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  • SCAFFALE: “NON ESISTE L’ AMOR” DI CEPOLLINA E BISCARO

    24 gennaio 2025 • LUOGHI E LIBRI • 501

    martine

    Non tragga in inganno il titolo di questo volume. Titolo, peraltro, preso da una canzone di Adriano Celentano. Non ci troviamo davanti a un romanzo rosa, bensì alla ricostruzione della vita e della tragica morte di Martine Beauregard, giovane prostituta francese uccisa a Torino nella notte fra il 17 e il 18 giugno 1969. Un caso irrisolto: l’assassino (o gli assassini) di Martine, a 56 anni dall’omicidio, non ha tuttora un nome e un volto.

    E siamo di fronte a uno dei casi più inquietanti della cronaca nera subalpina.

    Con un lavoro certosino Livio Cepollina e Andrea Biscaro ricostruiscono l’intera vicenda dal ritrovamento del cadavere, fin quasi ai nostri giorni. Anche perché sull’ assassinio di Martine Beauregard i colpi di scena non sono mancati, fino al 2017 con la riapertura del fascicolo d’inchiesta e la sua successiva archiviazione, sempre senza risultati.

    Nelle 140 pagine del volume è ricostruita l’intera vicenda con spezzoni di articoli di giornale (ne furono scritti a bizzeffe), brani di interrogatori (quel che resta in quanto parecchi atti giudiziari sono incredibilmente svaniti nel nulla), rimandi ad altri libri scritti sul caso (uno su tutti, L’ ultima notte con Martine di Claudio Giacchino), e nuove testimonianze raccolte dagli autori. Senza dimenticare i personaggi ambigui, i suicidi, le lettere anonime, i tentativi di depistaggio  che hanno costellato per più di mezzo secolo questo caso.

    Ma gli autori dedicano un’attenzione particolare alla personalità della vittima, traendo parecchia ispirazione dal suo diario personale. Cepollina e Biscaro non tralasciano di puntare il dito su quegli anni Sessanta dove, la Torino Bene e la Torino del Male, spesso vanno a braccetto: imprenditori, notai, avvocati, industriali, tutori dell’ordine e della giustizia, non hanno paura di sporcarsi le mani con elementi della malavita (spacciatori, papponi, prostitute) per il gusto di trasgredire. E proprio in una di quelle notti di trasgressione la giovane Martine finì tragicamente i suoi giorni. Una morte che ancora oggi continua a incutere timore, se non serpeggiante paura.

    LIVIO CEPOLLINA ANDREA BISCARO

    NON ESISTE L’ AMOR

    AMAZON EDITORE

    14 euro

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  • PANETTONE TUTTO L’ ANNO

    23 gennaio 2025 • COSE NOSTRE • 332

    panettone-pandoro-

    Vetrina di negozi alimentari, pasticcerie, grande distribuzione. Vengo attratto dalla scritta: “Panettone e Pandoro al 50%”. L’ ho letta, in queste settimane, in diverse città italiane. E credo che molti di voi avranno notato lo stesso annuncio.

    Ma perché? Panettone e pandoro, specie quelli prodotti dai grandi marchi, hanno una scadenza ad almeno di 6 mesi dalla data di produzione.

    La realtà è che noi italiani mangiamo il panettone solo a Natale. Dopo la Befana non va più bene.

    E’ un’ abitudine soltanto nostra, italica. Non c’è alcuna controindicazione, è proprio solo una abitudine. Che però trovo assurda. E che si ripete a Pasqua con le Colombe…

    Questa usanza ha una serie di conseguenze negative.  Innanzitutto si costringono le aziende produttrici – sia quelle industriali che artigiane – nei mesi di ottobre, novembre, dicembre a stress occupazionali (tripli turni, straordinari, ecc.) per poi rallentare, o addirittura interrompere il contratto lavorativo, subito dopo le feste natalizie.

    E poi tutto l’invenduto che fine fa? Va al macero?

    Qualche anno fa mi presentai a una grigliata estiva con un panettone, dopo aver controllato la data di scadenza, ovviamente. Non mancarono occhiate strane e battute ironiche da parte degli amici. Quando a fine pasto quel panettone fu servito con gelato alla crema, pistacchio e cioccolato fu un successo incredibile. Non mancarono i bis e i tris…

    In Francia, così come negli States, lo trovi disponibile 12 mesi all’ anno. Eppure è un dolce tipicamente italiano, perchè dobbiamo farci insegnare dagli stranieri che si può consumare sempre?

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  • L’ INSALATA RUSSA E’ PIEMONTESE?

    18 gennaio 2025 • CINQUE SENSI • 3364

    insalatarussa

    Noi la chiamiamo insalata russa e in Russia è conosciuta come insalata italiana. Come tante altre prelibatezze culinarie, le sue origini sono sconosciute e anche la motivazione di certi appellativi.

    E’ certo che nella Francia della Bella Epoque, alla fine dell’ Ottocento, e quindi anche in Piemonte, era di moda consumare un’ insalata di patate, fagiolini, piselli, carote condita con una maionese densa e arricchita con capperi e acciughe. Uno chef francese, in servizio presso Casa Savoia, la portò in Russia, all’ Hotel Hermitage di Mosca, e ne fece il suo cavallo di battaglia. Fu molto apprezzata dall’ aristocrazia moscovita e forse di lì deriva il suo nome.

    Quel che è certo è che in Piemonte non c’è massaia o famiglia dove non la si sappia preparare e apprezzare con gusto. Ognuno ha la propria ricetta segreta: chi ci aggiunge il tonno, chi le uova sode, chi le barbabietole.

    Ecco un’ altra spiegazione all’ appellativo “insalata russa”. L’ inserire la barbabietola fra i suoi ingredienti fa sì che il piatto assuma una tipica colorazione rossa, “rusa” in dialetto piemontese. Quindi l’ origine è piemontese? Mah, resta il mistero.

    Sicuramente non è originaria della Russia, forse francese, forse piemontese. Certamente da quasi 200 anni è un piatto inserito in tutti i menù delle feste, quasi sempre come antipasto della tradizione.

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  • GIROVAGANDO: ZOOM BIOPARCO CUMIANA

    17 gennaio 2025 • LUOGHI E LIBRI • 2311

    zoom

    A Cumiana, provincia di Torino, c’ è Zoom, un’immensa area verde, interamente pedonale, dove è possibile seguire un percorso tra Asia e Africa, alla scoperta di molti posti incantevoli: il Madagascar dei lemuri e delle tartarughe giganti; la Giungla Asiatica dei gibboni e delle tigri; la Fattoria del Baobab con gli asini somali, i dromedari e i buoi dei watussi; l’Anfiteatro di Petra con i suoi maestosi rapaci; il Serengeti con giraffe, zebre, struzzi e tante altre specie, tra cui l’imperdibile Hippo Underwater, il primo speciale acquario all’aperto, in Italia, dove è possibile vedere gli ippopotami nuotare sott’acqua tra 2.000 pesci tropicali coloratissimi; l’area dedicata all’interazione con animali docili, considerati domestici nei luoghi di origine delle specie, come caprette tibetane, pecore comisane e agnellini; lo Yangon che ospita il Panda Rosso, l’habitat di Manakara con le lontre, i boa e i pitoni.

    E’ possibile scoprire  infine come vive il popolo di Gengis Khan nel nuovo habitat ispirato alla Mongolia: vivi l’esperienza di entrare in una YURTA e non perdere l’opportunità di vedere gli yak della steppa e i cammelli del deserto Gobi.

    Ultimo arrivato al Bioparco Zoom di Cumiana, è  un esemplare maschio di rinoceronte bianco meridionale del peso di 1.236 chili, donato dallo zoo di Zurigo al bioparco Zoom di Torino. L’animale è un esemplare di quattro anni, nato in cattività nel gennaio del 2017 in uno zoo di Tel Aviv, quindi trasportato in Svizzera nel dicembre 2019, dove è rimasto fino a qualche giorno fa.

    Da Zoom, quindi, c’è tutto quello che serve per trasformare una giornata a contatto con la natura, in un’esperienza istruttiva e divertente.

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  • CHE RAZZA DI NOMI…

    16 gennaio 2025 • COSE NOSTRE • 358

    fiocconascita

    A Torino per i primi bimbi nati del 2025 sono stati scelti i nomi di Boran, Jason, Noah, Aiyan, Benicio e Nicolo’ Filippo. Ad Alessandria il primo del 2025 è stato Francesco, mentre l’ ultima del 2024 Druthi. A Novi Ligure Noah e Olona. Miriam Haley a Biella. Gabriele ad Alba. Francesco a Savigliano, Alma a Cuneo. Marco l’ ultimo nato del 2024 a Asti. Dion è venuto al mondo a mezzanotte a Verbania.

    Basta scorrere questa lista dei nomi per farsi un’ idea del Piemonte degli anni futuri. Sempre più multirazziale, sempre più legato al mondo della tv e dei social piuttosto che alle antiche tradizioni di tramandare il nome dei nonni per i neonati. Nessun giudizio morale o discriminatorio.

    Lungi da me.

    È il segno dei tempi. Io, come tutti i miei cugini, portiamo – come secondo nome – quello del nonno Saturno. Lui fu battezzato così, per ricordare l’ emigrazione di suo papà in Argentina e il suo viaggio sulla nave Saturnia.

    La nostra famiglia, in Langa, era conosciuta come “quelli di Saturno”…mi pare difficile immaginare che le nuove generazioni ricordino i Kevin, i Boran, i Jason, le Miriam Halley,  così come è finita la moda delle Patrizia, Barbara, Nadia, Martina, Sara, Dario, Daniele, Fabio, Giorgio e altri nomi in voga nei decenni più recenti.

    Una volta i sacerdoti battezzavano i bambini solo con nomi di santi nel calendario. E all’anagrafe di fronte a nomi sconosciuti e improbabili non mancavano gli errori di registrazione, che seguivano il malcapitato per tutta la vita.

    Sarà che sto invecchiando e che sono sempre più legato alle tradizioni, ma mi rendo conto che sarò uno degli ultimi a portare questo nome: Giuseppe. Me lo porto appresso, un po’ per caso e un po’ per ricordare un nonno che non ho mai conosciuto.

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  • LA CUCINA VALDESE SENZA DIVIETI

    11 gennaio 2025 • CINQUE SENSI • 2080

    supabarbetta

    I Valdesi sono un popolo di fede protestante.  Per secoli sono fuggiti da varie persecuzioni in diversi paesi dell’ Europa prima di installarsi a cavallo tra le valli Pellice, Germanasca e Chisone, in provincia di Torino. La loro è quindi una cucina di sussistenza, cioè si mangia quello che si ha e quello che si riesce a coltivare, ma che ha subito nel corso dei secoli varie contaminazioni. I Valdesi, come i piemontesi,  sono infatti un popolo di emigranti e lo conferma una visita al Museo dell’ Emigrazione di Frossasco

    “Una cucina di sussistenza, dove però nulla è proibito, si può mangiare tutto tutti i giorni, a differenza di quasi tutte le altre religioni” spiega Franco Turaglio di Slow Food di Pinerolo.

    Il piatto forte è la Supa Barbetta a base di grissini rubatà, toma di montagna e burro. Una zuppa condita con brodo di verdure il cui nome deriva da barbet, il soprannome che veniva dato ai Valdesi per via della barba che portavano quasi tutti gli uomini.

    Per i Valdesi nulla è proibito in termini di cibo e bevande, quindi  nemmeno il vino, soprattutto quello realizzato con le uve coltivate sulle colline e sulle montagne di quelle valli.22

    Conoscere e assaporare la cucina valdese è anche l’ occasione per scoprire alcune vallate alpine del Pinerolese, magari meno conosciute e famose, ma – forse proprio per questo – ancora più belle perché incontaminate

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  • SCAFFALE: BALLARIO E L’ EQUIVOCO DEL SANGUE

    10 gennaio 2025 • LUOGHI E LIBRI • 424

    MOROSINI

    L’Equivoco del sangue – edito da Capricorno – è la settima indagine effettuata dal maggiore Aldo Morosini – personaggio ideato da Giorgio Ballario – e ha inizio mentre il militare si gode qualche giorno di meritato riposo a Massaua: in una telefonata al fido maresciallo Barbagallo, il maggiore viene a sapere dell’uccisione, a coltellate e per strada, dell’irreprensibile e fidatissima domestica eritrea dei Bouchard, una delle famiglie italiane più note, ricche e potenti di Asmara, stanziali in Africa dalla fine dell’Ottocento.

    In un primo tempo, l’indagine sembra correre: è un omicidio avvenuto in seguito a un tentativo di stupro da parte di un paio di indigeni. Ma quello che parte come un caso risolto in una manciata di ore, si trasforma in un’indagine complessa, tanto da costringere Morosini ad un rapido e forzato rientro ad Asmara. Il maggiore della PAI, affiancato dal maresciallo Eusebio Barbagallo e dallo sciumbasci eritreo Tesfaghì, devono dipanare un gomitolo insidioso, fatto di verità celate e segreti inconfessati, che legano le vite dei coloni con quelle della popolazione locale.

    Anche in questo romanzo, ambientato in Eritrea alla fine del 1937, Ballario porta il lettore a conoscere e approfondire la storia della colonizzazione italiana, spesso dimenticata o appena e malamente accennata, nei testi scolastici.

    Ciascuna indagine è punto di partenza per analizzare usanze e costumi degli italiani insediati in quelle lontane terre, ma anche per approfondire le immancabili problematiche sollevate dal vivere in un paese così lontano dagli affetti e dalle tradizioni della patria.

    In questo romanzo, Giorgio Ballario mette sotto la lente d’ingrandimento il fenomeno del madamato: discussa pratica assai comune tra i coloni italiani, dettata dalle esigenze di una popolazione a netta prevalenza maschile. La sporadica presenza di donne italiane, faceva sì che i coloni stabilissero rapporti (non sempre limpidi e non sempre frutto di libera scelta) con donne indigene, sovente giovanissime. Un interessante articolo de La Stampa a firma Angelo Appiotti – cronista dell’epoca – dal titolo “Una città di scapoli. All’Asmara una donna ogni dieci uomini” – inserito da Ballario nel romanzo – aiuta a entrare in quello che è l’argomento principe del libro.

    Il romanzo è come sempre scorrevole, la scrittura diamantina dell’autore, così come l’inappuntabile ricostruzione storica, conducono il lettore in un mondo affascinante ed esotico, pieno di contraddizioni, ma senza dubbio interessante. I personaggi hanno, racconto dopo racconto, acquisito maturità e sono delineati da caratteristiche oramai familiari a chi ha percorso con loro le precedenti avventure. Anche il settimo episodio di questa fortunata serie  è un romanzo storico che cattura l’attenzione e fa viaggiare la fantasia. Ti fa venir voglia di leggere presto l’ottava indagine del maggiore Aldo Morosini nell’Africa orientale italiana!

    Patrizia Durante

    Giorgio Ballario

    L’equivoco del sangue

    Ed Capricorno

    € 14,00      

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  • INOLTRATO PIU’ VOLTE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE

    9 gennaio 2025 • COSE NOSTRE • 360

    PC Like

    Nella marea di auguri ricevuti in questi giorni c’è qualcosa che colpisce. Non credo riguardi solo il sottoscritto, ma un po’ tutti.

    Cominciamo da quelle decine e decine di video, foto, cartoline giunte sul nostro telefonino con la dicitura, in alto, “inoltrato”, o addirittura “inoltrato più volte”. Qualcuno mi sa spiegare il senso di tutto ciò? Non sarebbe meglio scrivere “Ciao”, “Auguri”, o qualsiasi altra forma semplice, ma personalizzata?

    Magari ci si aggiunge il nome della persona alla quale quegli auguri sono rivolti, e così è chiaro che sono indirizzati proprio a me e non si tratta soltanto di un generico copia-incolla o di un tasto di inoltro.

    Persone che non senti e non vedi da un anno, che ti girano quel genere di whatsapp, mail, sms, meme, post… lo dico chiaramente: personalmente arrecano più fastidio che piacere!

    Ma c’è un altro fenomeno di queste feste 2024-25 che fa riflettere. Lo avrete notato in molti. Si tratta del video “Chi si ama, si baci” con una serie di personaggi che si scambiano effusioni. Combinazioni improbabili: Salvini e Vannacci, Meloni e Schlein, Vespa e Fazio, Maria Defilippi e Milly Carlucci, e così via… Un video davvero tanto credibile da sembrare vero. E invece è stato creato con l’ impiego dell’ Intelligenza Artificiale.

    Fin qui niente di male. È divertente, e contiene un messaggio anche positivo. Ma apre un quadro davvero poco rassicurante. Pensate cosa si può fare con l’ Intelligenza Artificiale. Immaginate quali truffe, quali inganni, quali campagne politiche o pubblicitarie si possono inventare. Un falso video inviato ad una persona anziana da un presunto figlio o nipote che chiede urgentemente soldi per una emergenza inventata… e scatta il bonifico. È solo un esempio. Se ne potrebbero fare migliaia di altri…

    Ecco perché le liete festività che stiamo trascorrendo non possono – in nessuno modo – evitarci di usare le buone maniere, e di tenere allenata la nostra intelligenza, quella umana e non quella artificiale.

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  • BUON COMPLEANNO AL PANETTONE BASSO E LARGO

    4 gennaio 2025 • CINQUE SENSI • 2261

    galuppanettone

    Il periodo delle feste sta finendo ma torniamo a parlare dei dolci del Natale. La ragione è un anniversario importante: il panettone basso e largo, tipicamente piemontese, compie 103 anni. Fu inventato, infatti, da Pietro Ferrua nella sua pasticceria di via Del Pino a Pinerolo, nel 1922.

    In Piemonte venne subito chiamato Galup perchè la moglie di Ferrua, la signora Regina, appena lo assaggiò disse “a le propi galup”, aggettivo che in dialetto significa, ghiotto, buono.

    Fu immediatamente un successo. Il panettone basso e largo (evidente la differenza con quello classico milanese) incontrò  fin da subito i favori del pubblico, soprattutto quello locale, del Pinerolese, del Torinese e in parte di quello che arrivava dalla provincia di Cuneo. Soprattutto perchè Ferrua aveva deciso di utilizzare un prodotto tipico del Piemonte, la nocciola, per fare una glassa che  ricoprisse il panettone basso e largo.

    Ma è soltanto grazie a un volto famoso, l’ immagine della piemontesità, il comico Erminio Macario, scelto come testimonial per gli spot televisivi, che la fama del galup piemontese uscì dai confini regionali e conquistò l’ Italia intera, con il famoso slogan “la parte alta del panettone”.

     

    Con il passare degli anni, il pasticcere Pietro Ferrua passa la mano e cede la sua pasticceria alla Galup, industria dolciaria con sede sempre a Pinerolo.

    Oggi come cento anni fa la produzione del panettone basso e largo continua con lo stesso metodo, con i medesimi ingredienti ed incontra sempre i gusti del pubblico, specie tra i giovani e i bambini che adorano la glassa di nocciole con le mandorle e i pezzettini di zucchero.

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  • GIROVAGANDO: MUSEO DELL’ OMBRELLO DI GIGNESE

    3 gennaio 2025 • LUOGHI E LIBRI • 1878

    museoombrello

    Cosa hanno in comune Julie Andrews cioè Mary Poppins e Gene Kelly che canta e balla Singing in the rain?

    Sicuramente avrete risposto giusto. L’ombrello..

    Ebbene, a Gignese, nel Verbano-Cusio-Ossola, sulle colline piemontesi sopra il Lago Maggiore c’è un museo unico al mondo dedicato proprio al l’ombrello e al parasole. Una raccolta incredibile con pezzi unici che ripercorrono la storia degli ombrellai. Perchè nei secoli scorsi da queste terre, in particolare da Carpugnino e Gignese partivano il 1 gennaio giovani ombrellai diretti in tutta Europa per costruire e vendere oppure riparare parasoli e parapioggia.

    Davvero un museo unico che rappresenta anche un’attrattiva turistica per questa cittadina di mille abitanti nell’Alto Vergante. Davvero tanti i visitatori ed è un doveroso riconoscimento per il lavoro, i sacrifici, la tenacia ma anche l’ abilità di tanti ombrellai di questa zona.

    E quindi se volete sentirvi un po’ Gene Kelly o Mary Poppins basta fare un salto a Gignese e visitare il Museo dell’Ombrello e del Parasole

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