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  • La polenta, da cibo dei poveri a piatto degli chef

    16 novembre 2024 • CINQUE SENSI • 10400

    polenta

    “A mezzogiorno come a cena passavano quasi sempre polenta, da insaporire strofinandola a turno contro un’acciuga che pendeva per un filo dalla travata; l’acciuga non aveva già più nessuna figura d’acciuga e noi andavamo avanti a strofinare ancora qualche giorno, e chi strofinava più dell’onesto, fosse ben stata Ginotta che doveva sposarsi tra poco, Tobia lo picchiava attraverso la tavola, picchiava con una mano mentre con l’altra fermava l’acciuga che ballava al filo.” Beppe Fenoglio – La Malora –

    Da sempre è definita il piatto dei poveri ma recentemente ha acquistato nuova dignità. Sdoganata da molti chef stellati, appare sempre più spesso nell’alta cucina internazionale.

    La polenta, così diffusa in tutto il Nord Italia, è un piatto quasi irrinunciabile, fa parte della nostra tradizione culinaria e nella stagione fredda arriva spesso sulle tavole. Inutile negarlo, un piatto di polenta mette allegria, il colore giallo intenso ricorda il sole, e il sapore particolare ne fa la compagna ideale per formaggi, carni e sughetti; ma è deliziosa anche con una noce di burro e una bella grattata di parmigiano.

    Le origini della polenta sono antiche, in Europa si è diffusa quando Cristoforo Colombo, al ritorno dall’America, portò alcune piantine di mais (o grano turco). Il navigatore spiegò che gli indigeni erano soliti macinare i chicchi e quindi far cuocere la farina ottenuta con l’acqua, il composto veniva poi servito con salse, legumi e carni. La pianta attecchì in maniera formidabile nel nord del nostro Paese e questo fece sì che fosse per molto tempo il piatto principale dei coltivatori e delle loro numerose famiglie.

    Il sapore della polenta si adatta a qualsiasi cibo, i contadini trovarono quindi mille modi per abbinare la polenta, nutriente e poco costosa, ai piatti esistenti e in certi casi prese il posto del più caro pane. In epoca di carestia molti arrivarono a consumare solo polenta, tanto che si sviluppò la pellagra, malattia dovuta alla carenza di sostanze nutritive differenziate necessarie all’organismo.

    Le ricette della tradizione contadina sono tutte ottime e la polenta si può preparare in un’infinità di modi: fritta, abbrustolita, concia (con aggiunta di formaggi e burro), al forno, ma è ottima servita a fianco dei brasati, accostata agli stufati di selvaggina, al coniglio alla cacciatora o al pollo in umido. Insomma un “raggio di sole” che ben si abbina ai piatti di carne dal sapore robusto.

    Diverse sono le varietà di farina, in Veneto amano la polenta bianca, in Valtellina non rinunciano alla polenta taragna, grezza ma molto saporita, in Piemonte va per la maggiore la polenta gialla a grana grossa o fina. Solida da tagliare col filo, oppure “lenta” per amalgamarla meglio col formaggio fuso… insomma, anche in questo caso la fantasia degli italiani non ha limiti.

    Un ultimo consiglio e un avvertimento: preparate una polenta dura, fatela raffreddare, tagliatela a fettine e intingetela nella bagna caoda, attenzione però, può creare dipendenza!

    Ingredienti: Acqua 2 litri, Olio extravergine d’oliva 1 cucchiaio, Sale grosso 1 cucchiaio raso, Farina di mais ½ kg.

    Versate l’acqua in una pentola capiente, mettetela sul gas e portate ad ebollizione, appena bolle aggiungete il sale grosso e l’olio extravergine d’oliva. Versate quindi la farina di mais molto lentamente e a pioggia, mescolando con una frusta robusta (tipo quella per dolci), eseguite quest’operazione con molta attenzione perché non si formino grumi fastidiosi. Quando avrete versato tutta la farina potrete sostituire la frusta con un cucchiaio di legno.

    Nel momento in cui la polenta riprenderà a bollire, abbassate il gas al minimo e coprite la pentola con il coperchio, mescolate di tanto in tanto dal basso verso l’alto in maniera da amalgamare bene i diversi strati. Se durante la cottura la vostra polenta dovesse risultare troppo dura, aggiungete un mestolo d’acqua bollente e incorporate bene. Dopo circa 40 minuti la polenta dovrebbe iniziare a staccarsi dal bordo della pentola, continuate la cottura per altri 20/30 minuti, sempre a pentola coperta e sempre a fuoco basso.

    Terminata la cottura la polenta si può versare su un tagliere e portarla in tavola così com’è, se amate invece un composto più morbido, versatela in una terrina e portatela in tavola calda e fumante.

    Buon appetito!

    Patrizia Durante

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  • SCAFFALE: CAROLINA INVERNIZIO E LA SUA NINA

    15 novembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 571

    invernizio

    Carolina Invernizio, nata a Voghera ma sempre vissuta in Piemonte fra Torino e Cuneo, è stata la precursora del romanzo rosa, o d’ appendice,  in Italia, ben prima di Liala. Ha scritto un’ infinità di libri, a metà fra il giallo e il sentimentale. Adesso, grazie alle Edizioni Capricorno, un suo volume è tornato in libreria: “Nina la poliziotta dilettante” .

    Siamo agli inizi del Novecento, nella zona della barriera di Orbassano, nei pressi di piazza d’Armi, allora esistevano poche case sparse, abitate da famiglie di operai. Una zona poco sicura, poiché nelle bettole delle vicinanze e nei prati attigui si davano convegno i malviventi della città. Ed ecco, infatti, un misterioso delitto: verso le cinque del mattino su un prato c’è un uomo steso a terra, immerso nel sangue. E’ il conte Carlo Sveglia, ucciso quella notte dopo essere uscito dalla casa della fidanzata Nina Palma, una giovane operaia, immediatamente indicata come prima sospetta. Ma….

    Di lì in poi si snoda la trama perfetta, quella di un noir assai moderno.

    Quando, nel 1909, dette alle stampe “Nina la poliziotta dilettante”, Carolina Invernizio aveva già pubblicato ben 63 romanzi. Ma “Nina” ha una particolarità nella storia della letteratura italiana: è il primo giallo ad avere come protagonista un’ investigatrice femminile, anticipando di oltre vent’ anni Agatha Christie e le av­venture di Miss Marple. E poi, oltre alla protagonista, tutti i personaggi della narrazione della vicenda sono donne.

    Tante quindi le ragioni per scoprire – o riscoprire – Carolina Invernizio attraverso la “sua” Nina

    CAROLINA INVERNIZIO

    NINA LA POLIZIOTTA DILETTANTE

    Capricorno Edizioni € 12,00

     

     

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  • STELLANTIS E ELKANN, NE’ TORINO NE’ ITALIA

    14 novembre 2024 • COSE NOSTRE • 606

    FIAT

    Vi ricordate l’acronimo FIAT? Stava a significare Fabbrica Italiana Automobili Torino.

    E’ definitivamente morto!

    Due esempi.

    Nei giorni scorsi all’Assemblea degli Industriali di Torino, in sala, non c’era nemmeno un rappresentante di Stellantis, che peraltro non è più iscritta. E il neopresidente Marco Gay non l’ha neppure nominata, sebbene abbia parlato del Torinese come Zona Economica Strategica, ancora adesso, e soprattutto per l’auto e il suo indotto.

    Il divorzio della Fiat e degli Agnelli da Torino fa male, inutile nasconderlo: fa male.

    Secondo episodio. Il presidente di Stellantis, John Elkann, ha scritto una lettera al Parlamento Italiano per dire che non andrà in audizione alla Camera, come era stato chiesto da alcuni gruppi politici. Si voleva apprendere dalla bocca del nipote dell’Avvocato, e quindi primo erede dell’impero, qualcosa di più esplicito sull’impegno del colosso industriale nel nostro Paese. “Non abbiamo nulla da aggiungere rispetto a quanto già illustrato dall’amministratore delegato”, ha scritto Elkann. Insomma: tutto quel che c’era da dire è già stato detto. Il succo, come si ricorderà, è che servono più incentivi, chiesti dall’ad Carlos Tavares, che peraltro è portoghese e sta a Parigi. “Scavalcare il Parlamento è un atto grave”, ha commentato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana.

    Dopo tutto Elkann non fa che continuare la specialità della casa, una specialità che ha contraddistinto la Fiat negli anni, e cioè la straordinaria propensione a socializzare le perdite e tenersi gli utili.

    Questa è la situazione, piaccia o non piaccia. Fiat e Agnelli non sono più ne’ Torino né Italia.

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  • TUTTO PRONTO PER LA BAGNA CAODA

    9 novembre 2024 • CINQUE SENSI • 2772

    bagna-cauda-small

    Acciughe, aglio e olio, questi sono i tre ingredienti della bagna caoda. Va servita in ciotole di terracotta che ne mantengano la giusta temperatura e accompagnata con ortaggi autunnali crudi e cotti. Nessuno dubbio sul fatto che sia un piatto tipico piemontese, ma per quanto riguarda le origini, sono in molti a contendersi la paternità. I cugini francesi, che proprio non sopportano di essere secondi a qualcuno, dicono la loro: la nostra amata bagna caoda deriverebbe dalla loro Anchoiade, nata nella notte dei tempi in Provenza e importata dai mercanti astigiani durante le spedizioni in quella terra per rifornirsi di sale e acciughe, peut-être.

    Ci piace di più la storia che parla dei mercanti francesi, provenienti dalla Provenza e dalle foci del Rodano, che attraversavano le Alpi Marittime, sulle antiche vie del sale, e portavano nel basso Piemonte acciughe sotto sale per avere in cambio vini, carni e ortaggi. Le acciughe sono infatti molto utilizzate nella cucina piemontese, non solo nella bagna caoda, ma anche conservate con il bagnet verd o ross o anche solo adagiate su una falda di peperone arrostito.

    Nei testi storici di gastronomia piemontese purtroppo è difficile trovare tracce della bagna caoda, perché considerata un piatto contadino e riservato alla tavola dei poveri; il suo alto contenuto d’aglio con le temibili conseguenze, la escludevano dalle mense dei nobili. Ma nel mondo contadino non era considerata un piatto della quotidianità, la bagna caoda si preparava nei momenti di convivialità e di festa. Era il piatto della fine della vendemmia, in cui ci si lasciava alle spalle un’annata di lavoro e si poteva perdere tempo a tavola.

    Ancora oggi la bagna caoda ha questa caratteristica, è bello mangiarla in compagnia, spendendo il tempo tra chiacchiere, risate e un buon bicchiere di vino.

    La ricetta della Bagna caoda ha regole precise: la vera anima del piatto è l’aglio ma anche le acciughe devono essere di prima qualità e belle carnose, per mantenere un’elevata qualità è obbligatorio aggiungere solo olio extra vergine d’oliva. Le verdure da intingere sono quelle degli orti piemontesi, immancabili i cardi gobbi di Nizza Monferrato o gli spadoni di Chieri, i peperoni in tutte le versioni, i topinambur, i cavoli di ogni tipo crudi o cotti, i porri, i cipollotti, le patate bollite ecc… Ma anche la polenta fritta e per finire, un uovo crudo da strapazzare nell’ultimo cucchiaio di bagna caoda rimasto nel tegamino di coccio.

    Patrizia Durante

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  • GIROVAGANDO: LEGRO D’0RTA, IL PAESE DIPINTO

    8 novembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1000

    legro

    Sulle colline sopra il Lago d’ Orta, c’è la frazione di Legro, provincia di Novara, il Paese Dipinto, 400 abitanti e 80 murales sulle pareti delle case per raccontare la storia del cinema italiano. Una realtà unica in Italia, un’idea scaturitai 25 anni fa dalla fertile mente di Fabrizio Morea

    Si narra la storia del cinema, in particolare dei film girati in Piemonte: la passione per il cinema e le bellezze dei luoghi, un modo per attrarre turisti

    Il film d’ animazione “La Freccia azzurra” è il tema del primo murales, realizzato 25 anni fa, e adesso anche i bambini delle scuole elementari di Legro ne hanno fatto un altro.

    Spiccano i  murales di “Pane amore e fantasia”, della “Stanza del Vescovo” e di “Riso amaro”,  il film sulle vita delle mondine con Silvana Mangano

    Il consiglio è di addentrarsi tra le viuzze di Legro d’ Orta, il Paese Dipinto, alla ricerca di murales e quindi della storia del cinema.

     

    Un Paese Dipinto in continua evoluzione. Legro si prepara a festeggiare i primi 25 anni con l’ impegno del territorio, e quindi con nuovi murales. Uno dei prossimi sarà dedicato a Fausto Coppi e alle sue gesta sulla bicicletta proprio per le strade attorno al Lago d’ Orta.

     

     

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  • ALLUVIONE DEL 94, COSA E’ CAMBIATO?

    7 novembre 2024 • COSE NOSTRE • 711

    Alluvione-del-Piemonte-del-5-Novembre-1994

    Sono passati già 30 anni. Erano i primi di novembre, quelli che vengono dopo i Giorni dei Morti. E cominciò a piovere. Tanto, tantissimo.

    Le province di Cuneo, Torino, Asti e Alessandria furono pesantemente colpite da un violento evento alluvionale, che causò l’esondazione dei fiumi Po, Tanaro e molti loro affluenti (in particolare il torrente Belbo), causando 70 vittime e più di 2000 sfollati. Dopo 3 giorni di piogge continue (oltre 600 mm in 48 ore) il Tanaro crebbe a livelli spaventosi. Un’onda di piena si formò il giorno 5 novembre a Ormea e, correndo verso valle, devastò con furia inaudita tutto il suo corso e decine di centri abitati lungo le sponde, sino a giungere presso la confluenza nel Po alle prime ore del giorno 7 novembre. Anche il Grande Fiume esondò, seminando distruzione. Colpite furono le città di Ceva, Alba e Asti, inondate per un terzo della loro superficie e soprattutto Alessandria, sommersa quasi per il 50% del territorio, lì persero la vita 14 persone. La furia delle acque spazzò via tutto.

    In questi giorni diverse località nei territori devastati organizzano commemorazioni e ricordi dell’alluvione del ‘94.

    In quell’ epoca ero cronista per l’Agenzia Ansa e percorsi nel fango tutto il Sud Piemonte. Ancora oggi mi vengono le lacrime agli occhi nel ripensare e rivedere quei paesi invasi dall’acqua, con quella forza spaventosa che porta via tutto. Risento il rombo della corrente sotto i ponti. Mi torna nelle narici l’odore del fango che ha invaso gli stabilimenti della Ferrero ad Alba. Non riesco a scordare la disperazione di famiglie che hanno perso tutto.

    E mentre penso a tutto ciò. ecco che la televisione mi ripropone le medesime immagini, dall’Emilia Romagna, dalla Liguria, dalla Toscana, da altre zone d’Italia.

    30 anni passati inutilmente? Quando piove finiamo sempre sott’ acqua?

    Nel 1994 ricordo che la tragedia fu causata dalle mancate comunicazioni: i Comuni a monte dovevano lanciare l’allarme per le piene di torrenti e fiumi, via fax, ai Comuni a valle. Ma il tutto accadde tra sabato e domenica quando gli uffici erano chiusi e nessuno lesse i primi fax. Adesso la tecnologia ha fatto passi da gigante, eppure sembra che questa povera Italia non abbia imparato niente.

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  • MENU’ PIEMONTESE PER LE FESTE DEI SANTI

    2 novembre 2024 • CINQUE SENSI • 2716

    CISRA

    Ognissanti, una festa con origini profonde e antiche, così come sono antiche le tradizioni che l’accompagnano e che non ne vogliono sapere di cedere il passo alla festa commerciale e urlata importata dagli States. Insomma, da buoni piemontesi vogliamo resistere e conservare i sapori e le usanze di una volta.

    Le origini contadine della nostra regione sono quelle che maggiormente contraddistinguono questa festività che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, rappresentava un momento di grande vicinanza ai defunti, ma anche il passaggio tra la bella stagione del lavoro e dei raccolti, al momento di riposo delle campagne.

    E’ il capodanno agricolo e pastorizio che segna la fine della vendemmia, il rientro delle mandrie dai pascoli estivi e il ritorno della gente nelle case, al riparo dai rigori dell’inverno. Ma nei secoli passati era considerato, molto più di oggi, un periodo di meditazione interiore e quindi di contatto con l’aldilà, da qui l’esigenza di celebrare con riti significativi e propiziatori la conservazione della fertilità della terra, della salute degli uomini che dovevano superare la stagione gelida e oscura.

    Nelle campagne e nelle vallate piemontesi, nella sera d’Ognissanti, era usanza recarsi in visita al cimitero lasciando la tavola imbandita, in modo che le anime dei defunti postessero  rientrare nelle loro case e banchettare; il ritorno dei vivi nelle abitazioni veniva annunciato dal suono delle campane, così che i defunti potessero dileguarsi. Era anche usanza recitare il rosario tra parenti e concludere con una cena in famiglia. In molti luoghi era ben augurante lasciare a tavola un coperto vuoto dedicato ai defunti.

    La tradizione della zucca illuminata, come promessa di resurrezione, è viva anche in Piemonte, accompagnata da quella della zucca essiccata e riempita di vino che simboleggia la consolazione.

    Il piatto tipico regionale per la notte di Ognissanti è la Cisrà, un antichissimo piatto della tradizione culinaria delle Langhe ma diffuso in tutto il Piemonte. Si tratta di una zuppa a base di ceci e verdure a cui si aggiungono o le costine di maiale o trippa. La tradizione vuole che questa zuppa fosse offerta calda e fumante, dalla Confraternita dei Battuti (i penitenti), ai pellegrini che si recavano in paese per assistere alle funzioni religiose e visitare l’ultima fiera autunnale, l’ultimo mercato prima dell’inverno.

    Ricetta della Cisrà: 400 gr di trippa o costine di maiale, 200 gr di ceci secchi, 200 gr di patate, 400 gr di porri, 2 gambi di sedano, 1 carota, 1 cipolla bianca, mezzo cavolo verza, sale, pepe nero, rosmarino, olio extravergine di oliva.

    Preparazione: Mettere i ceci in ammollo in acqua tiepida almeno una notte prima della preparazione per ammorbidirli. Far rosolare la cipolla tritata nell’olio d’oliva, aggiungere i porri, le patate, il cavolo, il sedano e la carota, il tutto tagliato finemente. Fate soffriggere 10 minuti coperto e mescolando, quindi aggiungere la trippa (o le costine) e i ceci scolati dall’acqua della notte, fate insaporire per qualche minuto a fuoco vivace. Coprite poi con acqua calda, sale e pepe con il rosmarino tritato finemente, portate ad ebollizione, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per almeno tre ore, mescolando di tanto in tanto. Aggiustate di sale e servite, volendo si può aggiungere una spruzzata di parmigiano.

    E come in tutte le feste, non possono certo mancare i dolci. In Piemonte è tradizione preparare gli “os d’ mort”, piccoli biscottini a forma di tibia che, con molte varianti, sono presenti in tutta la regione, ma anche nel resto d’Italia.

    Ricetta degli os d’ mort: 250 gr di farina, 100 gr di nocciole tostate, 100 gr di mandorle dolci, 400 gr di zucchero, 2 albumi, il succo di un limone, burro per ungere la placca, farina per la lavorazione

    Preparazione: Scaldate il forno a 180°. In una ciotola ampia mescolate la farina con lo zucchero e gli albumi, profumate con il succo di limone, aggiungete le nocciole e le mandorle tritate grossolanamente e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo ma piuttosto sodo. Su un piano di lavoro allungate l’impasto per formare un serpentello che taglierete a fettine sottilie lavorerete per formare delle piccole ossa. Disponete i biscotti sopra una placca imburrata e infarinata e passateli in forno per 20 minuti circa. Teneteli d’occhio e toglieteli quando sono dorati. Sfornateli e lasciateli raffreddare.

    Buon appetito e buona festa di Ognissanti a tutti.

    Patrizia Durante.

     

     

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  • SCAFFALE: MACCIOCU E TORTA “COME LUPO NELLA PIOGGIA”

    1 novembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 826

    LUPO

    “Come lupo nella pioggia” è un romanzo complesso, in poco più di un centinaio di pagine, i due autori, Maria Antonietta Macciocu ed Ernesto Torta, con scrittura semplice, senza sbavature e mai banale, riescono a mettere nero su bianco un caleidoscopio di molti vizi e pochissime virtù, tipiche dell’animo umano.

    La cittadina marchigiana di Jesi, la sera dell’inizio della stagione lirica al Teatro Pergolesi inaugurata con l’opera verdiana “Il Trovatore”,  viene rinvenuto il cadavere Rose Gili, bellissima e misteriosa zingara. Dell’omicidio viene accusato un pakistano, ritrovato vicino al cadavere nell’atto di estrarre un coltello dal corpo della bella sinti e suo vicino di casa di casa. Tutto sembra risolto, con buona pace dei cittadini allarmati. Ma un paio di occhi ha visto qualcosa che potrebbe scuotere la buona società di Jesi.

    Straordinario, nella trama del romanzo, il parallelo con l’opera di Verdi: la zingara e la sua comunità, la gelosia, la paura del diverso, segreti inconfessati e inconfessabili, l’abuso di potere, bambini scambiati in culla… Il racconto segue un filo rosso che si snoda tra i vicoli di Jesi e gli splendidi paesaggi marchigiani, muti testimoni di colpi di scena, omicidi e confessioni, fino a condurre alla cattura del vero colpevole, mosso nelle sue scellerate azioni da qualche sentimento fatuo e molte macchinazioni, ma soprattutto da un’ambizione smisurata. Vero peccato capitale.

    “Come lupo nella pioggia” squarcia il leggero velo che copre la finta tranquillità di modi e di facciata di una cittadina di provincia, in cui serpeggiano inquietudine, invidia – sorella del pettegolezzo più feroce –  e rapporti torbidi tra la malapolitica e organizzazioni criminali. Uno spaccato impietoso che ci fa riflettere sui mali del nostro Paese e di una classe politica che si muove sempre più su principi fasulli, fatti di slogan che colpiscono la pancia, e anestetizzano la ragione.

    È solo un libro, ed è solo un giallo, con una bella trama e ben scritto. Ma non è detto che a quest’opera così piacevole gli autori, persone con una storia di impegno e attenzione al sociale,  non abbiano volutamente affidato un compito più raffinato: quello di scuotere la coscienza del lettore, ma solo un po’. E con estrema grazia.

    Patrizia Durante

    Maria Antonietta Macciocu – Ernesto Torta

    Come lupo nella pioggia

    Golem Edizioni

    17,00 euro

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  • MA TORINO E CUNEO SONO DAVVERO CITTA’ ALPINE?

    31 ottobre 2024 • COSE NOSTRE • 588

    CUNEO2

    Cuneo protagonista assoluta sulla famosissima rivista a fumetti “Topolino” . Il capoluogo della Granda è lo scenario della storia  “Zio Paperone, le Giovani Marmotte e lo spirito alpino”: tra le 20 pagine sono riprodotti ambienti della città, piazza Galimberti e la Torre civica, il Parco fluviale con l’ascensore, i marroni e i boschi,  alcuni negozi classici cuneesi sotto i Partici, e l’invito a provare le specialità locali. Fra le battute dei nipotini di zio Paperone, con il cappello delle Giovani Marmotte, alcune collegano direttamente a Cuneo Città Alpina 2024: “L’ambiente naturale delle Alpi è inestimabile!”, “Spetta alle città alpine averne cura!”.

    Mamma mia che vetrina bellissima, una pubblicità davvero importante per una Città Alpina.

    Peccato che, secondo i criteri della “Convenzione per la Protezione delle Alpi”, Cuneo non rientri in quella convenzione. Questo atto ufficiale, ratificato nel 1999, interessa territori montani di Italia, Francia, Svizzera, Germania e Austria. Questi Paesi hanno individuato un preciso ambito del territorio alpino per coordinare azioni di tutela, protezione ambientale, sociale ed economica dell’area nel cuore dell’Europa. In particolare per la promozione e lo sviluppo di quei prodotti tipici che possono fregiarsi del marchio “prodotto alpino”.

    Per delineare i territori che rientrano nei contenuti della Convenzione furono scelte le Comunità Montane. L’ Italia le ha soppresse nel 2012 e nessuno ha mai pensato di correggere i criteri.

    Due esempi: Cuneo (570 metri di altitudine) e Torino (250 metri) sono fuori dalla Convenzione, mentre Trento (194 metri) o Chambery (272 metri) sì. Anzi, c’è addirittura Montecarlo, notissima città di montagna.

    Eppure i Comuni più importanti e facenti parte dell’ Arco Alpino hanno nominato Cuneo “Città alpina del 2024”, benché non rientri oggi nel perimetro della Convenzione, riconoscendone espressamente la stretta connessione con le sue vallate alpine. A questo punto sarebbe meglio che il Piemonte e l’ Italia chiedessero ufficialmente di rivedere i confini e quindi la Convenzione.

    Così faremmo contento anche Zio Paperone.

     

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  • CAFFE’ PEPINO LA PIU’ ANTICA GELATERIA D’ EUROPA

    26 ottobre 2024 • CINQUE SENSI • 2466

    CAFFEPEPINO

    Aperto nel 1884 e poi dal 1929 nell’ aulica Piazza Carignano, nel centro della Torino sabauda, il Caffè Pepino è entrato a far parte dei 230 Locali Storici d’ Italia e vanta il prestigioso primato di essere la gelateria più antica d’ Europa fra quelle tuttora in attività

    Torino è città di caffè storici, se ne contano a decine, ma il Caffè Pepino si trova in un piazza incredibile: a fianco del teatro Carignano e del ristorante Del Cambio, di fronte a Palazzo Carignano sede del Primo Parlamento Italiano e accanto al Museo Egizio il più importante al mondo dopo quello de Il Cairo.

    Boiserie di legno, velluti rossi, lampadari a goccia, specchi antichi… aggirandosi nelle sale del Caffè Pepino si respira la storia, ma non quella polverosa e stantia, piuttosto quell’ eleganza subalpina sempre al passo con i tempi. Un esempio? Lo storico vermouth torinese scelto per preparare moderni cocktail

    Lo storico caffè è ovviamente legato alla produzione dei Gelati Pepino 1884, storica pasticceria torinese che nel 1939 lanciò in commercio il pinguino, il primo gelato su stecco ricoperto di cioccolato, dal nome brevettato e inizialmente prodotto in 5 gusti. Oltre al Pinguino oggi ci sono le vaschette e nel caffè di piazza Carignano vanno alla grande le coppette e i coni

     

    Passeggiando per il centro di Torino, godendosi un gelato o un pinguino, oppure seduti a sorseggiare una bevanda nell’ elegante dehor oppure, infine, a sorbire un caffè o il classico Bicerin torinese sui divani di velluto all’ interno, ovunque al Caffè Pepino ci si sente dentro la storia e ci si fa sempre la bocca buona.

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