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  • LA POSTA, TRATTORIA DEI FORMAGGI

    17 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 5145

    formaggio-1

    05Sono tornato alla Trattoria della Posta di strada Mongreno dopo più di 30 anni.  E che sorpresa: nulla è cambiato, pare che il tempo si sia fermato. E lo dico a mo’ di complimento.

    D’ altronde la famiglia Monticone gestisce questa locanda da 3 generazioni, dal 1951. Prima il nonno, poi il papà e adesso Enzo. E’ il trionfo della cucina piemontese tradizionale, di quella buona. Se volete gustare i tipici piatti torinesi non potete non recarvi in questo piccolo locale ai piedi della collina, a pochi metri da corso Casale. Dalla Finanziera alla Bagna Caoda, dal Brasato, che comincia a cuocere alle 6 del mattino per essere pronto a pranzo, per non parlare degli Agnolotti. Una delizia. Pensate che lo chef è andato addirittura a prepararli nella cucina francese di uno chef stellato.

    Discorso a parte meritano i formaggi. Un autentico sogno. I piemontesi ci sono praticamente tutti, dal più delicato agli erborinati più importanti. Ogni giorno decine margari arrivano dalle diverse province piemontesi per fornire il ristorante che ovviamente li mette in bella vista nella splendida vetrina interna. Li potete gustare nei soufflè, negli antipasti ma soprattutto nella ruota, un disco di legno sul quale è servita una scelta di formaggi da mandare in visibilio le papille gustative.

    Un pranzo o una cena e vi sembrerà davvero di tornare alle osterie di una volta, alla piemontese. Ne uscirete molto più che sazi e avrete speso fra i 30 e 35 euro.

    TRATTORIA DELLA POSTA – STRADA MONGRENO 16, TORINO – TEL. 011 8980193

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  • GIROVAGANDO: L’ ABBAZIA DI STAFFARDA NEL SALUZZESE

    16 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 5039

    staffarda

    E’ uno dei gioielli medievali del Piemonte, purtroppo poco conosciuta, anche perchè poco pubblicizzata e non ben indicata nella cartellonistica stradale.

    Antichissimo complesso abbaziale, in quanto fondata tra il 1122 ed il 1138 sul territorio dell’antico Marchesato di Saluzzo. Nel giro di pochi decenni  l’Abbazia benedettina cistercense raggiunse una notevole importanza economica perchè era luogo di raccolta, trasformazione e scambio dei prodotti delle campagne circostanti, rese fertili dai monaci con estese e complesse opere di bonifica. L’importanza economica aveva portato all’Abbazia privilegi civili ed ecclesiastici che ne fecero il riferimento della vita politica e sociale del territorio.

    Nel 1690 i Francesi, guidati dal generale Catinat invasero l’Abbazia distruggendo l’archivio, la biblioteca, parte del chiostro e del refettorio; dal 1715 al 1734, con l’aiuto finanziario di Vittorio Amedeo II,  vennero effettuati lavori di restauro che in parte alterarono le originali forme gotiche dell’architettura.
    Con Bolla Pontificia di Papa Benedetto XIV, nel 1750, l’Abbazia ed i suoi patrimoni divennero proprietà dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro,  ed eretti  in Commenda.

    Del complesso abbaziale si apprezzano in particolare la Chiesa, con il Polittico di Pascale Oddone e il gruppo ligneo cinquecentesco della Crocifissione,  il Chiostro, il Refettorio, con tracce di dipinto raffigurante “L’ultima cena”, la Sala Capitolare, la Foresteria; gli altri edifici costituiscono il cosiddetto “concentrico” di Staffarda, ossia il borgo, che conserva tuttora le  storiche strutture architettoniche funzionali all’attività agricola, come il mercato coperto sulla piazza antistante l’Abbazia e le cascine.

    Questo gioiello cistercense merita davvero una visita per ritornare indietro nel tempo e riassaporare i silenzi della vita dei monaci, ma anche per scoprire le prelibatezze culinarie che ancora oggi vengono preparate e vendute. Prodotti tipici della zona da portarsi a casa senza mancare una visita in una delle tante trattorie che si trovano nei vicini comuni di Revello, Saluzzo, Moretta, Cavour dove potrete degustare pranzi tipici piemontesi con un rapporto qualità-prezzo davvero interessante

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  • IN AUTO COME TARTARUGHE

    15 agosto 2024 • COSE NOSTRE • 607

    autovelox-01

    Rivolgo un caloroso invito ai costruttori di auto. Per quel che riguarda l’Italia, mettete in produzione vetture che non possano andare a velocità superiori ai 70-90 km/orari.

    Lo dico dopo aver girato, nelle ultime settimane, in lungo e in largo il nostro Piemonte. Una macchina che vada più veloce non serve, è perfettamente inutile.

    La ragione? Eccovela.

    La guida è diventata un’autentica gimkana provocata dalla miriade di cantieri stradali, dei quali abbiamo già ampiamente discusso qui, su questa rubrica: Il Punto.

    Ovunque interruzioni, sensi unici alternati, restringimenti di carreggiata… su autostrade, statali, provinciali, comunali, vie di comunicazione importanti e secondarie. Sempre e solo lavori in corso.

    Laddove la strada sarebbe libera, e quindi si potrebbero raggiungere velocità appena più sostenute, ci si imbatte, però, nell’incubo autovelox.

    Veri, finti, fasulli, autentici, mobili, fissi… ce ne sono di ogni tipo. Se, sulla vostra auto, avete il navigatore con quelle simpatiche applicazioni tipo Waze, Google Maps, ecc… è tutto un concerto di bip e voci sintetiche che ci avvertono che siamo in prossimità di controlli della velocità.

    Non entro nella solita polemica se sono installati per la nostra sicurezza o per fare cassa…constato solo che ormai la velocità di guida, in città e fuori, non va mai oltre ai 50 km/orari, di media. Per non parlare dei limiti ai 30 orari, in alcuni centri urbani.

    Ecco il motivo dell’invito  a non costruire più auto veloci, grintose, scattanti. Non ci servono. Meglio che siano comode, confortevoli per viaggiare a velocità di poco superiori a una gita in bicicletta.

    E’ la realtà delle nostre strade.

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  • Carmagnola e la peperonata, un trionfo di sapori

    10 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 6040

    peperoni

    Carmagnola e peperone, un matrimonio che dura da oltre un secolo. La coltivazione dei peperoni fu infatti introdotta in Piemonte agli inizi del ‘900 da un orticoltore di Borgo Salsasio, una frazione di Carmagnola. Il peperone rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia del territorio, ed è conosciuto e apprezzato in tutta Italia per il colorito intenso e vivace, per lo spessore della polpa e il profumo deciso. La qualità elevata, abbinata alla genuinità, ne fanno un fiore all’occhiello della nostra agricoltura.

    Il Quadrato (Braghesis), il Corno di bue (Lung), la Trottola e il Tumaticon, queste sono le sole quattro tipologie che possono fregiarsi della denominazione Peperone di Carmagnola riconosciuta dal Consorzio dei produttori.

    I peperoni sono una fonte di vitamine e, per la loro versatilità, possono essere cucinati in vari modi, ottimi quando sono ripieni di carne, ma anche abbrustoliti sul fuoco e spellati, freschissimi nelle insalate miste e stuzzicanti cotti al forno e conditi con un po’ di Bagna caoda.

    Ma la peperonata è uno dei contorni preferiti da tanti e l’arrivo dei primi freddi scatena una voglia irresistibile. La preparazione è semplice anche se non bisogna avere fretta, i peperoni infatti richiedono un buon tempo di cottura e gli ingredienti devono ben amalgamarsi. La consistenza finale è importante: il sugo deve essere cremoso ma i peperoni non devono essere disfatti.

    Ingredienti per sei persone:

    1 kg di peperoni di Carmagnola rossi, gialli e molto polposi, 400 gr di pomodori pelati, 200 gr di cipolle dolci, 2/3 gambi di sedano, 2 spicchi d’aglio, olio extravergine d’oliva, sale, un ciuffo di basilico (facoltativo).

    Preparazione:

    Pulite l’aglio, le cipolle e il sedano, tagliate tutto a fettine sottili e mettete ad appassire a fuoco dolce nella padella con l’olio extravergine d’oliva per circa 20 minuti. Nel frattempo pulite i peperoni, lavateli, tagliateli a metà, eliminate il picciolo verde, i semi e le coste bianche interne. Tagliateli quindi a striscioline di circa 2 centimetri e quando cipolle, aglio e sedano saranno appassiti, uniteli nella stessa padella. Coprite e lasciate cuocere, sempre a fuoco dolce per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto. Unite quindi i pomodori pelati tagliati in quattro e un buon pizzico di sale grosso, mescolate e fate cuocere lentamente per circa un’ora facendo molta attenzione a non farla attaccare. La cottura sarà ultimata quando il sugo della peperonata tenderà a consolidarsi sul cucchiaio di legno. Come ultima cosa, se gradite, potrete profumare la vostra peperonata con un ciuffetto di basilico. Il vostro contorno è pronto ad essere abbinato ad arrosti di carni bianche o rosse, ma sarà ottimo anche con polpette o hamburger.

    Un consiglio: lasciate raffreddare la peperonata e gustatela su fette di pane tostato su cui avrete dato una leggera grattata d’aglio, potrebbe sorprendervi!

    Patrizia Durante

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  • SCAFFALE: AFFRESCO FAMILIARE DI DIBENEDETTO

    9 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2618

    Affresco familiare

    PER NON DIMENTICARE L’ AMICO MARCO, RECENTEMENTE SCOMPARSO, RIPUBBLICHIAMO LA RECENSIONE DI UNO DEI SUOI ULTIMI ROMANZI

    Politica, sesso, famiglia, elezioni, sangue, cibo… c’è tutto questo nel giallo “Affresco Familiare” di Marco G. Dibenedetto.

    Torino, si vota per il sindaco della città. Ad una settimana esatta dalla consultazione elettorale in un appartamento di piazza Solferino viene ritrovato il cadavere di una giovane donna. E’ la figlia di uno dei candidati, il favorito, alla poltrona di primo cittadino. Ad indagare, ovviamente, l’ispettore Rubatto e la sua squadra omicidi creata e allevata da Dibenedetto, uno dei soci fondatori di Torinoir.

    I piani alti della Questura “impongono” a Rubatto di risolvere il caso entro la giornata elettorale quindi nel corso di una settimana. Il racconto si snoda giorno per giorno, in un crescendo di suspence e di colpi di scena fra le vie del centro di Torino. Scuole di cucina, comizi elettorali, trattorie e stanzoni di Polizia fanno da scenografia alle indagini di Rubatto e dei suoi, Stafano e Aceto.

    Chi è l’assassino? Non possiamo svelarlo… Un indizio? Chiedere sempre al maggiordomo, consigliano i collaboratori di Rubatto. Quindi se non conoscete un maggiordomo il consiglio è di leggere il volume di Dibenedetto.

    Autore: Marco G. Dibenedetto

    Titolo: Affresco familiare

    Editore: Golem edizioni

    Prezzo: 11,90 euro

     

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  • FOLLIA: MILANO-CORTINA NO, FRANCIA 2030 SI

    8 agosto 2024 • COSE NOSTRE • 728

    faa3e4203e584f3f99a4da50fd025a66-0041-k5nD-U43440335233633qOE-593x443@Corriere-Web-Sezioni

    Quando ho letto le prime notizie stentavo a crederci. Ho voluto rileggere più volte i passaggi. Ed è proprio così. Torino ospiterà le gare di pattinaggio su ghiaccio-velocità nelle Olimpiadi Invernali del 2030 organizzate dalla Francia: lo ha deciso il Comitato Olimpico Internazionale. Sono proprio quei medesimi impianti rifiutati per i Giochi di Milano-Cortina 2026. Siamo alla follia.

    Sono stato recentemente a Cortina. E’ una cittadina di montagna trasformata in cantiere a cielo aperto. Si cerca di recuperare il tempo perduto per realizzare tutti gli impianti e si ha la consapevolezza di essere tanto in ritardo. Il presidente del Piemonte Alberto Cirio e il sindaco di Torino Stefano Lo Russo avevano proposto e offerto le strutture di Torino 2006, ci voleva poco per renderle operative per il 2026. Milano e Cortina hanno risposto di no, ancora stizziti per il rifiuto della giunta Appendino di entrare – fin dall’ inizio – a far parte del Comitato Olimpico.

    La medesima offerta è stata, invece, accolta dal governo francese e dal Cio. Insomma, Torino va bene per la Francia e non per l’ Italia. Incredibile.

    Tra due anni tutto il mondo guarderà all’ Italia per Milano-Cortina 2026 e Torino non ci sarà. I nostri territori dovranno aspettare il 2030.

    Non finiremo mai di ringraziare la giunta Appendino per il brutto regalo che ci ha fatto!

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  • LE 50 E PASSA VENDEMMIE DI CASCINA CASTLET

    3 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 2192

    cascinacastlet

    Dal 1970 ad oggi: Mariuccia Borio, instancabile anima di Cascina Castlet a Costigliole d’ Asti, ha festeggiato 50 anni di vendemmia con quello che lei definisce un “vino del cuore”, cioè la Litina Barbera d’ Asti Superiore.

    E’ un vino che arriva da quella vigna che portò in dote zia Litina, proprio accanto all’ azienda. Una Barbera solida e concreta “proprio come era zia Litina” ricorda Mariuccia Borio. Una produzione limitata di sole 20mila bottiglie con un’ etichetta particolare: tre C che stanno proprio per Cascina Castlet Costigliole. Il simbolo dell’ innovazione nel rispetto delle tradizioni e della generosità delle famiglie rurali dell’ Astigiano.

    La Barbera Litina matura in botti di rovere per otto mesi  e poi riposa in bottiglia per oltre un anno: è infatti un vino da bere dopo un buon invecchiamento.

    Cascina Castlet sono 31 ettari coltivati a vite nel territorio di Costigliole d’ Asti, colline vocate alla produzione della Barbera d’ Asti. Un vitigno che meglio esprime questa fetta di Piemonte e – come dice Mariuccia – “è il primo che ho imbottigliato, dopo la vinificazione fatta nella cantina sotto casa, in piccole vasche di cemento”. Proprio per questo è davvero il vino del cuore.

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  • GIROVAGANDO: IL GRAN BOSCO DI SALBERTRAND

    2 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2793

    granboscosalbertrand

    Il Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand si estende per 3775 ettari, dai 1000 m del fondovalle ai 2600 dello spartiacque con la Val Chisone, sui comuni di Chiomonte, Exilles, Oulx, Salbertrand, Sauze d’Oulx, Pragelato, Usseaux. Moderne località turistiche si alternano a tradizionali borghi montani, dove la natura è ancora autentica ed è tangibile la secolare presenza dell’uomo. I trinceramenti dell’Assietta e il Forte di Exilles sono solo alcuni esempi di quella storia del territorio che è scritta sui libri, ma in ogni dove sono evidenti le tracce lasciate dal lavoro dell’uomo, testimonianza di secoli di sfruttamento delle risorse e dei sacrifici di povera gente. Un esempio tra tutti, il Trou de Touilles, un’opera idraulica unica nel suo genere, una galleria a 2000 m di quota realizzata in otto lunghi anni, a partire dal 1526, da Colombano Romean, scalpellino di Ramats, divenuto per l’Alta Valle di Susa il personaggio simbolo del duro lavoro in montagna.

     Dal 1980 l’Ente Parco si occupa di tutela ambientale ma anche di valorizzazione del ricco patrimonio locale di cultura materiale ed immateriale e dal 1996 gestisce l’Ecomuseo Colombano Romean – lavoro e tradizione in Alta Valle di Susa, non un semplice museo ma un percorso-scoperta che si sviluppa tra borgo di Salbertrand ed area protetta  e si propone come strumento di ricerca, di testimonianza della memoria storica e delle tradizioni, di sviluppo territoriale.

    Lungo un itinerario ad anello di circa 7 km (tempo di percorrenza 3 ore circa), antichi edifici, manufatti ed attrezzi in uso nella vita quotidiana si presentano al visitatore come esempi di un passato oggi tutto da scoprire. I numerosi siti ecomuseali, dalla ghiacciaia ottocentesca al mulino idraulico, dalla Parrocchiale con i suoi tesori al sito dedicato al Glorioso rimpatrio dei Valdesi, raccontano secoli di storia e di sfruttamento delle risorse del territorio e costituiscono punti dimostrativi di attività produttive effettuate con tecniche tradizionali.

    Il Parco è stato istituito nel 1980 principalmente per proteggere la rigogliosa vegetazione ed in particolare le pregiate abetine e gli estesi larici-cembreti. E’ occupato per il 70% da boschi, e per il rimanente 30% da pascoli e praterie di alta quota. Le oltre 600 specie vegetali censite creano una varietà di ambienti con una fauna anch’essa particolarmente ricca di circa 70 specie di uccelli nidificanti e 21 specie di mammiferi, tra le quali dominano cervi, caprioli e camosci.

    Da sempre l’Ente Parco coniuga la tutela dell’ambiente con la conservazione e la valorizzazione della cultura materiale ed immateriale della propria comunità e dal 1996 gestisce l’Ecomuseo Colombano Romean lavoro e tradizione in Alta Valle di Susa. Dal 2012 fa parte del sistema di aree protette delle Alpi Cozie. Il suo territorio è inserito nella Rete Natura 2000 in base alle Direttive Habitat e Uccelli.

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  • TRENITALIA RIMBORSA, AUTOSTRADE NO

    1 agosto 2024 • COSE NOSTRE • 747

    CANTIERIAUTOSTRADE

    Nelle ultime settimane ho avuto la fortuna (o sfortuna, chissà….) di girare in lungo e in largo l’Italia. Da Torino al Trentino e ritorno. A Roma un paio di volte. In Alta Val Susa. In treno e in auto. Con un’unica costante: sempre in ritardo.

    Con il Frecciarossa, in entrambi le occasioni, abbiamo rasentato l’ora di ritardo. Tutte le autostrade che ho percorso sono una gimkana fra cantieri, sensi unici, restringimenti: e quindi, ogni volta, code, rallentamenti e percorrenze alla media di 50-70 km-orari, anziché i 130 consentiti.

    E qui scatta la differenza. Sostanziale.

    Per tutto il tempo del viaggio in treno, l’altoparlante spiega i motivi del ritardo e illustra le modalità per chiedere il rimborso. Per entrambi i viaggi compiuti con il treno Frecciarossa, compilando gli appositi moduli, ho maturato il diritto a un risarcimento del 25 per cento del costo del biglietto ferroviario.

    Lungo tutta la tratta autostradale, invece, non c’è scritto nulla e nessuno in grado di darti spiegazioni o vie alternative.

    E alla fine il pedaggio lo paghi per intero – senza alcuno sconto o risarcimento – per usufruire di un servizio che non vale neppure la metà del costo.

    E’ un sopruso. Ed è inaccettabile.

    Io pago 12,70 euro per andare d Torino a Bardonecchia in meno di un’ora. Se invece impiego 90 minuti (e a volte anche più) penso di aver diritto a un risarcimento. Automatico. Come per Trenitalia. E non di dover procedere per vie legali.

    Fino a quando siamo disposti a subire quest’ingiustizia? Fino a quando sarà lecita questa disparità di trattamento?

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  • IL CAFFE’ FIORIO A TORINO, UN ANGOLO DI STORIA

    27 luglio 2024 • CINQUE SENSI • 2983

    fiorio4

    Da più di 200 anni è un istituzione in Torino, alla pari della Mole Antonelliana, del Museo Egizio e del Museo del Risorgimento, delle vicinissime piazza Castello con Palazzo Reale, e di piazza Vittorio. Parliamo del Caffè Fiorio fondato nel 1780, a metà di via Po sotto i portici sempre trafficati di gente per il classico struscio.

    Nelle austere sale – che hanno mantenuto immutato il fascino da oltre due secoli – sono transitati milioni di persone, della borghesia e nobiltà subalpina ma anche la gente del passeggio di tutti i giorni che non può mancare l’ appuntamento con il gelato alla crema, al cioccolato o al classicissimo piemontese gusto Giandujia.

    Da Cavour a Massimo D’ Azeglio, da Nietzsche a Cesare Balbo… milioni di avventori, famosi e sconosciuti, sono passati fra le austere sale. Un bancone  in marmo del 1920, un enorme lampadario in stile liberty, salette riservate con tappeti, velluti bordeaux, boisery in legno. Carlo Alberto, ogni mattina, prima delle questioni di Stato, chiedeva che cosa si dicesse al Fiorio, perché era il circolo dei più influenti conservatori subalpini. Dal 1930 in poi ospitò parecchie riunione degli antifascisti torinesi. Oggi è ancora il punto di ritrovo per un momento di relax, per un caffè, un dolce, un gelato, ma anche per il dopoteatro o per incontri letterari. Qui è stato inventato il cono gelato.

     Chi lo frequenta o si avvicina anche solo per prendere un cono o una coppetta da consumare passeggiando apprezza soprattutto la qualità dei prodotti. Soltanto una decina i gusti di gelato: pochi fronzoli, si punta sui classici crema, stracciatella, cioccolato e gianduja

    La sfida del caffè Fiorio è sempre la stessa: soddisfare i gusti della clientela, quella riservata, tipicamente subalpina, ma pure andare incontro alle esigenze delle nuove generazioni. Insomma, contemperare un’atmosfera quieta e rétro, con le esigenze del pubblico dei nostri giorni. Consapevoli di un equilibrio che fonde sempre passato e presente.

     

     

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