporti torbidi tra la malapolitica e organizzazioni criminali. Uno spaccato impietoso che ci fa riflettere sui mali del nostro Paese e di una classe politica che si muove sempre più su principi fasulli, fatti di slogan che colpiscono la pancia, e anestetizzano la ragione.

    È solo un libro, ed è solo un giallo, con una bella trama e ben scritto. Ma non è detto che a quest’opera così piacevole gli autori, persone con una storia di impegno e attenzione al sociale,  non abbiano volutamente affidato un compito più raffinato: quello di scuotere la coscienza del lettore, ma solo un po’. E con estrema grazia.

    Patrizia Durante

    Maria Antonietta Macciocu – Ernesto Torta

    Come lupo nella pioggia

    Golem Edizioni

    17,00 euro

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  • MA TORINO E CUNEO SONO DAVVERO CITTA’ ALPINE?

    31 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 554

    CUNEO2

    Cuneo protagonista assoluta sulla famosissima rivista a fumetti “Topolino” . Il capoluogo della Granda è lo scenario della storia  “Zio Paperone, le Giovani Marmotte e lo spirito alpino”: tra le 20 pagine sono riprodotti ambienti della città, piazza Galimberti e la Torre civica, il Parco fluviale con l’ascensore, i marroni e i boschi,  alcuni negozi classici cuneesi sotto i Partici, e l’invito a provare le specialità locali. Fra le battute dei nipotini di zio Paperone, con il cappello delle Giovani Marmotte, alcune collegano direttamente a Cuneo Città Alpina 2024: “L’ambiente naturale delle Alpi è inestimabile!”, “Spetta alle città alpine averne cura!”.

    Mamma mia che vetrina bellissima, una pubblicità davvero importante per una Città Alpina.

    Peccato che, secondo i criteri della “Convenzione per la Protezione delle Alpi”, Cuneo non rientri in quella convenzione. Questo atto ufficiale, ratificato nel 1999, interessa territori montani di Italia, Francia, Svizzera, Germania e Austria. Questi Paesi hanno individuato un preciso ambito del territorio alpino per coordinare azioni di tutela, protezione ambientale, sociale ed economica dell’area nel cuore dell’Europa. In particolare per la promozione e lo sviluppo di quei prodotti tipici che possono fregiarsi del marchio “prodotto alpino”.

    Per delineare i territori che rientrano nei contenuti della Convenzione furono scelte le Comunità Montane. L’ Italia le ha soppresse nel 2012 e nessuno ha mai pensato di correggere i criteri.

    Due esempi: Cuneo (570 metri di altitudine) e Torino (250 metri) sono fuori dalla Convenzione, mentre Trento (194 metri) o Chambery (272 metri) sì. Anzi, c’è addirittura Montecarlo, notissima città di montagna.

    Eppure i Comuni più importanti e facenti parte dell’ Arco Alpino hanno nominato Cuneo “Città alpina del 2024”, benché non rientri oggi nel perimetro della Convenzione, riconoscendone espressamente la stretta connessione con le sue vallate alpine. A questo punto sarebbe meglio che il Piemonte e l’ Italia chiedessero ufficialmente di rivedere i confini e quindi la Convenzione.

    Così faremmo contento anche Zio Paperone.

     

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  • CAFFE’ PEPINO LA PIU’ ANTICA GELATERIA D’ EUROPA

    26 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2435

    CAFFEPEPINO

    Aperto nel 1884 e poi dal 1929 nell’ aulica Piazza Carignano, nel centro della Torino sabauda, il Caffè Pepino è entrato a far parte dei 230 Locali Storici d’ Italia e vanta il prestigioso primato di essere la gelateria più antica d’ Europa fra quelle tuttora in attività

    Torino è città di caffè storici, se ne contano a decine, ma il Caffè Pepino si trova in un piazza incredibile: a fianco del teatro Carignano e del ristorante Del Cambio, di fronte a Palazzo Carignano sede del Primo Parlamento Italiano e accanto al Museo Egizio il più importante al mondo dopo quello de Il Cairo.

    Boiserie di legno, velluti rossi, lampadari a goccia, specchi antichi… aggirandosi nelle sale del Caffè Pepino si respira la storia, ma non quella polverosa e stantia, piuttosto quell’ eleganza subalpina sempre al passo con i tempi. Un esempio? Lo storico vermouth torinese scelto per preparare moderni cocktail

    Lo storico caffè è ovviamente legato alla produzione dei Gelati Pepino 1884, storica pasticceria torinese che nel 1939 lanciò in commercio il pinguino, il primo gelato su stecco ricoperto di cioccolato, dal nome brevettato e inizialmente prodotto in 5 gusti. Oltre al Pinguino oggi ci sono le vaschette e nel caffè di piazza Carignano vanno alla grande le coppette e i coni

     

    Passeggiando per il centro di Torino, godendosi un gelato o un pinguino, oppure seduti a sorseggiare una bevanda nell’ elegante dehor oppure, infine, a sorbire un caffè o il classico Bicerin torinese sui divani di velluto all’ interno, ovunque al Caffè Pepino ci si sente dentro la storia e ci si fa sempre la bocca buona.

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  • Girovagando: la Fetta di Polenta a Torino

    25 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 5892

    fetta di polenta

    Cominciamo con questa casa che si trova a Torino all’ angolo fra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. Per tutti è la Fetta di Polenta, una curiosa abitazione dovuta al genio di Alessandro Antonelli.

    Nel 1859 il piccolo edificio fu acquistato  da Francesca Scaccabarozzi, moglie di Antonelli e l’ architetto cominciò a studiare come ristrutturarlo in modo originale. Nel 1881 ottenne l’ autorizzazione per sopraelevarlo di due piani, poi fece anche un attico abusivo. E’ impressionante se si osserva la casa da via Giulia di Barolo. A una certa distanza la casa sembra semplicemente un muro, una finta facciata di teatro color paglierino da farla sembrare appunto una..fetta di polenta.

    Il lato su corso San Maurizio è di circa 4 metri, sulla via è di sedici metri e si chiude con una larghezza di soli 57 centimetri. L’ altezza è ben 23 metri. Se l’ esterno è sorprendente, l’ interno è addirittura sbalorditivo. Ogni piano è caratterizzato da una camera e tre portefinestre: nella parte più stretta con un piccolo pianerottolo si accede ai servizi igienici.

    Le scale interne sono ovviamente strettissime e, per i traslochi o per i funerali, i mobili e le bare  venivano fatte passare dalle portefinestre e, tramite carrucole, portate in strada.

    Oggi la casa Fetta di Polenta è sede di una galleria d’ arte ed è visitabile a piccoli gruppi, ma seerve la prenotazione.

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  • QUEI GAZEBO NELLE PIAZZE STORICHE, UNO SCEMPIO

    24 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 599

    standgazebopiazzestoriche

    Recentemente sono stato, per una breve vacanza, a Trieste. Non vedevo l’ora di ammirare piazza Unità, una delle più belle d’Italia. Quando sono arrivato nei pressi, un colpo al cuore. Era piena di gazebo: gli sponsor della “Barcolana”, famosa manifestazione velistica, l’avevano completamente invasa. Impossibile fare una foto, un classico selfie.

    Lasciatemelo dire: uno scempio!

    La stessa cosa si potrebbe dire per piazza San Carlo a Torino in occasione dell’ultimo Salone dell’ Auto. Piazza Galimberti a Cuneo per il Bike Festival. Piazza Alfieri ad Asti per varie manifestazioni agricole. E potremmo continuare con Alessandria, Biella, Verbania… e così via. Nella nostra Italia non c’è piazza – storica o aulica che sia – che non venga sistematicamente “occupata” da gazebo, tendoni, casette per mercatini vari.

    Credo che nessuno di noi metterebbe, in sala, scatoloni, cucce per i gatti, o altre strutture ingombranti o imbarazzanti. E invece le piazze, autentici gioielli architettonici e artistici, diventano spesso luogo di “occupazione”, per qualsiasi evento.

    Vi prego, lasciate le piazze così come sono. Bellissime.

    Vogliamo davvero riqualificare le periferie delle nostre città? Ecco, allora: spostiamo lì stand e strutture – magari un po’ più curate e gradevoli – per tutte le manifestazioni. Daremo lustro alle bellezze dei nostri centri storici e magari sapremo anche valorizzare i nostri sobborghi.

    Troppo facile? E infatti non accadrà. Già vedo il centro di Torino, nelle prossime settimane, invaso dagli sponsor delle ATP Finals e dai loro gazebo. In tutte le piazze.

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  • POLENTA CONCIA E MIASSE, DELIZIE ANCHE PER CELIACI

    19 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2439

    miasse

    C’è chi la chiama polenta concia, oppure cunscia, cunsa, voncia, uncia, polenta grassa o pasticciata. Tanti modi per definire un piatto comunque unico anche se con mille variazioni, caratteristico delle nostre montagne. E molte sono le ricette che vengono proposte, anche se la base è poi sempre la medesima, polenta fatta con farina di mais, burro e formaggio. qui però scattano le varianti: fontina per la Val d’ Aosta, toma in Piemonte, maccagno nel Biellese, bitto in Lombardia, asiago in Veneto… e si potrebbe continuare con altre mille varianti

    Noi siamo saliti ai 1200 metri del rifugio La Ciuenda di Settimo Vittone, Alto Canavese ai confini con la Valle d’ Aosta, per raccontare la preparazione della polenta concia, o grassa come la chiamano qui, proprio come si faceva una volta, ancora con il paiolo in rame e cotta sul fuoco a legna.

    Ovviamente è un piatto unico, da consumarsi con un buon bicchiere di vino.

    Da Settimo Vittone scendiamo ai Balmetti di Borgofranco d’ Ivrea per scoprire le miasse che potremmo definire con una sorta di piadina di montagna farcite con salumi e formaggi locali, ma anche con acciughe al verde o salsiccia di Bra.

     

    Si tratta di un alimento tipico da street food, da consumarsi per strada o anche in birreria che però ha un’ arma vincente in più: le miasse sono perfette per i celiaci, in quanto viene usata solo farina di mais.

    Polenta concia e miasse, due piatti un tempo poveri ora autentiche leccornie da gustarsi in montagna, preferibilmente.

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  • SCAFFALE: AGHI DI PINO DI CLAUDIA CANTAMESSA

    18 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 512

    aghi

    “Gioia di vivere, serenità che avevo scordato

    Mi cullo alla luce di una stellina colma d’affetto sincero

    Trasmette a tutto il mio essere felicità profonda

    Attraverso la scoperta di queste sensazioni sfamo e disseto l’ anima.”

    E’ la conclusione della poesia Ridere Ancora Insieme, una di quelle che Claudia Cantamessa ha raccolto nel volume Aghi di Pino. Claudia è nata a Torino e ha frequentato le elementari alla Casa del Sole, scuola specializzata nell’ assistenza agli spastici. E’ importante sottolineare questi dati biografici perché  le parole dell’autrice sono in grado di mettere in forma ciò che di doloroso è stato attraversato, senza eliminare quell’incandescenza, ma trattandola simbolicamente, restituendo bellezza. L’arte è proprio questo, forse, “un velo su una cicatrice” come si legge nella prefazione.

    Versi che trasudano umanità, forza e volontà di convivere con un corpo che fa fatica a rispondere ai propri desideri. Ma la mente e il cuore invece sono liberi, volano: al punto che parlando del matrimonio con Gianni, Claudia scrive ne La Sacra Promessa “mi sembra di camminare, di vivere su un altro pianeta. Fra le tue braccia mi sento viva”.

    Laureata in Pedagogia all’ Università di Torino, Claudia oggi vive con Gianni a Pavia, dopo aver vissuto, per sua libera scelta e per alcuni anni, in un Istituto.  La sua vita ha attraversato la sofferenza e il dolore, lo si intuisce nei versi di Brutalità, Solitudine, Incubo, Rifiuto … e altre poesie. Ma alla fine

    “In un mondo di falsi valori

    dove regna il mito della perfezione

    del bello, del meglio ad ogni costo

    handicap fa paura

    Non si dà spazio a chi ha solo una cosa da offrire: 

    AMORE”

    Poesia scritta nel 1991, come se fosse oggi.

     

    Claudia Cantamessa

    Aghi di Pino

    Edizioni Casa del Giovane di Pavia

    10 euro

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  • SE LE BANCHE SE NE VANNO

    17 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 530

    BANCOMAT

    Un altro bel record per il Piemonte. Il 13,8 % della nostra popolazione vive in territori dove non ci sono più agenzie bancarie. Il 63% dei comuni piemontesi non ha filiali né sportelli bancomat. La media italiana è del 7%.

    Da noi quasi il doppio. Evviva!

    E pensare che in Italia ogni giorno viene prelevato circa un miliardo di euro in contanti.

    Per più di mezzo milione di piemontesi si tratta di operazioni impossibili.

    A nulla sono valse, finora, le battaglie dei sindaci, dell’Uncem (Unione comunità montane), di varie associazioni consumatori. Conosco amministrazioni comunali che hanno inutilmente messo a disposizione, a titolo gratuito, i locali per accogliere sportelli bancomat. Le banche hanno risposto picche. Se ne vanno dai paesi, e chi si è visto si è visto.

    Bene ha fatto, intanto, l’assessore regionale alla Montagna Marco Gallo che, di fronte all’annuncio della chiusura entro fine anno di almeno tre sportelli nelle Terre del Monviso, ha convocato le banche a un tavolo di confronto.

    Intanto però aumentano gli utili degli Istituti di credito. Quasi tutti chiudono i bilanci con palate di miliardi di utile.

    Già, ma c’è l’internet banking: in Piemonte lo usa il 60% della clientela bancaria. Provate a spiegarlo a mia zia di 92 anni che voleva fare un regalo ai suoi nipotini,  ma nel suo paesino non c’è più nemmeno il bancomat.

    La chiamano desertificazione bancaria, a me sembra piuttosto una precisa volontà di far morire i piccoli comuni e abbandonare sempre più, le fasce deboli e indifese.

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