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  • POLENTA CONCIA E MIASSE, DELIZIE ANCHE PER CELIACI

    19 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2533

    miasse

    C’è chi la chiama polenta concia, oppure cunscia, cunsa, voncia, uncia, polenta grassa o pasticciata. Tanti modi per definire un piatto comunque unico anche se con mille variazioni, caratteristico delle nostre montagne. E molte sono le ricette che vengono proposte, anche se la base è poi sempre la medesima, polenta fatta con farina di mais, burro e formaggio. qui però scattano le varianti: fontina per la Val d’ Aosta, toma in Piemonte, maccagno nel Biellese, bitto in Lombardia, asiago in Veneto… e si potrebbe continuare con altre mille varianti

    Noi siamo saliti ai 1200 metri del rifugio La Ciuenda di Settimo Vittone, Alto Canavese ai confini con la Valle d’ Aosta, per raccontare la preparazione della polenta concia, o grassa come la chiamano qui, proprio come si faceva una volta, ancora con il paiolo in rame e cotta sul fuoco a legna.

    Ovviamente è un piatto unico, da consumarsi con un buon bicchiere di vino.

    Da Settimo Vittone scendiamo ai Balmetti di Borgofranco d’ Ivrea per scoprire le miasse che potremmo definire con una sorta di piadina di montagna farcite con salumi e formaggi locali, ma anche con acciughe al verde o salsiccia di Bra.

     

    Si tratta di un alimento tipico da street food, da consumarsi per strada o anche in birreria che però ha un’ arma vincente in più: le miasse sono perfette per i celiaci, in quanto viene usata solo farina di mais.

    Polenta concia e miasse, due piatti un tempo poveri ora autentiche leccornie da gustarsi in montagna, preferibilmente.

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  • SCAFFALE: AGHI DI PINO DI CLAUDIA CANTAMESSA

    18 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 592

    aghi

    “Gioia di vivere, serenità che avevo scordato

    Mi cullo alla luce di una stellina colma d’affetto sincero

    Trasmette a tutto il mio essere felicità profonda

    Attraverso la scoperta di queste sensazioni sfamo e disseto l’ anima.”

    E’ la conclusione della poesia Ridere Ancora Insieme, una di quelle che Claudia Cantamessa ha raccolto nel volume Aghi di Pino. Claudia è nata a Torino e ha frequentato le elementari alla Casa del Sole, scuola specializzata nell’ assistenza agli spastici. E’ importante sottolineare questi dati biografici perché  le parole dell’autrice sono in grado di mettere in forma ciò che di doloroso è stato attraversato, senza eliminare quell’incandescenza, ma trattandola simbolicamente, restituendo bellezza. L’arte è proprio questo, forse, “un velo su una cicatrice” come si legge nella prefazione.

    Versi che trasudano umanità, forza e volontà di convivere con un corpo che fa fatica a rispondere ai propri desideri. Ma la mente e il cuore invece sono liberi, volano: al punto che parlando del matrimonio con Gianni, Claudia scrive ne La Sacra Promessa “mi sembra di camminare, di vivere su un altro pianeta. Fra le tue braccia mi sento viva”.

    Laureata in Pedagogia all’ Università di Torino, Claudia oggi vive con Gianni a Pavia, dopo aver vissuto, per sua libera scelta e per alcuni anni, in un Istituto.  La sua vita ha attraversato la sofferenza e il dolore, lo si intuisce nei versi di Brutalità, Solitudine, Incubo, Rifiuto … e altre poesie. Ma alla fine

    “In un mondo di falsi valori

    dove regna il mito della perfezione

    del bello, del meglio ad ogni costo

    handicap fa paura

    Non si dà spazio a chi ha solo una cosa da offrire: 

    AMORE”

    Poesia scritta nel 1991, come se fosse oggi.

     

    Claudia Cantamessa

    Aghi di Pino

    Edizioni Casa del Giovane di Pavia

    10 euro

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  • SE LE BANCHE SE NE VANNO

    17 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 621

    BANCOMAT

    Un altro bel record per il Piemonte. Il 13,8 % della nostra popolazione vive in territori dove non ci sono più agenzie bancarie. Il 63% dei comuni piemontesi non ha filiali né sportelli bancomat. La media italiana è del 7%.

    Da noi quasi il doppio. Evviva!

    E pensare che in Italia ogni giorno viene prelevato circa un miliardo di euro in contanti.

    Per più di mezzo milione di piemontesi si tratta di operazioni impossibili.

    A nulla sono valse, finora, le battaglie dei sindaci, dell’Uncem (Unione comunità montane), di varie associazioni consumatori. Conosco amministrazioni comunali che hanno inutilmente messo a disposizione, a titolo gratuito, i locali per accogliere sportelli bancomat. Le banche hanno risposto picche. Se ne vanno dai paesi, e chi si è visto si è visto.

    Bene ha fatto, intanto, l’assessore regionale alla Montagna Marco Gallo che, di fronte all’annuncio della chiusura entro fine anno di almeno tre sportelli nelle Terre del Monviso, ha convocato le banche a un tavolo di confronto.

    Intanto però aumentano gli utili degli Istituti di credito. Quasi tutti chiudono i bilanci con palate di miliardi di utile.

    Già, ma c’è l’internet banking: in Piemonte lo usa il 60% della clientela bancaria. Provate a spiegarlo a mia zia di 92 anni che voleva fare un regalo ai suoi nipotini,  ma nel suo paesino non c’è più nemmeno il bancomat.

    La chiamano desertificazione bancaria, a me sembra piuttosto una precisa volontà di far morire i piccoli comuni e abbandonare sempre più, le fasce deboli e indifese.

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  • IL CEVRIN, IL FORMAGGIO DELLA VAL SANGONE

    12 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2118

    cevrin

    Sulle montagne del Piemonte nasce il Cevrin di Coazze, un formaggio di nicchia, che da qualche anno gode dell’ essere stato scelto come Presidio Slow Food. In particolare dagli alpeggi della Val Sangone. Il nome deriva da Ceura che in dialetto significa capra. Ma non si tratta di un caprino, bensì di un misto fra latte di capre di razza scamosciata delle Alpi, un animale assai simile allo stambecco e latte di vacca. A secondo del periodo della stagione le percentuali variano da 50 e 50 fino a 70 e 30 a favore del latte di capra.

    Una produzione limitata (4-5 mila forme all’ anno) ma davvero imperdibile. Il Cevrin stagiona almeno tre mesi in alpeggio, in grotte naturali e richiede un’ impegnativa manutenzione: i caci vanno rigirati e puliti quotidianamente.

    Il Cevrin nasce quindi solo su impervie montagne, in Val Sangone, provincia di Torino: allevatori e margari rappresentano quindi davvero un presidio alimentare per questa fetta delle Alpi Cozie, ma anche un presidio sociale ed umano.

     

    Una garanzia, il Cevrin è una garanzia comunque: gustato negli alpeggi della Val Sangone oppure nei boschi di fronte alla miniera Garida di Coazze, a casa o al ristorante, con pane casereccio e un buon bicchiere di vino…

     

     

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  • GIROVAGANDO: TORRE PELLICE E I VALDESI

    11 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2835

    torre pellice2

    Da parecchi anni nelle ultime settimane di agosto Torre Pellice è al centro dell’ attenzione per l’ annuale Sinodo delle Chiese Valdesi e Metodiste. Può essere l’ occasione per visitare e scoprire una cittadina e un territorio carichi di fascino e di storia.  Dalla borgata Ruà, situata su di un promontorio, si gode una vista panoramica sulla vallata. La borgata dei Coppieri, un tempo il limite del ghetto in cui erano confinati i Valdesi, è oggi un vero e proprio villaggio completamente ricostruito.

    Le prime notizie  di Torre Pellice (che oggi conta circa 4500 abitanti) risalgono a un atto del 1186, e all’inizio del Dodicesimo Secolo la valle iniziò a popolarsi di Valdesi, in fuga dalla vicina Francia. Per secoli e secoli i Valdesi subirono persecuzioni e guerre, ma nel Settecento queste si attenuarono, anche se i Valdesi non potevano ancora ricoprire cariche istituzionali, destinate ai pochi cattolici, né celebrare il culto in pubblico. Finalmente, il 17 febbraio 1848, Carlo Alberto pose fine per sempre alle discriminazioni con l’  Editto di Pacificazione. Quel giorno, l’evento venne segnalato a tutti gli abitanti della valle, anche quelli che abitavano nelle borgate più isolate, con l’accensione di fuochi che potevano essere visti da grande distanza. Da allora, tutti gli anni i Valdesi ricordano l’evento ritrovandosi numerosi ed accendendo dei grandi fuochi all’aperto nella valle, la notte tra il 16 e il 17 febbraio.

    Nel 1700 o ebbe inizio il processo di industrializzazione di Torre (la prima filatura della seta è del 1760), che la portò, nel secolo successivo, a diventare il capoluogo della valle.

    Edifici e istituzioni di Torre Pellice testimoniano la sua realtà di capitale del mondo valdese. Si possono ricordare la Foresteria, il Museo con una ricca documentazione storica e etnografica, la Casa Valdese che ogni anno ospita il Sinodo, il tempio neo-romanico del 1852, il Collegio e il Convitto Valdese eretto in memoria dei 500 Valdesi caduti nella Prima Guerra Mondiale, la Casa Valdese della Gioventù e la Casa delle Diaconesse, sede centrale delle sorelle infermiere all’opera nei numerosi istituti di assistenza.

    La città ha due importanti biblioteche, una annessa al Museo, con oltre ventimila volumi, e un’altra presso la Casa Valdese che conserva oltre cinquantamila libri. Presso il Collegio Valdese si trova l’Erbario Rostan, che raccoglie la flora alpina delle valli pinerolesi.  In posizione dominante si trovano i ruderi del forte di Santa Maria. E infine La Galleria Civica d’Arte Contemporanea raccoglie circa quattrocento opere di pittura, scultura e disegno di artisti italiani del dopoguerra.

    Per gustare la cucina tipica delle Valli Valdesi non mancano i ristoranti che propongono il Seirass del Fen cioè la classica ricotta stagionata della zona, la minestra di castagne e latte, il pollo ripieno di verdure, il miele, i torcetti e la torta Gianduja.

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  • RISTORANTI STELLATI, UNA RICCHEZZA PER TUTTI

    10 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 506

    STELLAMICHELIN

    Ogni volta che si parla di ristoranti stellati si diffonde una strana atmosfera. “Quella è roba solo per ricchi, per gente che ha soldi da buttar via”,  “Io mangio divinamente in trattoria con 30-40 euro”: spesso mi sento rispondere così mentre racconto di servizi realizzati nei locali di chef pluripremiati e dove si spende quasi mezzo stipendio per una cena.

    Ed è vero. Abbiamo la fortuna di vivere in una regione dove si mangia bene quasi ovunque e a prezzi abbordabili.

    Ma l’avere, in Piemonte, 40 ristoranti stellati è una ricchezza da non sottovalutare.

    E’ stato infatti calcolato in 53 milioni di euro il valore economico indotto che ricade sul territorio da questi locali premiati. Non stiamo parlando solo degli incassi degli “stellati”, ma della spesa sostenuta dagli ospiti negli hotel, nei bar, nelle enoteche, nei negozi gourmet, nei servizi.

    Insomma, chi viene in Piemonte per mangiare da uno chef famoso, non si limita a consumare il lauto pasto e pagare il salato conto, ma – quasi sempre – fa un giro per la città, fa acquisti, sovente prende contatti per poi tornare… è una ricchezza per tutto il territorio.

    Tra qualche settimana, in novembre a Modena, verranno resi noti gli stellati 2024. Attualmente il Piemonte è quarto nella classifica per regioni, dopo Lombardia, Campania e Toscana, con il 10 per cento dei Premi Michelin in Italia.

    La nostra quota salirà o scenderà? Chissene….? Assolutamente no! Non è soltanto una classifica per ricchi, ma – come abbiamo cercato di spiegare – è fonte di reddito per l’intera regione.

    Quel che è quasi certo è che Torino, ancora una volta, non avrà il massimo riconoscimento con un ristorante 3 stelle. Alla città manca un due stelle dal 1995, cioè da quasi 30 anni. E parliamo della Vecchia Lanterna. L’ennesima dimostrazione delle difficoltà che sta vivendo il capoluogo piemontese, e della poca attrattiva che ha, per gli investitori del settore ristorazione, rispetto ad altre zone del Piemonte.

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  • I DOLCI DI LANGA DEL PASTICCERE BARROERO

    5 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2680

    nocciole

    Alta Langa è sinonimo di noccioleti, le nocciole sono sinonimo di dolci. Stefano Barroero vive con la sua famiglia da 15 anni in Alta Langa, nella frazione Viarascio di Cortemilia, ha una dozzina di ettari tutti coltivati a nocciole e con 400-500 quintali di prodotto fresco e genuino  produce ogni anno circa 150mila torte di nocciole, insieme con altri dolciumi come i brutti ma buoni, i baci di dama, vari tipi di  biscotti, creme e altre bontà  tutte a base di questo prodotto della terra di Alta Langa

    “Non esistono dolci di Langa senza nocciole, come le mandorle al Sud, qui al Nord le nocciole – dice Barroero – ed è stato stabilito che la nocciola di Alta Langa ha qualità migliori di quelle turche, argentine, ecc”

    Le nocciole vengono raccolte verso fine agosto, immagazzinate nei silos, selezionate per dimensioni e per qualità, sgusciate, tostate e poi nei laboratori della Pasticceria Barroero, ricavati dentro vecchie cascine, comincia la produzione di torte e altri dolciumi

    La nocciola per questi territori, segnati fino a qualche decennio fa dalla Malora di Beppe Fenoglio, è segno di riscatto, di orgoglio, di ricchezza:  “E’ indescrivibile il valore della nocciola nell’ economia e nella storia di Langa, la sua coltivazione ha contribuito a ridurre lo spopolamento di queste colline” spiega Ginetto Pellerino, Gran Maestro della Confraternita della Nocciola.

    Con la nocciola si produce la famosa torta di Cortemilia, ma anche la crema gianduja, i baci di dama, i brutti ma buoni e altri dolci.

    Ma c’è anche un’ ultima fresca novità: Isabella Barroero, moglie di Stefano ha creato i tajarin con pasta di nocciole.

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  • SCAFFALE: I LEONI SENZA CONFINI DI ALESSANDRO MELLA

    4 ottobre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 772

    LEONISENZACONFINI

    Un nuovo libro, un nuovo repertorio, nato dalla penna di Alessandro Mella, storiografo e divulgatore canavesano, per Marvia Edizioni (marviaedizioni@marvia.it). Dedicato ad un periodo difficile e lungo. Quello che andò dal 1885 al 1914, negli anni di Crispi e Giolitti, fino alla vigilia della Grande Guerra.

    Una fase caratterizzata dall’infelice esperienza dell’espansione italiana in Africa, dal conflitto con l’impero Italo-Turco e dalla missione in Cina al tempo della rivolta dei Boxer.

    Un volume ricco di storia e di storie: “Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, in epoca umbertina e vittorioemanuelina, il nostro paese si affacciava al resto del mondo secondo le consuetudini geopolitiche dell’epoca. In tempi in cui le relazioni internazionali si misuravano anche sulla capacità degli stati di intervenire oltre i propri confini o di consolidare la propria influenza in Africa od in Asia. Anni difficili in cui, tra tante contraddizioni, emersero anche figure di enorme valore personale. Italiani che combatterono e fecero del loro meglio sugli altipiani etiopi, le coste somale e perfino ai piedi della Grande Muraglia, in Cina, distinguendosi in circostanze spesso difficili ed estreme come del resto furono quei contesti controversi”.

    Aprono il volume una prefazione dello storico Aldo A. Mola ed un’introduzione del generale Carlo Maria Magnani presidente dell’Istituto del Nastro Azzurro fra Decorati al Valor Militare. Proprio Aldo A. Mola ha scritto nella prefazione: “Il volume comprende tre sezioni. Il primo è un florilegio di biografie, accompagnate da sintetiche considerazioni storiche e storiografiche, narrate con perfetto inquadramento del biografato nel suo contesto territoriale, familiare e sociale, preliminare al suo percorso specifico, e concluse con considerazioni morali e, quando opportuno, con le motivazioni delle decorazioni ricevute per la sua valorosa condotta. Sono “Bozzetti” che richiamano i repertori biografici ottocenteschi di Mariano d’Ayala e di Atto Vannucci e, più addietro nel tempo, alle “vite dei santi” (…).  Con la misura sommessa che gli è abituale, Mella conduce il lettore alla riflessione storica attraverso i profili di figure apparentemente minori e minime: medici, sacerdoti, artigiani, “piccoli borghesi”, figli di militari o già da tempo in servizio, che, per obbligo o per scelta, presero parte alle spedizioni italiane dal Mar Rosso alla Somalia e alla Cina, ove all’inizio del Novecento il governo di Roma riuscì a ottenere la concessione di Tien-Tsin, ove fu rapidamente edificata una casermetta per otto carabinieri: segnacolo della Patria lontana. Indirettamente Mella propone al lettore molti temi di vasta portata”.

    ALESSANDRO MELLA

    LEONI SENZA CONFINI

    MARVIA EDIZIONI

    18 euro

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  • E SE CI COMPRASSIMO UNA MASERATI?

    3 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 711

    AUTO

    La Volkswagen prepara dai 15mila ai 30mila licenziamenti. Mancano le vendite di circa mezzo milione di vetture e quindi la minaccia è quella di passare alla linea dura, con il taglio di almeno un quarto dei 130mila dipendenti.

    In Piemonte non c’è solo la crisi dell’automobile, core business del comparto metalmeccanico regionale, ma anche quella di altri settori, come tessile e siderurgico, con gli stabilimenti ex Ilva di Novi Ligure e Racconigi, da tempo in profonda crisi. Secondo un’indagine della Fim Cisl regionale, in Piemonte sono oltre 10 mila i posti di lavoro del comparto metalmeccanico che rischiano di svanire. A Mirafiori nuova cassa integrazione in arrivo per le Carrozzerie. Tanto che, in uno scenario nerissimo, da qui a fine anno gli operai sulla linea della Fiat 500e lavoreranno per appena dodici giorni, quattro settimane al massimo. Nel contempo, sempre a Mirafiori, lavora e lavorerà a pieno ritmo, invece, il reparto eDct, quello delle trasmissioni per i veicoli elettrici.

    C’è preoccupazione e incertezza nel mondo dell’automobile. Da un  lato si chiedono ancora incentivi: ma li chiedono anche il commercio, l’agricoltura, l’editoria, l’industria del turismo e dello spettacolo… insomma, un po’ tutti. Possibile che non ci sia un settore produttivo in grado di camminare con le proprie gambe? Tutti sempre a “puppare” soldi dallo Stato. Stato che poi aumenta le tasse e quindi è un gatto che si morde la coda.

    Forse è giunto il momento di ripensare completamente al mondo dell’automobile. Capisco quanto sia difficile,  soprattutto per il Piemonte, che rappresenta uno dei territori a più alta vocazione metalmeccanica d’Europa. Ma occorre pensare a qualcosa di diverso e non sperare ancora in aiuti statali, incentivi o quant’ altro.

    D’altro canto c’è poco da essere ottimisti se il mondo dell’auto è affidato a personaggi come quei manager che, nelle settimane scorse, hanno inviato una mail aziendale ai dipendenti Stellantis (quelli di Mirafiori di cui parlavamo qualche capoverso fa) con la proposta di acquistare – a condizioni di favore – una Maserati Grecale, Gran Cabrio o Gran Turismo, quindi vetture tra gli ottantamila e i centoventimila euro, cioè tra gli ottanta e i centoventi stipendi netti. Uno scherzo? Proprio no.

    La mail si concludeva così:  «la nostra straordinaria gamma ti aspetta!».

    Ridiamo per non piangere.

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  • CHE BONTA’ LE CHIOCCIOLE DI CHERASCO

    28 settembre 2024 • CINQUE SENSI • 2044

    LUMACHE CHIOCCIOLE

    Guai a chiamarle lumache. A Cherasco, storica cittadina cuneese, per tutti sono le chiocciole e ne hanno fatto un vero core business, inventando il metodo Cherasco per l’ allevamento, la coltura, la lavorazione, l’ utilizzo in cosmesi e  farmaceutica e ovviamente in cucina. Gustose, croccanti, nutrienti, poco caloriche possono entrare nei primi piatti, nei secondi, ma anche nelle pizze, nei burger, nelle insalate. Insomma, sono infiniti i modi di cucinare e servire le chiocciole

    In realtà l’ elicicoltura è diffusa in tutta Italia: 1500 allevatori di chiocciole con un indotto che complessivamente impiega 10mila persone per un giro d’ affari di 350 milioni di euro l’ anno. Produciamo però soltanto il 20 per cento del nostro fabbisogno, incrementando gli allevamenti potremmo arrivare a dar lavoro a 100mila persone.

    A Cherasco in autunno c’ è un Festival della Chiocciola ma c’ è anche la sede dell’ Istituto Internazionale di Elicicoltura dove questi animaletti vengono allevati in appositi recinti, poi portati nel centro dove comincia la lavorazione. Con la bava si possono ottenere prodotti per la cosmesi (eccezionali creme antirughe) ma anche per la farmaceutica. Insomma, da quel piccolo animaletto – proverbiale per la lentezza e per la sua vita sempre con la casa appresso – nasce un’ economia elicoidale che coinvolge e dà ricchezza a 13 settori.

    Ma è in cucina che la chiocciola di Cherasco vive il suo trionfo: basta provare qualcuno dei tanti menù proposti dai locali ristoranti per innamorarsi di questo piatto.

     

     

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