Quasi 15 anni fa, nel 2005, in Piemonte c’ erano 80 grandi centri commerciali, adesso sono 195. Siamo passati complessivamente da 425mila metri quadri a 650mila dedicati alla grande distribuzione. E non basta.
Fra tre anni ne arriverà un altro, incredibilmente enorme, adiacente all’ aeroporto di Caselle. Pensate un’ area di 114mila metri quadrati, una città nella città con 230 negozi, 15 dedicati alla ristorazione. 2500 i posti di lavoro garantiti. Insomma una città commerciale a fianco della grande città, pare ci saranno addirittura copie delle strade e delle case di Torino.
Alla faccia di quelli che continuano a dire che bisogna aiutare il piccolo commercio, che non possiamo lasciar morire i negozi dei nostri comuni, piccoli e grandi. Queste operazioni portano milioni di euro nelle casse comunali per gli oneri di urbanizzazione e le amministrazioni locali fanno porti d’ oro pur di accaparrarseli.
I giardini, le vie, i portici, le piazze delle nostre città sono sempre più vuoti, le serrande di migliaia di esercizi commerciali sono abbassate (forse per sempre) e intanto questi megacentri sorgono come funghi, in tutto il Piemonte. E’ la vittoria del consumismo più sfrenato. Se poi non ci sono più tanti soldi da spendere che importa. E’ lì che dobbiamo andare a trascorrere le nostre giornate, compresi i festivi.
Sarò demodè: queste città del consumo non mi sono mai piaciute. Le trovo estranianti, anonime, tristi. Preferisco il banco del mercato settimanale nei paesi (ma adoro anche Porta Palazzo), quando posso faccio la spesa dal piccolo commerciante che mi consiglia e orienta i miei acquisti. Questi grandi outlet li trovo architettonicamente brutti. Non vorrei fare la Cassandra di turno, ma temo che fra qualche decennio questi iper-mega-super centri commerciali saranno tanti dinosauri abbandonati alle porte delle nostre città. Monumenti inutili per una sfrenata corsa agli acquisti.
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