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  • NINNA-NANNA CON IL TELEFONINO

    21 dicembre 2023 • COSE NOSTRE • 1677

    bambini-cellulare

    Quando ho letto i risultati della ricerca dell’ Associazione nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo, non credevo ai miei occhi: sono rimasto allibito.

    Più del 60 per cento dei neogenitori non racconta più favole ai bambini fino ai 3 anni, né canta la ninna nanna per farli addormentare. Usa delle APP del telefonino.

    La motivazione è che non c’è tempo e nemmeno energia.

    Anche per far mangiare il neonato, madri e padri si affidano alla tecnologia, perché richiede meno fatica. Oltre la metà dei genitori si intrattiene sullo smartphone durante le poppate o lo svezzamento (perdendo di fatto il contatto con il bambino!). Mentre il 64 per cento dei genitori ammette di usare il telefonino per intrattenere i figli durante la giornata.

    Lo confesso: ricordo perfettamente la “nana-cucheta”, cioè il canto della ninna-nanna di mia mamma, anche perché poi, lo ha ripetuto con mio figlio.

    Questo che sto per scrivere, non è una mia opinione, ma quanto sostengono gli esperti: la voce dei genitori ha un potere magico e rassicurante, soprattutto durante la fase dell’addormentamento.

    E poi le favole? Quando un genitore racconta una storia non è solo un fatto di sonorità o di parole, ma è un passaggio di tradizioni, di valori, di spiegazioni ed è un’opportunità per il bambino di sentirsi accolto in un contesto protettivo e amorevole.

    Sono momenti irripetibili. E noi li cediamo al telefonino?

    Il 41 per cento dei genitori riferisce di calmare il bimbo con lo smartphone quando piange o è arrabbiato. Cioè stiamo insegnando alle nuove generazioni a calmarsi o gestire le proprie frustrazioni, attraverso uno schermo illuminato.

    Non mi vengono commenti da fare.

    Lasciatemi al mio stupore e – se mi permettete – anche a un pizzico di indignazione.

     

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  • LA STORIA DEI PAVESINI

    16 dicembre 2023 • CINQUE SENSI • 5039

    Pavesini

    Hanno accompagnato la nostra infanzia. Molto più in televisione che nella nostra cartella. Le nostre mamme, per l’intervallo, preferivano preparaci un panino col prosciutto piuttosto che darci prodotti confezionati. Quando però ne entrava un pacco in casa era una vera festa. Stiamo parlando dei Pavesini, i biscotti nati a Novara dal genio di un fornaio: Mario Pavesi.

    La Pavesi biscotti S.p.A. ha già compiuto 60 anni, ma i Pavesini sono nati molto prima. Siamo nel 1937 quando Pavesi inizia la produzione del Biscottino di Novara in un piccolo forno: biscotti friabili, leggeri e dalla forma accattivante. Il passaggio successivo avviene nel 1940, Pavesi trasferisce la produzione in uno stabilimento con 20 dipendenti e cambia nome al prodotto, diventa il Biscottino di Pavesi, e poi Pavesini.

    L’idea vincente: trasformare il vecchio biscotto in uno più piccolo e confezionarlo in comode porzioni da portare sempre con sè, uno spuntino da mettere in borsetta o nella cartella dei bambini. E’ il 1953, l’Italia sta risorgendo dalle macerie della guerra, ma il fermento per il  boom economico è già nell’ aria.

    Nei primi mesi del 1954 Mario Pavesi inizia la grande impresa, apre uno stabilimento industriale in corso Vercelli a Novara e si affaccia al mondo della comunicazione e della promozione del prodotto. L’industriale fornaio ha le idee chiare è già nel 1952 investe 20 milioni di lire per una campagna pubblicitaria dove un Pavesino dotato di braccia e gambe si tuffa in una tazza di caffèlatte. Nel 1958 nasce l’orologio con i Pavesini al posto dei numeri delle ore, con la famosa scritta “E’ sempre l’ora dei Pavesini”.

    Chi non ricorda Topo Gigio, testimonial d’eccezione a Carosello che alla fine della sua scenetta raccomandava: “Tenetevi su con i Pavesini”? Una curiosità: negli sketch del Carosello vigeva una regola ferrea, per un minuto e quarantacinque secondi era vietato pronunciare il nome del prodotto reclamizzato, sarà per questo che il motto finale ci rimaneva così impresso? Mario Pavesi non si ferma però ai biscotti, è un grande imprenditore e quando l’Italia inizia appena a costruire le autostrade, a lui salta in mente di realizzare un autogrill. Dove? A Novara, ovviamente. Costruito sulla Torino-Milano nel 1950.

    Tutta la sua vita professionale è incisa in un bassorilievo che lo ritrae all’ingresso dello stabilimento Pavesi: “Arrivare prima degli altri”. E lui è arrivato prima in molte occasioni, con i Pavesini snack, con gli autogrill, ma anche con i cracker e nel 1967 con il primo biscotto farcito dell’industria dolciaria italiana: i Ringo e come dimenticare i Togo, parola che in dialetto significa straordinario, eccezionale? Un dolce successo piemontese a cui dare quindi il giusto risalto e di cui andare fieri. Mario Pavesi, un personaggio che ha saputo cavalcare l’onda del boom economico con qualità fantasia e innovazione. Insomma, un vero Togo!

    Patrizia Durante

     

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  • SCAFFALE: SENZA I TUOI OCCHI DI FILIPPA D’AGATA

    15 dicembre 2023 • LUOGHI E LIBRI • 1788

    SENZAITU0IOCCHI

    E’ sempre difficile recensire l’opera prima di un neo-scrittore. E poi, se quest’autrice la annoveri anche fra le tue amicizie, il compito si fa davvero ostico. Per questo, prima di esprimere pareri su ”Senza i tuoi occhi” di Filippa D’Agata  lo abbiamo voluto leggere in due, senza esternare commenti, per non influenzarci a vicenda.

    La recensione è quindi a 4 mani.

    Si tratta di un bel giallo, scritto bene, che scorre velocemente, dove tutti i personaggi sono chiaramente delineati nel carattere, nella psicologia e nel modus operandi. A cominciare da Olivia Castorina, siciliana, da poco nominata maresciallo della piccola caserma dei Carabinieri in un paese sul Lago Maggiore.  Fin troppo facile ritrovare segnali dell’autrice, Filippa D’Agata appunto, che, emigrata dalla provincia di Catania, inizialmente approdò proprio sulle rive del grande lago nel Nord del Piemonte. Nulla di strano: è normale che in qualsiasi romanzo ci sia qualcosa di autobiografico e lo si ambienti in luoghi conosciuti, specialmente se così pittoreschi e caratteristici.

    L’ autrice non ha mai fatto indagini, si occupa di tutt’altro, ma le sue reazioni e i suoi pensieri, di fronte a quell’ambiente e a quelle popolazioni, così diverse da quelle siciliane, appartengono a Olivia Castorina così come a Filippa D’Agata.

    Per il resto è una bella storia, con i tempi giusti, i precisi indizi, i ritmi sincopati del giallo che reggono bene fino alla fine, tenendo il lettore legato alle pagine. Inizia con il ritrovamento di 4 cadaveri che affiorano casualmente dalle rive del lago, 4 donne orribilmente mutilate con – all’apparenza – nulla in comune fra di loro. E invece, l’intuito, la tenacia e la testardaggine della giovane maresciallo, riusciranno a dare un nome e un volto a chi ha commesso i delitti.

    Se il buongiorno si vede dal mattino, attendiamo con curiosità il prossimo romanzo di Filippa D’Agata, convinti come siamo, che la seconda opera non è più semplice della prima, anzi, spesso è più complicata da immaginare, scrivere e portare a termine.

    Patrizia Durante

    Beppe Gandolfo

    FILIPPA D’ AGATA

    SENZA I TUOI OCCHI

    ECHOS EDIZIONI

    15 euro

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  • QUANDO LE PAROLE SONO PIETRE

    14 dicembre 2023 • COSE NOSTRE • 1427

    femminicidi

    Non mi piacciono le giornate dedicate a ….. qualunque sia il tema di sensibilizzazione. Le trovo un modo per scaricarsi la coscienza e poi – il giorno dopo – non pensarci più. Per questo ho volutamente lasciato passare il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Per tornarci oggi.

    Più di 100 donne vittime di morte violenta, da inizio anno, sono un pugno nello stomaco, una vergogna, un grido di disperazione che non può cadere nel vuoto e nel silenzio o valere per una sola giornata. Di parole e promesse ne abbiamo sentite tante in questi giorni, non entro nel merito. Mi limito a riportare un piccolo vademecum per un uso corretto delle informazioni, delle notizie, dei servizi tv quando si affrontano tematiche così delicate e impegnative

    • NON SCRIVERE MAI CHE E’ UN MOSTRO, E’ UN UOMO CHE HA UCCISO UNA DONNA
    • NON SCRIVERE MAI LA SUA FIDANZATA, LA SUA EX, SUA MOGLIE: TOGLI L’AGGETTIVO POSSESSIVO
    • NON SCRIVIAMO “ERA POSSESSIVO COME LO SIAMO TUTTI A  VENT’ANNI”
    • NON SCRIVERE MAI “IN UN RAPTUS”, SE E’ STATO UN RAPTUS LO DECIDERA’ IL PROCESSO
    • NON SCRIVERE MAI “FOLLE DI RABBIA E DI GELOSIA”, NON E’ UN FOLLE, E’ UN CRIMINALE ASSASSINO
    • NON SCRIVERE MAI “SEMBRAVA UN BRAVO RAGAZZO”, UN ASSASSINO NON VA GIUSTIFICATO MAI
    • NON SCRIVERE MAI “L’ AMAVA TROPPO”, PERCHE’ L’AMORE NON UCCIDE
    • NON SCRIVERE MAI “NON LITIGAVANO, E’ STATO UN CASO” , NON SAPPIAMO COSA SUCCEDE FRA QUATTRO MURA
    • NON SCRIVERE MAI “E’ STATO UN FULMINE A CIEL SERENO”, COME SE ALLA BASE CI FOSSE UN COMPORTAMENTO DI LEI
    • NON SCRIVERE MAI “L’ENNESIMO FEMMINICIDIO”, UNA DONNA UCCISA OGNI TRE GIORNI E’ UN’EMERGENZA NAZIONALE

    Si potrebbe continuare, aggiungere altri consigli. Questi sono quelli redatti da un gruppo di colleghe e colleghi che si occupano di cronaca.

    La vera regola da imparare e seguire è che le parole sono pietre, le parole formano il pensiero, il modo di affrontare un argomento, l’educazione di ognuno. Sempre.

     

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  • ALLA SCOPERTA DI VINI E VITIGNI RARI

    9 dicembre 2023 • CINQUE SENSI • 3359

    freisa-vino-03

    Il Piemonte è famoso nel mondo per i suoi vini nobili, Barolo, Barbaresco in primis. Poi ci sono altri vini, forse non altrettanto famosi, ma ugualmente apprezzati e conosciuti: Barbera, Dolcetto, Freisa, Grignolino, Moscato, Asti, Ruchè, Pelaverga, Erbaluce, Bonarda, Carema… e ne dimentico sicuramente qualcuno.

    Ma pochi sanno che la nostra regione ha una ricchezza – infinita quanto semisconosciuta –  di vini e vitigni rari. Piccole coltivazioni e produzioni ridotte che però rappresentano un tesoro da scoprire e valorizzare.

    Alle porte di Torino, sui pendi della Sacra di San Michele, è nata l’ Associazione tutela Baratuciat e vitigni minori. Il Baratuciat è un vino bianco che nasce in circa 8 ettari di vigneti nei territori della bassa Valsusa fra Trana, Buttigliera, Condove, Giaveno, Villarbasse: vinificato in purezza, ha profumi erbacei di sambuco, mela e eucalipto, ben strutturato..si beve che è un piacere.

    Se ci spostiamo in provincia di Cuneo ecco la Nascetta di Novello, vitigno semiaromatico coltivato in 85 aziende vitivinicole per un massimo di 390mila bottiglie. Il vino si accompagna bene con  antipasti freddi, formaggi, pesce crudo, crostacei e carni bianche.  Dall’ Astigiano arriva il Gamba di Pernice coltivato nei vigneti di Calosso, un rosso con profumo speziato, morbido al palato, di medio corpo tendenzialmente amarognolo. Quest’ anno viene messo in commercio, dopo 3 anni di affinamento, il prodotto del 2016, poche migliaia di bottiglie da non perdere.  E ancora l’ astigiano Uveline Uceline, vino di lusso che un tempo si regalava al dottore, al parroco, al podestà o al farmacista.

    Solo per citarne altri – sempre segnalati dalla Coldiretti – per la provincia di Alessandria il Slarina o Cellerina della Val Cerrina e dal Vercellese il Clone Cobianco di Ghemme.

    Insomma, è una vera e propria caccia al tesoro quella che si può fare alla ricerca di vitigni e vini rari del nostro Piemonte. L’ invito è di provarli e di segnalarcene altri.

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  • GIROVAGANDO.. L’ ABBAZIA DELLA NOVALESA

    8 dicembre 2023 • LUOGHI E LIBRI • 3694

    cropped-abbazia-novalesa

    L’Abbazia di Novalesa è il più antico complesso monastico della Valle di Susa. Situata nella panoramica Valle Cenischia, ai piedi del Colle del Moncenisio, l’Abbazia si trova in un ambiente suggestivo, contornata dalle cascate che scendono dalle Alpi Graie, nei prati posti a sud-ovest del paese.

    L’Abbazia è visitabile tutto l’anno. Consigliabile per i panorami il pieno inverno, la tarda primavera, l’estate o il primo autunno.

    Venne fondata nel 726 d.C. da Abbone, probabilmente un esponente della nobiltà franca. Fra i più antichi monasteri del Piemonte, divenne un importante centro monastico all’epoca di Carlo Magno, che probabilmente vi soggiornò prima di invadere l’Italia longobarda con la Battaglia delle Chiuse della Val di Susa.

    Successivamente danneggiata dalle invasioni dei Saraceni, vide il ritorno dei monaci intorno all’XI secolo, con un successivo periodo di splendore tra XI° e XII° secolo. Nel XIX° secolo venne espropriata e per effetto delle Leggi Siccardi venduta a privati, che la trasformarono prima in centro termale e poi in punto di ospitalità. Negli anni ’70 venne acquistata dalla Provincia di Torino e nel complesso abbaziale fecero ritorno, dopo centoventi anni, i monaci benedettini.

    La chiesa abbaziale della Novalesa, posta accanto al complesso monastico, è stata ricostruita quasi per intero nel XVIII° secolo. Ospita opere della pittrice locale Lia Laterza.

    La Cappella S. Eldrado è visitabile in alcuni orari durante l’apertura al pubblico dell’Abbazia. E’ un pregevole esempio di architettura medioevale alpina. Dedicata a un importante Abate della Novalesa, presenta affreschi dell’XI-XII° secolo. Da visitare il Museo del restauro del libro,  una realtà collegata all’attività oggi compiuta alla Novalesa dai monaci benedettini, esperti in restauro di antichi testi.

    In abbazia è presente un negozio per la vendita di prodotti realizzati dal monastero o dai confratelli di altre comunità.

    Fa pendant all’Abbazia il borgo storico di Novalesa, che ha conservato intatto il fascino di antica stazione di posta lungo la Via Francigena o Romea. La strada centrale, lastricata in pietra, da modo di ammiare le antiche case e la pregevole Chiesa parrocchiale, che conserva opere pittoriche della scuola romana. Nel borgo si possono ammirare scorci molto caratteristici. Il Comune di Novalesa ha restaurato una antica locanda posta lungo la via, chiamata Casa degli Affreschi.

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  • MANCANO CAMERIERI, DI CHI LA COLPA?

    7 dicembre 2023 • COSE NOSTRE • 1732

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    Non si è ancora spenta l’ eco per i successi della ristorazione piemontese – pluripremiata dalla Guida Michelin e apprezzata da turisti e atleti accorsi a Torino per le ATP Finals o per qualcuna delle tante fiere che caratterizzano i week end di novembre e dicembre – ed ecco che arriva subito un grido d’allarm: manca personale qualificato.

    Secondo la Confcommercio il 60% degli imprenditori lamenta, infatti, difficoltà a trovare personale. Mancano all’appello oltre 150 mila addetti a livello nazionale, per quel che riguarda il personale di sala. E in Piemonte mancano circa 15 mila addetti. Chi lavora in sala e al banco è la prima interfaccia tra locale e cliente. I camerieri, i maître di sala e il personale in genere, hanno una grande responsabilità: sono i portabandiera del ristorante o del bar in cui lavorano. E bisogna essere preparati per farlo bene.

    Scarso appeal per questi mestieri? Certo, ma anche colpa di trattamenti economici e contrattuali spesso non  adeguati: recentemente il titolare di un noto ristorante di Torino mi ha confidato che i suoi 12 dipendenti lavorano – da contratto – 40 ore alla settimana, cioè 8 ore per 5 giorni, con due di riposo. Quanti locali usano lo stesso parametro per i propri collaboratori?

    Ma colpa anche della scarsa attenzione di noi, clienti. Raramente il  cameriere viene trattato con rispetto e riguardo. Per non parlare delle mance, spesso davvero pochi spiccioli. Negli Usa è obbligatoria, cioè il 10-15-20 per cento del conto a scelta, in base alla soddisfazione del cliente.

    “Lavorare nella ristorazione – ha ben evidenziato Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Torino e provincia – è sicuramente un mestiere duro, che richiede sacrifici e grande serietà. Significa lavorare quando gli altri fanno festa, significa sacrificare la famiglia e gli affetti, ma significa, per contro, avere sempre opportunità di impiego, crescere professionalmente in un mondo ricco di offerta, sviluppare abilità comunicative e sociali e costruire giorno dopo giorno il proprio successo personale”.

    I cuochi sono diventati tutti chef, vere e proprie star. Così deve essere anche per camerieri, baristi e personale di sala. Perché il successo e il gradimento di un locale dipende anche da loro.

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  • SALAME DEL PAPA, DOLCE PIEMONTESE PER TUTTE LE FESTE

    2 dicembre 2023 • CINQUE SENSI • 5029

    salamadelpapa

    C’è chi lo chiama salame di cioccolato, chi salame turco, chi salame del re. In Piemonte, dove pare sia stato inventato, è  conosciuto da tutti come Salame del papa

    Sull’ origine di questa definizione però le spiegazioni differiscono. Alcuni sostengono che era il classico dolce da  mangiare in Quaresima per aggirare i divieti e  gli obblighi al digiuno della religione cattolica e quindi che aveva la benedizione del Papa. Altri invece sostengono che, essendo un dessert particolarmente prelibato, mettendone in bocca una fetta ti facesse stare proprio come un Papa.

    In realtà  è un dolce delizioso quanto semplice da preparare. Siamo andati in un angolo incantevole del Piemonte, a Montechiaro d’ Asti, fra prati, pascoli, colline per imparare la ricetta originale, proprio come lo facevano le nostre nonne. Giovanna, rinomata agrichef del Monferrato, ce lo prepara fra  le galline che razzolano nell’aia, le vacche al pascolo. Così  alla buona, senza segreti in un paesaggio bucolico che moltiplica l’ appetito e il piacere di gustare questa  prelibatezza.

    “Gli ingredienti base sono la nocciola Piemonte, il biscotto novellino, il cacao zuccherato e amaro , un uovo, un po’ di zucchero e un pezzo di burro; essenziale anche il rum. In una terrina mettiamo il burro che abbiamo lasciato all’ aperto perchè si ammorbidisca, aggiungiamo il cacao, il rum, le nocciole, i biscotti triturati, l’ uovo e cominciamo a impastare con le mani. Occorre legare bene gli ingredienti tra di loro per dare la giusta consistenza. Diamo all’ impasto la forma di un salame, lo cospargiamo con il cacao zuccherato: lo chiudiamo in una carta stagnola. A questo punto mettiamo il Salame del Papa in frigo dove rimarrà tutta la notte e il giorno dopo sarà pronto per essere tagliato a fetta e portato in tavola”.

     

    Un tempo era il tipico dolce pasquale, altra possibile spiegazione per il nome Salame del Papa: adesso è  davvero il dessert per tutte le stagioni. Natale, Pasqua, Ferragosto, va sempre bene e quando arriva in tavola è gran festa.

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  • SCAFFALE: TORINO IN CARROZZA DI BASSIGNANA

    1 dicembre 2023 • LUOGHI E LIBRI • 1625

    tram

    Nel 1835 un certo signor Adrien Toaran di Lione fece istanza al Comune di Torino per ottenere la concessione per l’esercizio di una linea di vetture omnibus. L’istanza venne respinta. Bisognava attendere dieci anni quando il signor Giovanni Rissone, che già svolgeva analogo servizio fra Torino e Moncalieri, riuscì a ottenere la concessione di due linee: una sul tragitto via della Rocca – piazza Emanuele Filiberto; l’altra da Porta Susa a Porta di Po. Il prezzo della singola corsa era di 10 centesimi.

    Il libro di Pier Luigi Bassignana, ricco di tante fotografie storiche inedite, ci racconta la storia di Torino attraverso quella della rete dei trasporti pubblici che, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ha dato modo a cittadini e ai lavoratori, ai turisti e ai viaggiatori, ad adulti e bambini, di attraversarla e di viverla. Agli inizi con le vetture a omnibus per cavalli fino al tramway, cioè la carrozza per tutti come la definì Edmondo De Amicis

    Dai primi collegamenti cittadini negli anni ‘40 dell’Ottocento alla nascita del trasporto cittadino su rotaia, che fu avviato alcuni anni dopo l’Unità d’Italia, fino alla Tav. Le vetture omnibus trainate da cavalli con guida di rotaia, che dominarono per quasi 50 anni il trasporto pubblico urbano di Torino; i primi tram elettrici (1898); la funicolare di Superga e quella per il Monte dei Cappuccini, che nei mesi invernali quando nevicava diventava una sorta di impianto di risalita trasformando il Monte dei Cappuccini in una Bardonecchia urbana; il trenino Torino-Rivoli; il traforo del Frejus; i treni popolari degli anni Trenta del Novecento e i viaggi organizzati come la “Giornata della neve” a Bardonecchia il 5 febbraio del 1934; la monorotaia di Italia ’61, la metropolitana “leggera” e quella sotterranea.

    PIER LUIGI BASSIGNANA

    TORINO IN CARROZZA

    EDIZIONI DEL CAPRICORNO

    14 euro

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  • STELLE MICHELIN? DA NOI SI MANGIA SEMPRE BENE

    30 novembre 2023 • COSE NOSTRE • 2137

    STELLAMICHELIN

    Fa discutere, in queste settimane, la nuova classifica della Guida Michelin che assegna, tra l’ altro, due stelle allo chef Mammoliti di Serralunga d’ Alba e una stella verde all’ agri-relais Coltivare di La Morra (meritatissima), ne toglie ad alcuni cuochi piemontesi e non premia altri locali che aspettavano l’ambito riconoscimento.

    Giusto? Sbagliato? Discutibile. Lo dicevano già i latini: “de gustibus non disputandum est”.

    Certo, la Stella Michelin dà prestigio e porta clienti. Ma non è quella l’unica unità di misura per giudicare uno chef. A cominciare dal fatto che ci sono altre guide e tanti altri riconoscimenti: per la Michelin il Piemonte è al quarto posto fra le regioni italiane, per altre recensioni, la nostra è la regione dove si mangia meglio.

    Sono convinto, come dilettante gourmand, e come giornalista che da un paio d’anni racconta piatti, ristoranti e vini del territorio, che in Piemonte si mangi davvero bene, praticamente ovunque. Il livello della nostra offerta enogastronomica è cresciuto, dall’osteria di paese, allo chef pluristellato. Quel che manca ancora è un po’ di cura nei particolari. Ancora tovaglioli di carta, posaterie fuori luogo e fuori posto, scarsa conoscenza dell’abbinamento dei vini, menù presentati alla rinfusa… e potremmo continuare. Ma sono appunto particolari, che però fanno la differenza.

    Infine, ancora una nota, un po’ polemica.

    E’ incredibile e inaccettabile che Torino non abbia un due o tre stelle Michelin. Il capoluogo della Regione, che vanta di essere la capitale dell’enogastronomia, dagli Anni Settanta non ha più un ristorante pluristellato. E’ un obiettivo prestigioso e, su questo, è fondamentale che intervengano e investano i privati, le fondazioni e le istituzioni.

    Altrimenti è vero che si mangia bene quasi ovunque, ma senza eccellenze. Insomma, il nostro classico… esageruma nen…

    Così non ci sarà mai il salto di qualità. Alba e le Langhe lo insegnano a tutti.

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