Chissà perché nell’ immaginario dell’ enogastronomia i grissini sono indissolubilmente legati alla città di Torino e al Piemonte. C’ è una ragione storica. Tradizionalmente la sua nascita si fa risalire al 1679, quando il fornaio di corte Antonio Brunero, sotto le indicazioni del medico lanzese Teobaldo Pecchio, inventò questo alimento per poter nutrire il futuro re Vittorio Amedeo II, di salute cagionevole ed incapace di digerire la mollica del pane.
Napoleone se li faceva consegnare a Parigi e il re Carlo Felice li mangiava a teatro, incurante dei fastidi che i suoi rumori di masticazione provocava agli spettatori. E allora siamo andati da Enrico Murdocco giovane e valente panificatore in Torino a vedere come nascono i classici grissini stirati piemontesi: farina, acqua, lievito e olio gli ingredienti, e poi tutti tirati a mano.
Salgari, l’ inventore di Sandokan, con tono un po’ dispregiativo, definì Torino “grissinopoli”.
Ma Grissinopoli è anche un piatto iconico della cucina piemontese: una bistecca impanata con grissini sbriciolati.
Tanti i ristoranti, in regione, che ce l’ hanno sempre nella carta del menù. I nomi sono diverse, ma la sostanza è sempre la stessa: una bella bistecca di Fassone piemontese, alta almeno 3 centimetri, impanata con grissini torinesi, rigorosamente sbriciolati a mano.
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