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  • SCAFFALE: NEL NOME DEL RE SOLE DI ALESSANDRO MELLA

    14 novembre 2025 • LUOGHI E LIBRI • 256

    resole

    La Guerra di Successione Spagnola, premessa indiretta del futuro Risorgimento italiano, fu un evento che mutò sensibilmente la storia d’Italia. Molti volumi pregevoli sono stati scritti da illustri studiosi ed il tema è stato oggetto di numerose importanti pubblicazioni. Alessandro Mella, tuttavia, ha voluto raccogliere in una sola monografia, per Marvia Edizioni di Voghera, le tracce lasciate dalla storiografia locale e non solo relative alle azioni deprecabili compiute dal nemico durante la sua marcia verso Torino e le altre città, la sua permanenza nel territorio ducale e l’affannosa ritirata. Non senza alcuni cenni sull’impatto in alcune zone della Lombardia, del Trentino, del Friuli, etc…

    Per documentare il costo di quella vittoria, quasi insperata, che procurò a Casa Savoia la corona regia e le basi per unire politicamente, il secolo successivo, la penisola italiana. I testimoni sono, indirettamente, i contadini, i sacerdoti, gli artigiani, i bottegai e solo dopo i militari. Cioè quel popolo travolto dalla bufera della guerra. Un popolo presente e ferito ma non privato delle sue fortissime identità e dignità.

    Il volume è arricchito da una premessa di SAR la Principessa Maria Gabriella di Savoia e da una prefazione dello storico Aldo A. Mola.

    ALESSANDRO MELLA

    NEL NOME DEL RE SOLE

    MARVIA EDIZIONI

    26 euro

     

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  • IO AMO LA CUCINA ITALIANA

    13 novembre 2025 • COSE NOSTRE • 243

    cucina

    Manca circa un mese al 10 dicembre. Cosa accadrà in quella data?

    A Nuova Delhi, in India, si riunirà il Gotha dell’Unesco per valutare le candidature per diventare Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

    Fra queste c’è l’intero ecosistema della Cucina Italiana, nella sua complessità e nella sua ricchezza culturale. Una candidatura che arriva dopo il riconoscimento Unesco di tradizioni gastronomiche di altri Paesi: dalla gastronomia messicana, allo street food di Singapore, dal pasto alla francese, alla dieta giapponese Washoku.

    Come può non essere premiata la cucina italiana? Come è possibile che i nostri piatti, amati in tutto il mondo, non siano riconosciuti Patrimonio dell’ Umanità?

    Eppure, il risultato non è così scontato.

    Prendiamo in esame i dati solo del nostro Piemonte.

    5.168 imprese di ristorazione attive a Torino e provincia e oltre 9.800 sul territorio regionale, sono portatrici di identità, memoria e passione e sviluppano un valore aggiunto per il turismo di quasi 137 milioni di euro. Questo prezioso tessuto imprenditoriale ben rappresenta i valori che l’UNESCO individua come criteri fondamentali per il riconoscimento: trasmissione tra generazioni, creatività condivisa, legame col territorio, rispetto delle diversità culturali, sostenibilità.  E in questa corsa la cucina piemontese ha tanto da offrire: una varietà straordinaria di formaggi, di vini, di antipasti, di primi piatti, di carni, di dolci, di saperi antichi.

    Dal Piemonte all’UNESCO, la cucina italiana si racconta nei piatti, nelle cucine, nei locali della ristorazione, ma anche nei gesti tramandati nelle generazioni che la custodiscono e la rinnovano. Un patrimonio vivo, che si assapora, si condivide e si tramanda.

    Dalle nostre terre deve arrivare forte una convinzione: “Io amo la cucina italiana”. Dobbiamo dirlo, ripeterlo, crederci, propagandarlo per fare arrivare questo nostro grido fino a Nuova Delhi, perché ci sia dato il giusto riconoscimento. Con tutto il rispetto per le cucine messicane, giapponesi, francesi di Singapore… Ma volete mettere i nostri piatti? Non dovrebbe esserci partita.

    Incrociamo le dita.

     

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  • LO ZABAJONE TORINESE, IL VIAGRA DEL SANTO

    8 novembre 2025 • CINQUE SENSI • 8966

    zabaione

    Molte sono le città e i paesi che si contendono l’intuizione e la nascita dello zabaglione, oltre a Torinoil primato è reclamato da Mantova, Reggio Emilia e anche Ravenna. Le storie sulle origini di questa meravigliosa crema sono tutte romanzate e tirano in ballo personaggi fantasiosi come il capitano di ventura, Giovanni Baglione che, non avendo altro da offrire ai suoi soldati, preparò una crema con uova, vino, zucchero e erbe aromatiche. Alla corte degli Estensi, pare si servisse una crema simile, ma ghiacciata. A quella dei Gonzaga, agli ingredienti classici, erano aggiunti pistacchi o pinoli pestati.

    Ma Torino, anche in questo caso, può dire la sua. Poco oltre la metà del ‘500 arrivò in città, presso l’attuale parrocchia di San Tommaso di via Pietro Micca, un frate proveniente dalla Spagna: Pasquale de’ Baylon. Il giovane ecclesiastico era nato a Torrehermosa nel 1540 da una famiglia di poveri pastori, faceva parte dell’ordine dei Cappuccini e più precisamente dei Frati minori Alcantarini.Era un autodidatta ma con una buona cultura e conoscenza dei metodi curativi naturali, ma soprattutto gli era riconosciuto il titolo di ottimo cuoco.

    Si narra che il frate raccogliesse, durante le confessioni, le lamentele delle nostre concittadine, circa la vitalità dei loro uomini. Fra Pasquale prese a suggerire alle poverette una ricetta che pareva fosse in grado di restituire il perduto vigore: un tuorlo d’uovo sbattuto con due cucchiai di zucchero fino ad ottenere una crema bianca e spumosa, a questa era necessario aggiungere due gusci d’uovo abbondanti di marsala secco e un guscio d’acqua. Il composto doveva cuocere a fuoco dolce e a bagnomaria, sempre mescolato, fino al raggiungimento del primo bollore.

    Inutile dire che la ricetta miracolosa passò rapida di bocca in bocca. Le donne oramai parlavano sempre più spesso della crema miracolosa di “san” Pasquale de Baylon, abbreviato subito, nel dialetto cittadino, in San Bajon. ‘LSanbajon divenne, in italiano, Zabaione o Zabaglione e divenne famoso in tutto il mondo.

    Fra Pasquale fu veramente santificato nel 1680 da Papa Alessandro VIII, certo non per la sua crema, ma per il suo operato pastorale e per la sua vita esemplare.

    Dal 1722 è protettore dei cuochi e dei pasticceri, viene festeggiato il 17 maggio e, a Torino, è venerato nella chiesa che lo accolse nel centro di Torino. Un suo ritratto è esposto nel coro della chiesa del monte dei Cappuccini.

     

    RICETTA

    Ecco la ricetta per preparare un ottimo e tradizionale zabaglione per 4 persone:

    4 tuorli d’uovo (freschissimi!), 80 gr. di zucchero, Un decilitro e mezzo di vino Marsala secco.

    In una ciotola in acciaio con il manico (la stessa che dovrà essere poi messa a bagnomaria) mettete i tuorli e lo zucchero, sbattete con una frusta fino ad ottenere una crema soffice, gonfia e spumosa, il colore del composto deve essere quasi bianco. Unite poco alla volta il Marsala, sempre sbattendo, e fatelo amalgamare bene, quando il composto risulterà liscio ma comunque spumoso, immergete il vostro contenitore a bagnomaria in una pentola che contenga un terzo d’acqua molto calda. Cuocete la crema a fuoco molto basso mescolando in continuazione per 10/15 minuti, l’acqua nella pentola non deve mai bollire ma mantenere solo un leggero fremito.

    La crema deve gonfiarsi e addensarsi, ma tenetela d’occhio, l’uovo non deve mai cuocersi, altrimenti si formeranno dei fastidiosi grumi.

    Lo zabaglione deve essere servito appena tolto dal fuoco. È ottimo con i Savoiardi, con le Lingue di gatto, con la torta di nocciole, ma si abbina perfettamente anche al pandoro.

    Al posto del Marsala può essere utilizzato qualsiasi vino liquoroso. Il Moscato vi consentirà di gustare una crema profumata e delicata, ma la tradizione piemontese, appassionata di sapori forti, non disdegna lo zabaglione preparato con il Barbera o il Barolo chinato.

    Buon Appetito!

    Patrizia Durante

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  • GIROVAGANDO: LA FETTA DI POLENTA A TORINO

    7 novembre 2025 • LUOGHI E LIBRI • 2929

    fetta di polenta

    Questa casa si trova a Torino all’ angolo fra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. Per tutti è la Fetta di Polenta, una curiosa abitazione dovuta al genio di Alessandro Antonelli.

    Nel 1859 il piccolo edificio fu acquistato  da Francesca Scaccabarozzi, moglie di Antonelli e l’ architetto cominciò a studiare come ristrutturarlo in modo originale. Nel 1881 ottenne l’ autorizzazione per sopraelevarlo di due piani, poi fece anche un attico abusivo. E’ impressionante se si osserva la casa da via Giulia di Barolo. A una certa distanza la casa sembra semplicemente un muro, una finta facciata di teatro color paglierino da farla sembrare appunto una..fetta di polenta.

    Il lato su corso San Maurizio è di circa 4 metri, sulla via è di sedici metri e si chiude con una larghezza di soli 57 centimetri. L’ altezza è ben 23 metri. Se l’ esterno è sorprendente, l’ interno è addirittura sbalorditivo. Ogni piano è caratterizzato da una camera e tre portefinestre: nella parte più stretta con un piccolo pianerottolo si accede ai servizi igienici.

    Le scale interne sono ovviamente strettissime e, per i traslochi o per i funerali, i mobili e le bare  venivano fatte passare dalle portefinestre e, tramite carrucole, portate in strada.

    Oggi la casa Fetta di Polenta è sede di una galleria d’ arte ed è visitabile a piccoli gruppi, ma seerve la prenotazione.

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  • VENDITE ONLINE, NON TUTTO È NEGATIVO

    6 novembre 2025 • COSE NOSTRE • 149

    SMARTWORKING

    Il Piemonte è tra le regioni italiane di maggior successo nelle vendite sulle piattaforme online. Sono infatti più di 1.100 le nostre piccole e medie imprese presenti su Amazon, che lo scorso anno  ancora più interessante quello che il 45% di queste aziende risiede in zone rurali o di montagna.

    Non solo. I prodotti piemontesi venduti tramite Amazon per il 65% vanno all’estero, creando un giro d’affari di 85 milioni di euro.
    Insomma, le piccole e medie imprese si dimostrano dinamiche e attente nel cogliere le nuove opportunità del mercato. Sembrano così lontani gli anni in cui le strade del Piemonte erano attraversate dai rappresentanti con i campionari dei prodotti che andavano di negozio in negozio, di azienda in azienda, a raccogliere gli ordini.
    Oggi si ordina sul telefonino e, per le strade, è tutto un brulicare di furgoni delle consegne.
    Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia.
    Tutti sappiamo che la crescita delle vendite online va di pari passo con la chiusura di tanti piccoli negozi e quindi lo spopolamento di intere zone del Piemonte. Lo sappiamo e lo abbiamo scritto più volte proprio qui sul Punto.
    E lo ribadisco. Io non comprerò mai prodotti alimentari online, preferisco il commerciante o il mercato sotto casa.
    Se, però, per tante piccole aziende del Piemonte l’online è un’occasione per stare sul mercato, vendere e salvare il fatturato ben venga.
    Significa ricchezza e posti di lavoro.
    Scusate se è poco.
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  • MENU’ PIEMONTESE PER LE FESTE DEI SANTI

    1 novembre 2025 • CINQUE SENSI • 3067

    CISRA

    Ognissanti, una festa con origini profonde e antiche, così come sono antiche le tradizioni che l’accompagnano e che non ne vogliono sapere di cedere il passo alla festa commerciale e urlata importata dagli States. Insomma, da buoni piemontesi vogliamo resistere e conservare i sapori e le usanze di una volta.

    Le origini contadine della nostra regione sono quelle che maggiormente contraddistinguono questa festività che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, rappresentava un momento di grande vicinanza ai defunti, ma anche il passaggio tra la bella stagione del lavoro e dei raccolti, al momento di riposo delle campagne.

    E’ il capodanno agricolo e pastorizio che segna la fine della vendemmia, il rientro delle mandrie dai pascoli estivi e il ritorno della gente nelle case, al riparo dai rigori dell’inverno. Ma nei secoli passati era considerato, molto più di oggi, un periodo di meditazione interiore e quindi di contatto con l’aldilà, da qui l’esigenza di celebrare con riti significativi e propiziatori la conservazione della fertilità della terra, della salute degli uomini che dovevano superare la stagione gelida e oscura.

    Nelle campagne e nelle vallate piemontesi, nella sera d’Ognissanti, era usanza recarsi in visita al cimitero lasciando la tavola imbandita, in modo che le anime dei defunti postessero  rientrare nelle loro case e banchettare; il ritorno dei vivi nelle abitazioni veniva annunciato dal suono delle campane, così che i defunti potessero dileguarsi. Era anche usanza recitare il rosario tra parenti e concludere con una cena in famiglia. In molti luoghi era ben augurante lasciare a tavola un coperto vuoto dedicato ai defunti.

    La tradizione della zucca illuminata, come promessa di resurrezione, è viva anche in Piemonte, accompagnata da quella della zucca essiccata e riempita di vino che simboleggia la consolazione.

    Il piatto tipico regionale per la notte di Ognissanti è la Cisrà, un antichissimo piatto della tradizione culinaria delle Langhe ma diffuso in tutto il Piemonte. Si tratta di una zuppa a base di ceci e verdure a cui si aggiungono o le costine di maiale o trippa. La tradizione vuole che questa zuppa fosse offerta calda e fumante, dalla Confraternita dei Battuti (i penitenti), ai pellegrini che si recavano in paese per assistere alle funzioni religiose e visitare l’ultima fiera autunnale, l’ultimo mercato prima dell’inverno.

    Ricetta della Cisrà: 400 gr di trippa o costine di maiale, 200 gr di ceci secchi, 200 gr di patate, 400 gr di porri, 2 gambi di sedano, 1 carota, 1 cipolla bianca, mezzo cavolo verza, sale, pepe nero, rosmarino, olio extravergine di oliva.

    Preparazione: Mettere i ceci in ammollo in acqua tiepida almeno una notte prima della preparazione per ammorbidirli. Far rosolare la cipolla tritata nell’olio d’oliva, aggiungere i porri, le patate, il cavolo, il sedano e la carota, il tutto tagliato finemente. Fate soffriggere 10 minuti coperto e mescolando, quindi aggiungere la trippa (o le costine) e i ceci scolati dall’acqua della notte, fate insaporire per qualche minuto a fuoco vivace. Coprite poi con acqua calda, sale e pepe con il rosmarino tritato finemente, portate ad ebollizione, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per almeno tre ore, mescolando di tanto in tanto. Aggiustate di sale e servite, volendo si può aggiungere una spruzzata di parmigiano.

    E come in tutte le feste, non possono certo mancare i dolci. In Piemonte è tradizione preparare gli “os d’ mort”, piccoli biscottini a forma di tibia che, con molte varianti, sono presenti in tutta la regione, ma anche nel resto d’Italia.

    Ricetta degli os d’ mort: 250 gr di farina, 100 gr di nocciole tostate, 100 gr di mandorle dolci, 400 gr di zucchero, 2 albumi, il succo di un limone, burro per ungere la placca, farina per la lavorazione

    Preparazione: Scaldate il forno a 180°. In una ciotola ampia mescolate la farina con lo zucchero e gli albumi, profumate con il succo di limone, aggiungete le nocciole e le mandorle tritate grossolanamente e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo ma piuttosto sodo. Su un piano di lavoro allungate l’impasto per formare un serpentello che taglierete a fettine sottilie lavorerete per formare delle piccole ossa. Disponete i biscotti sopra una placca imburrata e infarinata e passateli in forno per 20 minuti circa. Teneteli d’occhio e toglieteli quando sono dorati. Sfornateli e lasciateli raffreddare.

    Buon appetito e buona festa di Ognissanti a tutti.

    Patrizia Durante.

     

     

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  • SCAFFALE: LA RIVISTA STORIE E GENTI DI COLLINA

    31 ottobre 2025 • LUOGHI E LIBRI • 373

    COLLINA

    Il sottotitolo la dice tutta. Rivista di Cultura e Attualità del territorio collinare fra il Po e il Monferrato. Parliamo di un periodico a cura del Centro Studi Colline del Po, diretto prima da Carlo Bosco e, attualmente, da Alma Brunetto.

    Il Piemonte, lo sappiamo, è terra di colline. Aspre e dure come quelle narrate da Fenoglio e Pavese, oppure più dolci e sorprendenti come quelle che si elevano dal fiume Po fino al Monferrato Astigiano e Alessandrino. Un territorio forse un po’ meno conosciuto, pubblicizzato e visitato rispetto ad altre zone della nostra regione, ma ugualmente ricco di bellezze, di storia, di natura, e di ricchezze enogastronomiche. E questa rivista le racconta con dovizia di particolari e con immagini fotografiche che lasciano a bocca aperta. Basta scorrere le ultime copertine: dalla visione aerea di san Mauro Torinese con il suo inconfondibile ponte al Castello di Rivalba.

    M a c’è davvero di tutto. La scoperta dei sentieri del Po, la Villa di Agliè, un reportage sullo sport della Pallapugno, le foto della volpe della collina, la chiesa di San Genesio, le vicende di Radio Gassino, la storia dei Barcaioli e dei Fabbricanti di Ghiaccio e la ricetta della Soma d’ Aj.

    Una rivista patinata da leggere un poco alla volta, da sfogliare e da conservare. Storie di Genti di Collina è un po’ tutto questo e tanto altro ancora: “Non solo natura e memoria, ma anche cultura viva, sportiva e popolare” come scrive Alma Brunetto nel suo editoriale del numero dell’ estate 2025.

    CENTRO STUDI COLLINE DEL PO

    STORIE E GENTI DI COLLINA

    PERIODICO

    8,50 euro

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  • GLI AGNELLI VENDONO E TUTTI ZITTI

    30 ottobre 2025 • COSE NOSTRE • 295

    MIRAFIORI

    Nel corso degli ultimi anni hanno venduto, in ordine sparso, la Fiat a Stellantis, l’Iveco, il Lingotto, parte di Mirafiori, Villa Frescot (residenza dell’ Avvocato) e infine – anche se manca ancora l’ ufficialità – La Stampa.

    Pezzi di storia degli ultimi due secoli di Torino e del Piemonte che la famiglia Agnelli-Elkann ha ceduto ad Americani, Indiani, fondi immobiliari, e, infine, cordate imprenditoriali del TriVeneto. Affari di famiglia, dirà qualcuno. Mi permetto di obiettare che quei marchi, quei luoghi, quegli stabilimenti, quelle pagine sono la vita di intere generazioni, rappresentano il passato e il presente di una terra. E sarebbero dovute restare nostre anche in futuro, a testimonianza di cosa sono stati Torino e il Piemonte. E cosa potrebbero ancora essere.

    Ma quel che più stupisce è il silenzio assordante che accompagna questi passaggi di proprietà. Ho cercato, invano, commenti, reazioni, prese di posizione. Niente. Fatte salve qualche sporadica protesta dei metalmeccanici, operai e quadri.

    Il sindaco di Torino, il Presidente della Regione Piemonte non hanno nulla da dire sul fatto che – ad esempio – la principale testata giornalistica torinese, fondata nel 1867 come Gazzetta Piemontese, passerà a imprenditori veneti? E le organizzazioni di categoria? Sindacati, Associazioni Commercianti, Artigiani, Unioni Industriali, Piccole e Medie Imprese?

    Tutti zitti. Mi è stato risposto che manca ancora l’ ufficialità? Ma a cosa servirà far sentire la nostra voce, le nostre proteste quando l’affare sarà concluso? Quando i buoi saranno scappati…

    Sono le leggi di mercato, bellezza. Certo.

    Però, quando ci saranno da fare battaglie per difendere i nostri territori a chi ci rivolgeremo? Alle testate venete? O a chi altro?

    Per il resto gli Agnelli-Elkann vendono e incassano palate di milioni. E ho una sensazione: presto toccherà anche alla Juve….

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  • UNA SOSTA A SETTIMO VITTONE PER LA VIA FRANCIGENA

    25 ottobre 2025 • CINQUE SENSI • 2127

    LASOSTA

    Lungo la via Francigena, secondo i dettami di un antico editto in Epoca Carolingia, c’era l’obbligo che ogni 20-25 chilometri ci fosse un punto di ristoro per i pellegrini

    Va ricercata in queste reminiscenze storiche l’origine dell’ Osteria La Sosta di Settimo Vittone, provincia di Torino, nel Canavese, sul confine fra il Piemonte e la Valle d’Aosta, proprio lungo la Via Francigena. Lo testimonia un’antica lapide posta all’ingresso dell’ Osteria. Era un antico hospitale. Una sosta e un punto di posta. Oggi è diventata un’ osteria per dare un senso di maggiore ospitalità ai clienti.

    In sala Ezio Cresto, in cucina la moglie Daria, la figlia Maria Cristina e una squadra di cuochi, tutti rigorosamente canavesani. Certo, perchè il menù è assolutamente del luogo:  dall’ antipasto canavesano, alla polenta, dagli agnolotti al bonet. Sempre cotti e serviti in pentole di rame.

    In ogni caso, sia che siamo camminanti, pellegrini, gourmand , o semplici turisti alla ricerca di una cucina autentica, genuina, Canavesana… l’osteria di Settimo Vittone val bene una sosta.

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  • GIROVAGANDO…LA CITTADELLA DI ALESSANDRIA

    24 ottobre 2025 • LUOGHI E LIBRI • 5848

    cittadella di alessandria

    La Cittadella di Alessandria costituisce uno dei più grandiosi monumenti europei nell’àmbito della fortificazione permanente del XVIII secolo, uno dei pochi ancora esistenti e sicuramente uno dei meglio conservati in Europa.

    La fortezza si trova a nord-ovest della città di Alessandria ed è separata dal fiume Tanaro. Ha una storia secolare e le sue trasformazioni hanno segnato la storia e le sorti di Alessandria. La Cittadella è stata costruita sulle rovine del preesistente quartiere di Borgoglio (o Bergoglio), dopo il trattato di Utrecht del 1713, quando Alessandria passò dal dominio spagnolo a quello di Casa Savoia. Al fine di soddisfare le esigenze di difesa del nuovo stato sabaudo, la fortezza militare fu interamente costruita a scapito dell’antico quartiere provocando una decisa rivoluzione urbanistica della città di Alessandria. La cittadella fu voluta da Vittorio Amedeo II e progettata dall’ingegnere Ignazio Bertola, che si ispirò al forte francese di Vauban. Nacque così un’immensa fortezza esagonale che si estende su 20 ettari il cui lato più lungo è parallelo alla asse del fiume. La forma esagonale è dovuta alla necessità di difendere il confine lungo della città.

    La Cittadella è un perfetto esempio di moderna fortezza, si compone di sei bastioni ed e’ circondata da fossati che in passato venivano inondati dalle acque del fiume. Vi si accedeva da un lungo ponte di pietra che conduceva ad una grande area circondata da edifici a più piani disposti secondo l’asse dell’antico quartiere di Borgoglio, tutti coperti da resistenti terrapieni costruiti tra il 1749 e il 1831. La costruzione e lo stato di conservazione degli edifici napoleonici sono unici.

    Rimase una piazza d’armi importante fino al 1901, quando fu declassata a caserma. Rimase tale fino al 2004, in seguito fu abbandonata e cominciò ad essere preda di un crescente degrado.

    Arrivata prima classificata al censimento Luoghi del Cuore 2010 con 53.953 segnalazioni, la Cittadella, ha ottenuto un intervento da parte del FAI; inoltre ha ricevuto anche moltissima visibilità e un riconoscimento da Europa Nostra che l’ha inserita tra i “7 most endangered”, i sette siti più in pericolo in Europa.

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