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  • SCAFFALE: DI VIOLE E LIQUIRIZIA DI ORENGO

    20 settembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2143

    Di viole e Liquirizia

    Il titolo è  già  un programma. Ti immerge subito in un fascino di profumi. La lettura, poi, ti porta in un meraviglioso mondo di sapori e percezioni olfattive e visive.

    Nico Orengo, scrittore torinese  scomparso nel 2009, per una volta abbandona i suoi  luoghi preferiti, fra Piemonte, Liguria e Costa Azzurra. Questo “Di viole e liquirizia”, pubblicato nel 2007  da Einaudi, e riedito adesso da Gedi, è ambientato in Langa, fra Alba e le terre del Barolo. Anche se una capatina fino a Nizza, in Francia,  il protagonista se la concede.

    Daniel è  un sommelier parigino che – chiamato a Alba per una serie di degustazioni – si trova catapultato in una saga familiare, ma anche nelle vicende umane di una terra  che, dopo i tempi della malora di Fenoglio, si trova adesso a vivere nella ricchezza e nello sfarzo. Ma più  che la trama, in questo romanzo di  Orengo, a catturare il lettore  sono le descrizioni dei vini, i sapori e  gli odori delle vigne, l’ombra delle colline, la scontrosità dei personaggi.

    Insomma, più  che un romanzo è un viaggio in Langa.

    NICO ORENGO

    DI VIOLE E LIQUIRIZIA

    EINAUDI EDITORE

    15 euro

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  • QUEI MALEDETTI TAPPI DI PLASTICA

    19 settembre 2024 • COSE NOSTRE • 783

    TAPPI

    Fin dal 3 luglio, cioè da quando è entrata in vigore la misura dall’ Unione Europea relativa al tappo legato alla bottiglietta d’acqua, ho pensato che fosse una… boiata pazzesca. L’Unione Europea avrebbe avuto cose ben più importanti di cui occuparsi.

    Opinione condivisa da parecchi di voi, ne sono sicuro.

    Poi, nelle settimane scorse, mi sono ritrovato su spiagge lontane, dall’altra parte dell’Emisfero e mi sono imbattuto in un interminabile strato di tappi di plastica.

    Giuro. Migliaia e migliaia di tappi e altri residui plastici per chilometri di splendido litorale, bianco di sabbia finissima, simile al borotalco. Nella notte c’era stata una mareggiata e l’oceano aveva scaricato tonnellate di rifiuti di plastica. Uno scenario sconfortante e deprimente: la sabbia non si vedeva quasi più, ricoperta da pezzi di plastica e perlopiù da quei maledetti tappi.

    E allora – voi direte – che ho pensato a quanto bene ha fatto l’Unione Europea nell’introdurre quel provvedimento?

    Anche, ma non solo.

    Ho, invece, riflettuto su quanto siamo ignoranti, primitivi e incivili, noi uomini e donne del mondo così detto “evoluto”, se abbiamo bisogno di una legge europea e di un pezzettino di plastica per evitare di gettare i tappi delle bottigliette in giro e quindi, in mare. Che futuro può avere una generazione che non è in grado di capire da sola – senza costrizioni – che la salvaguardia della Terra dipende dal comportamento di ciascuno, nessuno escluso?

    E che anche un piccolo gesto, come gettare la bottiglietta dell’acqua, con relativo maledetto tappo, nella differenziata, può salvare un pesciolino nel mare.

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  • RIDATEMI PANE, BURRO E ZUCCHERO

    14 settembre 2024 • CINQUE SENSI • 3666

    PANEBURROZUCCHERO

    Da bambino, mia mamma a merenda mi dava, quasi sempre, una fetta di pane con burro e zucchero, oppure con marmellata. Altre volte cambiava: pane, burro e acciughe. Poi partì una campagna denigratoria contro il pane, il burro e lo zucchero. “Fanno male, fanno ingrassare” erano gli slogan più in voga e quei cibi sono stati – per anni – quasi banditi dalle nostre tavole. Adesso fior di nutrizionisti hanno riveduto le proprie teorie. Il pane? Indispensabile, molto meglio dei grissini. Il burro? 40 grammi al giorno fanno bene al nostro organismo. Lo zucchero? Utilissimo per il cervello mentre i dolcificanti potrebbero essere cancerogeni.

    Quindi una bella fetta di pane caldo, con una noce di burro spalmata e un’ ampia spolverata di zucchero… Che fior di merenda. Sana, nutriente e buona, ve lo assicuro.

    Siamo cresciuti gustando ghiaccioli pieni di coloranti che ci dipingevano lingua e faccia; mangiando cioccolate piene di zuccheri e di olio di palma; sgranocchiando biscotti preparati con grandi quantità di glutine; bevendo bibite variopinte, gassate e dolcissime. I nostri bambini, oggi, li nutriamo con cibi privi di glutine, senza zuccheri, senza lattosio, senza grassi d’ ogni tipo e senza tante altre cose.. Sono più in salute? Sono più magri? Non mi sembra proprio…

    “Noi siamo quello che mangiamo…” si usa dire. E allora io voglio ancora mangiare pane, burro e zucchero. Cioè giusto, buono e sicuro.

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  • GIROVAGANDO: NAPOLEONE E L’ ALESSANDRINO

    13 settembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2945

    NAPOLEONEMARENGO

    “Ei fu siccome immobile….”.  Dal 2021, anno del Bicentenario della morte di Napoleone, in poi non si può dimenticare che molte sono le città italiane segnate dal passaggio di Bonaparte, Imperatore dei francesi e Re d’Italia, ma furono Alessandria e la battaglia vittoriosa di Marengo del 14 giugno del 1800 a rendere leggendario il condottiero. E’ questo che distingue la città piemontese dalle altre, italiane e straniere:  Marengo vuol dire la vittoria che consacrò Napoleone Imperatore, diventando per lui un ricordo indelebile. Addirittura in esilio Bonaparte porterà con sé il mantello che indossava quel 14 giugno; lo stesso che lo avvolgerà al momento della morte. Per molti Marengo fu e rimane la Capitale naturale dell’Italia Napoleonica.

    Le suggestioni della celebre battaglia si possono rivivere anche nel Marengo museum presso la Villa napoleonica Delavo. Vi sono esposti opere d’arte, oggetti d’epoca, libri, documenti, armi, mappe, uniformi, materiali multimediali e molto altro. Il 5 maggio 1805, tornando ad Alessandria in occasione dei festeggiamenti per la vittoria, Napoleone fece erigere una piramide che ricordasse il sacrificio dei suoi uomini e al tempo stesso la gloria ottenuta.

    La piramide, distrutta dall’arrivo degli austriaci, fu ricostruita nel 2009, diventando il simbolo dell’Alessandria napoleonica, e si trova oggi all’ingresso del museo. Tra gli oggetti più interessanti esposti nel sito ci sono il calamaio usato per firmare la resa austriaca dopo la battaglia di Marengo e la lettera con cui Berthier annunciò la vittoria a Josephine. Ma ci sono anche armi provenienti dal campo di battaglia: uniformi originali, pistole, fucili e tanto altro. Costruita nel 1847 per ricordare la vittoria di Napoleone, villa Delavo è stata completamente restaurata, riportando alla luce affreschi e dipinti. Nel parco è presente anche la cappella/ossario che il Delavo fece erigere per riunirvi i resti dei caduti, in prossimità del busto del generale Louis Charles Desaix.

    Altro punto di interesse è il ponte sul Bormida, riedificato in periodo napoleonico sopra il Ponte romanico costruito dai monaci benedettini nel XIV secolo. Alla testa di ponte sorge il platano di circa 40 metri che la tradizione vuole sia stato piantato nel 1800 da Napoleone per onorare i circa 2.000 soldati morti il giorno della battaglia e i 10.000 feriti di entrambi gli schieramenti. C’è poi Palazzo Ghilini, la residenza preferita da Napoleone. Si tratta di un edificio in stile barocco piemontese e deve il proprio nome al suo committente, il marchese Tommaso Ottaviano Antonio Ghilini, che lo fece edificare nel XVIII secolo.

    O, ancora, la Cittadella di Alessandria, che è l’unica fortezza europea ancora inserita nel suo contesto ambientale originario. Dopo la vittoria di Marengo e l’ascesa al trono imperiale in Francia, Napoleone decise di ampliarla con nuove fortificazioni e restaurarla. Lo scopo era quello di realizzare una grande base logistica destinata a supportare le operazioni dell’esercito francese schierato nel Nord Italia.

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  • PIEMONTE SEMPRE PIU’ ISOLATO

    12 settembre 2024 • COSE NOSTRE • 668

    TUNNELMONTEBIANCO

    La riapertura del traforo ferroviario del Frejus slitta al primo trimestre del 2025.

    Abbiamo assistito da parte dei Francesi ad annunci di riapertura prevista, prima, per ottobre 2023, poi spostati a primavera 2024, poi autunno 2024 e ora siamo arrivati a primavera 2025. Ma è mai possibile che dopo 11 mesi dalla frana ci si accorge soltanto adesso che “le cavità instabili scoperte di recente nella zona centrale del pendio si sono rivelate più ampie del previsto, rendendo necessario l’intervento di ulteriori lavori di drenaggio, ancoraggio e recinzione?”.  Quindi, oggi, se si vuole andare in treno in Francia occorre mettere in conto un trasferimento del confine in autobus, con relativo allungamento dei tempi. Unica alternativa è andare in auto e quindi maggior traffico.

    Vogliamo ricordare, inoltre, che dal 2 settembre al 16 dicembre prossimi anche il Traforo del Monte Banco sarà chiuso alla circolazione, nei due sensi di marcia, per i previsti interventi di manutenzione e messa in sicurezza del tunnel.

    La riapertura della Galleria del Tenda è prevista per la fine del periodo autunnale, diciamo fra novembre e dicembre. Cioè quando, ai mezzi pesanti, non sarà più possibile transitare per il Colle – con i suoi 46 tornanti – a causa delle intemperie e delle nevicate. Quest’ ultime auspicate dagli operatori turistici.

    Ricordiamo che il nostro amato Piemonte rappresenta la via principale di collegamento con la Francia e quindi con l’ Europa. Per tutto il 2024 è rimasto semisolato e la prospettiva è che lo resti ancora per qualche mese.

    Andiamo sulla Luna. Forse avremo il Ponte sullo Stretto. Intanto restiamo bloccati da una frana. Non credo che questo sia progresso.

     

     

     

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  • Castelmagno, un formaggio amato da oltre 700 anni

    7 settembre 2024 • CINQUE SENSI • 6670

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    Risale al 1277 il primo documento scritto in cui viene citato il Castelmagno. Si tratta di una sentenza arbitrale in cui il marchese di Saluzzo impone al comune omonimo di pagare una tassa annuale con sette forme di Castelmagno d’alpeggio anziché in moneta sonante.

    Il Castelmagno è uno dei punti fermi dell’eccellenza gastronomica piemontese e la sua storia secolare lo conferma. E’ un formaggio nato dall’ingegno dei pastori dell’Alta Valle Grana ed è uno dei migliori prodotti caseari della nostra regione. Le sue origini sono antichissime e si stemperano nella leggenda: la più interessante è quella legata al nome che potrebbe derivare dal santuario di San Magno, edificato per commemorare un soldato dell’esercito romano martirizzato nelle vicine montagne o addirittura dal nome dell’imperatore Carlo Magno che ne era particolarmente ghiotto.

    Si racconta che la prima volta che questo “cacio rosso e verrucoso” venne presentato sulla nobile tavola, il monarca, prima di gustarlo, lo ripulì con cura dalle muffe verdi, parte essenziale del formaggio stesso e frutto dell’accurata stagionatura. Solo dopo molte insistenze si lasciò convincere ad assaggiarlo nella sua integrità, inutile dire che ne fu talmente entusiasta che il Castelmagno non mancò mai alla sua mensa.

    Le notizie che parlano del Castelmagno utilizzato come forma di pagamento per tasse e scambio merci risalgono al tredicesimo secolo, ma si pensa che la sua produzione risalga all’anno Mille. Una forma di Castelmagno valeva circa dodici denari, una cifra interessante, che dimostra quanto fosse già allora apprezzato e valutato.

    Intorno al 1200 i comuni di Cuneo e Saluzzo entrarono in guerra per il possesso di alcune forme di Castelmagno, il conflitto durò trent’anni, uno per ogni forma contesa. Cinquecento anni dopo, Vittorio Amedeo II di Savoia, era così goloso di questo formaggio da arrivare al punto di decretare che la comunità di Castelmagno avrebbe dovuto inviare ogni anno, oltre ai denari per il pagamento delle tasse, anche nove rubli di formaggio.

    Il Castelmagno era presente anche sulle tavole di Papi di Avignone che ne erano grandi estimatori.

    Ma è l’800 il secolo d’oro del Castelmagno. In quegli anni è considerato il miglior formaggio italiano ed è presente sui carrelli dei migliori ristoranti europei, primi fra tutti quelli londinesi e parigini.

    La prima e la seconda Guerra Mondiale contribuiscono purtroppo allo spopolamento delle valli e fino agli anni Settanta il Castelmagno rischia seriamente di scomparire, diventa quasi del tutto sconosciuto alla maggioranza dei consumatori. La produzione massiccia riprende solo negli anni Ottanta e, poco alla volta, ritorna sulle tavole degli italiani; nel 1982 ottiene il riconoscimento nazionale del marchio DOC e nel 1996 quello europeo DOP. Nel 2002 è certificato il Consorzio per la tutela del Castelmagno, nato con lo scopo di tutelare e promuovere quello che è riconosciuto come una delle produzioni casearie più rare, genuine e pregiate d’Europa.

    Il Castelmagno è prodotto, stagionato e confezionato solo nei comuni di Castelmagno, Pradleves e Montegrosso Grana in provincia di Cuneo; ma non solo, anche il latte deve provenire dagli stessi luoghi. Può inoltre fregiarsi della menzione aggiuntiva di “Prodotto della montagna” solo se il latte, la lavorazione e la stagionatura avvengono in zone classificate come montane, se invece il ciclo produttivo avviene sopra i 1000 metri può essere classificato con la denominazione “di Alpeggio”

    Esistono diverse tipologie di Castelmagno: quello fresco ha una crosta sottile, liscia e rossastra, la pasta è friabile di colore bianco perlaceo. Lo stesso formaggio con cinque mesi di stagionatura ha la crosta ingiallita e rugosa, la pasta interna è più compatta con colore tendente al paglierino, possono essere presenti anche venature verdi. L’erborinatura (del tutto casuale) è particolarmente apprezzata dagli appassionati del Castelmagno: il sapore diventa più intenso e risaltano i sentori delle erbe alpine. Proprio la particolare varietà e fragranza delle erbe presenti nei pascoli di alta valle sono il presupposto per produrre latte vaccino di altissima qualità, e quindi dell’ottimo Castelmagno.

    La produzione del Castelmagno è legata a norme particolarmente restrittive che dovrebbe servire a scoraggiare, ma anche a identificare con facilità i molti tentativi di imitazione. Attualmente i produttori del Castelmagno autentico sono circa una dozzina e producono circa sei/settemila forme all’anno contese dai migliori ristoratori di tutto il mondo.

    Risotto con Castelmagno, miele e noci

    Ingredienti per 4 persone: 600 gr di riso Carnaroli, 1 cipolla, brodo vegetale quanto basta, 1 bicchiere di vino bianco DOC del Piemonte, 500 gr di Castelmagno DOP, 2 cucchiai di miele, 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva, 50 gr diburro, 8/10 noci.

    Scaldare l’olio in una padella ampia, unite la cipolla tritata finemente e fatela soffriggere fino a quando non è dorata ma soffice. Aggiungete il riso e tostatelo per qualche minuto mescolandolo. Aggiungete il vino bianco e cuocete fino a quando il vino non sarà completamente evaporato. Unite quindi 300 gr di Castelmagno tagliato a cubetti e, poco alla volta il brodo vegetale, mescolate con cura il vostro risotto con un mestolo di legno. Al termine cottura, mantecate sul gas aggiungendo 200 gr di Castelmagno grattugiato, il burro e il miele, mescolate con molta attenzione e cuocete ancora qualche istante. Togliete quindi il risotto dal fuoco e decoratelo con un po’ di castelmagno in scaglie, le noci tritate grossolanamente e ancora un po’ di miele. Buon Appetito!

    Patrizia Durante

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  • SCAFFALE: IL NAUFRAGIO DI PANDIANI

    6 settembre 2024 • LUOGHI E LIBRI • 852

    NAUFRAGIO

    “Una storia che fa acqua da tutte le parti”. Questa è la dedica che Enrico Pandiani ha scelto per accompagnare il suo nuovo romanzo “Naufragio”. E non è una dedica a caso.

    Infatti, la terza storia che coinvolge la banda Ventura – dopo Fuoco e Ombra – inizia proprio con un anomalo naufragio sul lago Maggiore, in una fredda giornata di gennaio, e a chi si interessa ancora di cronaca, tornerà alla memoria un episodio analogo, da cui Pandiani ha preso spunto. Ma sulla barca, che si avventura sul lago in condizioni climatiche proibitive e inevitabilmente si rovescia, non ci sono agenti segreti esteri, pronti a volatilizzarsi il giorno dopo, ma un gruppo di dieci amici, uomini e donne d’affari e perfino d’alto lignaggio, alcuni pronti a sparire il giorno stesso, dopo aver lasciato quattro vittime e una manciata di segreti sul fondo del lago.

    Numero 1, deus ex machina, che muove i fili dell’indagine – e gestisce, ricattandoli, la vita dei componenti della banda Ventura – vuole fare chiarezza in un caso che si presenta come assai intricato e rognoso, dove i rischi sono alti e dichiarati fin dall’inizio. Insomma, un caso che solo i duri della banda Ventura possono risolvere.

    Ritroviamo quindi Max Ventura, Abdel, Vittoria, Sanda e Idris. Cinque ex galeotti tornati in libertà grazie all’aiuto di Numero 1 e da lui “usati” per risolvere casi intricati, con indagini spesso parallele a quelle forze dell’ordine, da cui devono ovviamente tenersi lontani.

    “Naufragio” è una storia coinvolgente e affascinante che ruota attorno alle auto d’epoca, vera passione di Abdel, e al loro mercato non sempre ufficiale e limpido.

    Ma è anche una storia piena di passione e di peccati umani come l’avidità, che fa commettere gesti folli e dissoluti. L’amore disinteressato e puro di alcuni protagonisti fa da controcanto ad azioni becere, in cui il valore della vita è pari a zero.

    Insomma, non è una storia che “fa acqua da tutte le parti”, anzi, è una storia perfetta, in cui è chiara la scala dei valori di ciascuno, e in base a queste, Pandiani si diverte a far muovere, e soprattutto agire, i suoi personaggi. La lettura di “Naufragio” – come di ogni libro di Pandiani – ci porta in un’avventura reale, possibile e verosimile, dove i personaggi, sempre molto ben delineati, ci fanno vivere autentici momenti di tensione, di passione, ma anche provare sentimenti profondi, di vera amicizia e amore. Insomma, ti fa venir voglia di avere il privilegio di condividere almeno una cena con la banda Ventura.

     

    Enrico Pandiani

    Naufragio

    Nero Rizzoli

    18,00 euro

     

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  • LA MONTAGNA A PAGAMENTO

    5 settembre 2024 • COSE NOSTRE • 877

    STRADEMONTAGNA

    Come spesso accade, negli ultimi anni, trascorro i mesi estivi fra gite e brevi soggiorni in montagna, mare e collina. Un po’ per lavoro e un po’ per vacanza.

    E ancora una volta mi trovo a fare le solite osservazioni. Nei luoghi di villeggiatura marini, specie nelle regioni del Nord Italia, tutto è a pagamento. Se non decidi di accamparti in qualche centimetro quadrato di spiaggia libera, devi versare fior di quattrini – e i prezzi sono sempre più esosi – per poter godere di un’ ombrellone e di un paio di sdraio. Se invece ti avventuri in un parco di montagna è tutto gratis.

    Eppure mantenere un parco ha dei costi esorbitanti. Ed ecco, allora, che ribadisco una proposta  che non è mia, ma che all’ estero funziona perfettamente. Nei parchi della California, ad esempio, c’ è da pagare per l’ ingresso: un tot a persona e una quota per la macchina, se si percorre una strada carrabile. Quella cifra non va allo Stato, ma resta all’ ente che gestisce il parco, con l’ obbligo di utilizzare quel danaro per mantenere i sentieri in ordine, per creare aree picnic, per realizzare punti di informazione… insomma per migliorare l’ attrattiva di quelle oasi di soggiorno, visita e villeggiatura. In Italia, invece, la montagna è gratis, per tutti.

    Non entro nel merito della questione che da anni alimenta il dibattito sugli stabilimenti balneari e sulle relative concessioni. Mi voglio soffermare, invece, sull’ impossibilità di mantenere gratuita l’ accessibilità per le nostre montagne. Facciamo pagare l’ ingresso, i parcheggi, la fruizione di sentieri e aree boschive per poi offrire servizi di accoglienza adeguati, ma anche per poter punire quelle persone incivili che lordano prati e campi con i loro rifiuti.

    La montagna non può vivere da sola e gratis. Ha bisogno di aiuti e investimenti. Chi ne gode dei tanti benefici è giusto che paghi il giusto.

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  • CANESTRELLI E BALMETTI DI BORGOFRANCO D’ IVREA

    31 agosto 2024 • CINQUE SENSI • 3802

    canestrelli

    Già nel 1400 durante i giochi per la Pentecoste per pagare gli attorichierici e i saltimbanchi venivano usate le nebule, cialde di farina, zucchero  e burro. Poi con la scoperta dell’ America e l’ importazione del cacao a Borgofranco d’ Ivrea, cittadina nel cuore del Canavese, in provincia di Torino, queste nebule diventarono i canestrelli, il dolce tipico della zona.

    E ancora oggi si segue la ricetta del 1650, ancora tutto fatto rigorosamente a mano in modo artigianale come nelle bottega del canestrello nel cuore di borgofranco d’ ivrea

    Il canestrello può essere abbinato a fine pasto a gelati, a creme, al bunet oppure come pasticceria secca insieme al tè, al caffè o a qualche vino da meditazione.

    Ma trovandoci a Borgofranco noi abbiamo preferito gustarli in un luogo incredibile, i balmetti caratteristiche cantine naturali ricavate nella roccia morenica, la cui origine è molto antica, ancora maggiore a quella dei canestrelli medievali

    All’ interno dei balmetti c’è una temperatura costante fra i 7 e gli 8 gradi, estate e inverno, e si può osservare un fenomeno naturale come la fuoriuscita di correnti d’ aria dalle ore, cavità nella montagna.

    Insomma i classici canestrelli vanno assaporati proprio qui nei caratteristici balmetti di borgofranco d’ ivrea per gustarne appieno  l’ autentica croccantezza

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  • GIROVAGANDO: I VILLAGGI WALSER

    30 agosto 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2390

    VILLAGGIWALSER

    Ai piedi del Monte Rosa, da scoprire e ammirare alcuni antichi villaggi Walser. Si tratta di una popolazione di origine Germanica che nel Medioevo migrò verso l’attuale Vallese, fondando una serie di comunità intorno al Monte Rosa, in zone di montagne incontaminate.

    I Walser sono hanno lasciato un segno del loro passaggio con le antiche case per rituffarsi in un passato vero e puro. Parliamo di un popolo dalla grande forza, che ha portato con sé un dialetto specifico, il Titsh, un tedesco antico che si differenzia molto da quello attuale, e la tradizione del Blockbau, la tecnica ad incastro mediante la quale hanno realizzato le loro caratteristiche abitazioni in pietra e legno.

    La casa Walser è infatti realizzata in pietra (fondamenta e piano terra con alloggio) e legno (piano superiore per fienile e deposito). Il tetto, coperto con lose di Ardesia (caratteristica pietra delle Alpi Occidentali) sporge oltre l’abitazione per creare una zona protetta che veniva utilizzata per l’essiccazione dei prodotti agricoli.

    Case da favola che sembrano immerse in un altro tempo e di cui, fortunatamente, rimangono in Piemonte diverse testimonianze.

    Macugnaga è probabilmente una delle testimonianze più importanti di quelle presenze antiche. Nel piccolo comune piemontese, situato ai piedi  del Monte Rosa, si trova la frazione Isella, un villaggio Walser rimasto praticamente intatto come testimoniano il forno comune e la piccola chiesa centrale.

    Un altro luogo ancora oggi visitabile è Rimella, paese fondato nel XIII secolo da popolazioni Walser che mantiene ancora oggi il caratteristico dialetto di origine tedesca. Il piccolo comune della Valsesia ospita il museo Walser più antico del Piemonte.

    Il territorio di Alagna Valsesia fu abitato dalla popolazione Walser. Alpeggi e frazioni scandiscono ancora oggi il territorio di Alagna dove è possibile respirare la tipica atmosfera walser data dalle caratteristiche architetture di pietra, legna e larice.

    Nella provincia di Vercelli si trova Riva Valdobbia, piccolo borgo fondato da gruppi di coloni Walser provenienti da Gressoney-Saint-Jean.

    E poi c’è il comune di Formazza, di lingua e cultura Walser, che fu il primo paese abitato dai Walser a sud delle Alpi. Il piccolo centro abitato è uno dei più settentrionali del Piemonte e ospita un famoso museo per celebrare questa popolazione che ha inevitabilmente segnato tutta la regione. Le visite si tengono tutto l’anno e sono ad offerta libera, basta una piccola somma che potrà aiutare chi ha deciso di tenere in vita questa importantissima parte di storia.

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