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  • CHI PAGHERÀ LE PENSIONI DEI NOSTRI FIGLI

    18 luglio 2024 • COSE NOSTRE • 1042

    EURO

    Secondo alcuni scenari previdenziali, forse un po’ allarmistici, per le persone che oggi hanno trent’anni, la prospettiva ė quella di andare in pensione all’età di 70 anni. Ma al di là della scadenza cosi lontana, a preoccupare é l’importo dell’assegno pensionistico mensile che riceveranno.

    Tutto questo è frutto degli scenari demografici dell’Italia. Oggigiorno siamo circa 59 milioni contro i 51 previsti per il 2060 , età pensionistica del trentenne di oggi. Difficilissimo sostenere l’attuale sistema pensionistico con un potenziale pensionato ogni 1,6 lavoratori. Sarà una bella sfida.

    Mentre rifletto sulle prospettive di pensione di mio figlio, leggo che la città di Lagos, la più grande della Nigeria, negli anni Cinquanta aveva 300mila abitanti, oggi ne ha 17 milioni e nel 2050 arriverà a 50 milioni.

    Situazione analoga in tutto il continente africano: povertà, fame e disperazione, spingeranno milioni di uomini e donne da quei Paesi a emigrare verso Europa e Italia. Sarà inevitabile.

    Saranno queste popolazioni a versare i contributi per pagare le pensioni ai nostri figli? Bisognerebbe affrontare con serietà l’argomento. Avere un’ampia progettualità sul numero di arrivi, anno per anno, con conseguenti regolarizzazioni contrattuali e previdenziali. Insomma lavorare per un futuro assai prossimo e non pensare solo a blocchi navali e protezionismi vari.

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  • L’ aceto Ponti, un successo piemontese nel mondo

    13 luglio 2024 • CINQUE SENSI • 8329

    aceto ponti

    Viveva a Sizzano, un piccolo paesino della provincia di Novara: lo chiamavano Giuanin d’la asei (cioè Giovannino dell’ aceto). Era il 1867, faceva il coltivatore e il produttore di vini, il suo cognome era destinato a diventare famoso nel mondo, e a essere legato per sempre a quel soprannome. Lui era Giovanni Ponti. L’attività, intrapresa in modo artigianale, si espanse già con il figlio di Giovanni, Antonio Ponti che contribuì ad ampliare la produzione e a fargli varcare i confini nazionali, tanto che nel 1911 l’azienda Ponti ricevette il “Diploma d’onore per vini e aceti” alla Fiera Internazionale di Parigi. Nel 1934 Antonio e il figlio Guido, iniziarono anche a produrre conserve vegetali, i famosi sottaceti Ponti. Nel 1945 spostarono la produzione nel più ampio e moderno stabilimento di Ghemme, attivo ancor oggi.

    Oggi il Gruppo Ponti si è affermato come leader europeo per la produzione di aceto di vino. Lavora quasi 40 milioni di litri e produce ogni anno più di 70 milioni di bottiglie di aceto e oltre 30 milioni di unità di conserve vegetali. Nello stesso anno è arrivato ai vertici di settore anche in Italia, con quasi il 60 % di quote di mercato per l’aceto di vino, il 65% per l’aceto di mele e il 58% di aceto balsamico di Modena.

    Nel 2008 Ponti dimostra che un prodotto antico si può rinnovare e quindi aprire nuovi ampi spazi di mercato: inventa la Glassa al Balsamico; nel mondo è venduta come il “ketchup italiano”. Il prodotto riscuote un grande successo, si abbina bene sia ai piatti salati sia a quelli dolci, il suo sapore è gradito dai bambini e anche da chi di solito non apprezza il gusto intenso dell’aceto.

    Il segreto di circa 150 anni di successi è racchiuso in pochi accorgimenti, la conoscenza approfondita dei processi di lavorazione e delle materie prime, la capacità di rinnovarsi, la grande attenzione al cambiamento dei gusti dei consumatori e la gestione interamente familiare. Le grandi multinazionali del cibo non hanno mai infilato le mani in casa Ponti: il loro prodotto è considerato di nicchia, anche se i numeri del Gruppo sono tutt’altro che piccoli. Gli stabilimenti sono infatti diventati cinque, oltre a quello novarese, ci sono Vignola in provincia di Modena, Dosson di Cassier (Treviso), Anagni nel Frusinate e Paesana (Cuneo) specializzato – manco a dirlo -nell’aceto di mele. In tutto 190 dipendenti e un fatturato di 120 milioni di euro destinati ad aumentare in modo costante. Il Gruppo Ponti vende in Francia, in Svizzera, in Inghilterra e in Polonia, ma anche nei paesi dove la fanno da padrone altri condimenti come Cina, Russia e Giappone. I ristoratori italiani e le grandi catene alberghiere sono gli ambasciatori naturali all’estero e aiutano a introdurre, anche nei mercati più refrattari, i prodotti del Gruppo Ponti.

    Il 45% del fatturato è dato dai sottaceti e dai sottolio che vengono prodotti esclusivamente nello stabilimento di Ghemme. Il marchio più famoso è “Peperlizia” ma, nello spirito innovativo dell’azienda, è da poco nata una nuova linea “zero olio”: i vegetali vengono conservati in una speciale acqua addensata e aromatizzata che consente di rispettarne la conservazione e il sapore.

    Un successo piemontese quindi, che ha varcato i confini regionali e nazionali. Un successo portato avanti con determinazione e alta professionalità. Ne ha fatta di strada Giuanin d’la asei!

    Patrizia Durante

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  • SCAFFALE: ALICE BASSO E UNA FESTA IN NERO

    12 luglio 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1305

    BASSOFESTAINNERO

    Con questo quinto romanzo di Alice Basso diamo l’addio ad Anita Bo che abbiamo incontrato per la prima volta nel 2018 ne “Il morso della vipera”. Cinque romanzi, ambientati a Torino, che ci hanno fatto approfondire la conoscenza con Anita, con cui abbiamo condiviso ansie, momenti di allegria e di profonda amicizia, i palpiti incerti del cuore, l’allegra curiosità e il suo modo impetuoso, e perfino sconsiderato, di affrontare la vita.

    Il primo romanzo si apre con Anita che riceve la proposta di matrimonio da parte del suo bellissimo fidanzato Corrado Leone, ma Anita, in maniera quasi inconscia, pur accettando la richiesta di convolare a nozze, chiede sei mesi di tempo per mettere a frutto il suo diploma da dattilografa, impegnandosi nel mondo del lavoro. E già, perché negli anni ’30, periodo in cui sono ambientati i romanzi, solo le donne nubili potevano lavorare, e venivano licenziate il giorno dopo aver pronunciato il fatidico sì. Solo nel 1955 una circolare del Ministero del Lavoro dichiara illecita la clausola di nubilato, ma per arrivare ad una legge, bisogna attendere il 9 gennaio 1963.

    Anita ottiene da Corrado la proroga e da quel momento, comincia la sua vita, il suo rapporto con il mondo reale, così diverso dall’ambiente protetto della famiglia. Tanti sono i personaggi che abbiamo amato in questa serie: dalla burbera Mariele, mamma tutta d’un pezzo della nostra eroina, a Candida – sua ex professoressa e componente di una delle famiglie torinesi più in vista – che ha preso Anita e Clara (amica del cuore), sotto la sua ala protettrice aprendo loro le porte della sua casa, della sua fervida mente e del suo cuore. Ma in questi romanzi corali che descrivono un’epoca dove non era semplice essere giovani e, meno che mai, liberi, sono tante le figure che lasciano il segno. Prima fra tutte quella di Sebastiano Satta Ascona, che, poco alla volta, fa crollare tutte le certezze di Anita e soprattutto, mette in crisi il sentimento che la lega a Corrado, tanto da farle dubitare della scelta matrimoniale.

    Nell’ultimo romanzo: “Una festa in nero”, il cerchio si chiude. Sul gruppo che condivide la quotidianità con Anita, diventa reale la presenza dell’OVRA, i famigerati servizi segreti di polizia politica, attivi durante il regime fascista. Tutti sono in pericolo, perché tutti agiscono, in maniera più o meno evidente, nel contrastare il regime. Tutti tranne Corrado, promesso sposo di Anita, e amato dal regime per le sue gesta atletiche. I legami sono complessi e basta un gesto dettato dall’impulso, per compromettere la vita di parenti e amici, Anita sente il peso e la responsabilità delle scelte future.

    La conclusione è sorprendente, ma inevitabile. Il sacrificio diventa gesto d’amore, vero sentimento che predomina in un’epoca di sospetto e d’odio, ed è la sola arma vincente.

    Alice Basso ci ha regalato un personaggio meraviglioso, Anita Bo, che rimarrà a lungo nel nostro cuore, ma ci ha offerto l’opportunità di conoscere un periodo storico – con un approfondimento sulla condizione femminile – ancora oscuro e con cui è difficile fare pace, perché divisivo e culminato con una guerra civile. Un periodo che ha delineato la storia delle nostre famiglie e che vorremmo non dover rivivere mai più!

    Patrizia Durante

    Alice Basso

    Una festa in nero

    Edizioni Garzanti

    € 18.60

     

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  • CAPORALATO, SIAMO TUTTI COLPEVOLI

    11 luglio 2024 • COSE NOSTRE • 982

    Regenerative Agriculture. A farmer planting seeds in a fertile field using a no-till drill, captured in documentary and candid style, with natural, warm sunlight illuminating the scene. Generative AI

    Come sempre accade, in Italia, di fronte a un clamoroso fatto di cronaca, si scatena l’emozione collettiva.

    Se ne parla per alcuni giorni e poi l’argomento torna nel dimenticatoio. E’ successo anche dopo la morte del bracciante indiano Satnam Singh, abbandonato di fronte alla sua catapecchia (chiamata casa), in provincia di Latina, dopo che un macchinario agricolo gli aveva strappato un braccio.

    E’ morto dissanguato. Era pagato 4-5 euro l’ora per raccogliere pomodori, in giornate di 12-14 ore lavorative.

    Tutti pronti a scoprire l’emergenza del caporalato, tutti a discuterne, tutti a indicare soluzioni.

    Chi non si sente responsabile di questa forma moderna di schiavitù alzi la mano!

    I governi e i Parlamenti: tutti, nessuno escluso. Tante parole ma nessun provvedimento concreto per intervenire sui diritti e sul costo del lavoro.

    Gli imprenditori e le organizzazioni di categoria: il rispetto della dignità umana passa attraverso i fatti e non bastano le parole.

    I sindacati pronti a scendere in piazza il Primo Maggio e poi a chiudere gli occhi per altri 364 giorni.

    Le forze dell’ordine e i vari ispettorati del lavoro: tutti sappiamo che esiste il caporalato (non solo in agricoltura) ma le inchieste e le sanzioni colpiscono solo una minima parte dei casi.

    Ma la colpa è anche noi cittadini, noi consumatori.

    Quando acquistiamo – nei vari supermercati – un barattolo di salsa di pomodoro a un prezzo attorno a 0.80 – 1,50 euro, ci rendiamo conto che è il punto finale dello sfruttamento e della schiavitù? Includendo confezione, vetro, etichetta, trasporto, tasse, costi della lavorazione e trasformazione, guadagni dei vari intermediari di commercio… quanti euro al chilo arriveranno all’agricoltore che ha seminato, coltivato e raccolto quei pomodori? E ai suoi lavoranti?

    L’altro giorno mi sono avvicinato ad un banco di passate di pomodoro. Tra i barattoli mi è sembrato di vedere il braccio di Satnam Singh. Auguro a tutti la stessa vergogna.

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  • Torino capitale della birra

    6 luglio 2024 • CINQUE SENSI • 18334

    Inversion

    Bosio & Caratsch è il nome del primo birrificio nato in Italia. Era il 1845 e lo stabilimento apriva i battenti, grazie a Giacomo Bosio, in via della Consolata. A Torino.

    Il motto era: Bona cervisia laetificat cor hominum, la buona birra allieta il cuore degli uomini. Già nel 1870 il birrificio venne trasferito in Borgo San Donato, in corso Principe Oddone, 81. Proprio questo borgo divenne il luogo d’eccellenza dei birrifici torinesi per la possibilità di sfruttare le acque del Canale di Torino, una deviazione del Canale della Pellerina. Le sue acque erano descritte all’epoca come: “Purissime, leggere e dolci, poco soggette a sbalzi di temperatura nonostante il susseguirsi delle stagioni”. Il canale forniva quindi la materia prima per produrre la birra, ma anche energia a basso costo, proprio per questo oltre a concerie e fabbriche di dolciumi, sorsero anche i due birrifici più antichi della città. Oltre al già citato Bosio e Caratsch , non possiamo dimenticare lo stabilimento della Metzger che veniva inaugurato nel 1862 sulla via del Borgo, l’attuale via San Donato, al numero 68. Lo slogan era ed è famosissimo, perché riportato in auge da Renzo Arbore in una pubblicità di qualche anno fa: “Chi beve birra campa cent’anni”.

    Il consumo della birra a Torino era piuttosto usuale e di antica tradizione ma, ancora per tutto l’800, fu considerata una bevanda di lusso, ben lontana dall’essere consumata con frequenza da tutti. Prima dell’insorgenza dei birrifici nazionali, gran parte della birra consumata in Italia, proveniva dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Germania, paesi con antica tradizione e patria dei Mastri birrai. I primi produttori italiani si ispirarono quindi al modello tedesco, sovente annoveravano, tra le maestranze, operai specializzati e ingegneri tedeschi. Accanto al corpo dello stabilimento, quasi sempre sorgevano ampie aree destinate alla degustazione, veri e propri saloni arredati e decorati con gusto, adatti ad accogliere una clientela raffinata ed esigente. Piero Fenoglio, un maestro del Liberty, diede il suo contributo all’ampliamento dello stabilimento di Bosio & Caratsch, suo era il progetto della ciminiera che svettava sul complesso. Qui si svolgeva ogni anno la Oktoberfest e nel 1887 venne installata la prima caldaia a vapore poiché l’acqua del Canale non riusciva a fornire energia sufficiente per la produzione in crescita costante. La birra Bosio & Caratsch era nota per il suo metodo di lavorazione che utilizzava solamente luppolo e orzo, senza aggiunta di alcool. La birra veniva poi sterilizzata e resa adatta per l’esportazione, poteva infatti resistere fino a sei mesi a temperatura ambiente.

    L’ultimo dei maggiori birrifici torinesi fu quello di Boringhieri &C. Fondato da Andrea Boringhieri nel 1876, si trovava in corso Vittorio Emanuele II all’altezza di piazza Adriano, questa zona avrebbe poi ospitato il macello, il foro boario e le carceri. L’edificio tagliava corso Vittorio impattando sullo scenario delle Alpi che i torinesi tanto amavano e amano. Fin dagli anni ’20 iniziò la lunga diatriba tra chi proponeva di abbattere il birrificio e chi invece voleva mantenerlo attivo. La questione fu risolta solo negli anni ’50 quando l’azienda chiuse i battenti e la fabbrica fu abbattuta. Solo allora corso Vittorio divenne quell’arteria importante che possiamo percorrere oggi.

    Sull’onda del successo delle fabbriche cittadine, molti piccoli birrifici si diffusero sul territorio regionale, una citazione è dovuta al birrificio G. Menabrea e figli di Biella e ai Fratelli Metzger di Asti.

    Il successo di questa antica bevanda è iniziato quindi nella nostra città, grazie all’impegno di industriali illuminati e grandi architetti, ma la passione del Piemonte per la birra non ha conosciuto battute d’arresto. Negli anni sono cambiati i marchi e le località di produzione, gli antichi birrifici hanno però gettato le basi per quelli che sono gli attuali produttori e che tutt’ora si distinguono per l’elevata qualità. Sono infatti 102 le etichette di birra artigianale censite nella nostra regione, tra loro alcuni nomi noti a livello nazionale come la San Michele di Sant’Ambrogio di Susa o la Baladin di Piozzo, che fa impazzire il palato dei migliori chef.

    E adesso tocca a voi descriverci la vostra birra artigianale preferita, e anche il pub dove gustarla.

    Patrizia Durante

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  • GIROVAGANDO: MOMBRACCO LA MONTAGNA DI LEONARDO

    5 luglio 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2347

    mombracco

    In un manoscritto Leonardo da Vinci racconta di essere affascinato dal Mombracco, i n particolare dalla pietra bianca e dura che veniva cavata dal monte. Una roccia paragona bile, secondo lui, al marmo toscano.

    Il Mombracco, con la sua inconfondibile conformazione, sembra nato per solleticare la fantasia e il desiderio di scoperta di chi lo osserva da lontano, o cerca di percorrere i suoi sentieri fino alla sommità. 16 i sentieri da percorrere in mountain bike o a piedi, con lo sguardo rivolto sul Monviso.

    E poi, ancora, passeggiate medievali, incisioni rupestri, , visita delle balme (case isolate), scoperta dei resti della Certosa.

    Si può partire da Rifreddo o da Boves, da Paesana o da Sanfront, sempre territori del Saluzzese: comunque sempre emozioni e paesaggi indimenticabili. Così come indimenticabili sono i piatti che i ristoranti, le locande, le osterie fanno gustare a tutti i visitatori del Mombracco, la montagna di Leonardo.

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  • COMPITI DELLE VACANZE, UTILI O TORTURA?

    4 luglio 2024 • COSE NOSTRE • 899

    compiti vacanze

    Ecco, ci risiamo. E’ finita la scuola, e puntuale arriva il tormentone “compiti delle vacanze”. E’ giusto darli? E’ meglio lasciare i ragazzi per tre mesi liberi di giocare, divertirsi, riposarsi, annoiarsi?  Così com’è la situazione è sbagliata.

    Non è questione di quantità di compiti, ma di qualità. Una scuola che funziona deve appassionare gli studenti e quindi dovrebbe indurre i ragazzi – quando non si hanno obblighi di frequenza, di interrogazioni, di compiti in classe – a cimentarsi in un lavoro che appassioni, che interessi, che coinvolga. Che ne so.. a mo’ di esempio dico: perché non invitarli a realizzare reportage sui luoghi di vacanza, con fotografie, filmati, schede, interviste, ovviamente utilizzando i dispositivi elettronici, che tanto amano. Insomma incuriosire i ragazzi alla scoperta, alla conoscenza di usi, luoghi, costumi, abitudini alimentari dei territori che si frequentano nei luoghi estivi. Per chi (purtroppo) rimane a casa, gli stimoli possono essere altrettanto forti: scopri il tuo quartiere, o paese – storia, origine del nome, edifici particolari – e chi più ne ha, più ne metta.

    Se tutto passa attraverso l’obbligo e la costrizione, il risultato è vano, inutile, e sovente controproducente. Se invece l’apprendimento è una sfida, un gioco, un divertimento – proprio perché si è in vacanza – i risultati saranno garantiti.

    O forse mi sbaglio.

    D’ altronde sono boomer e la mia scuola è quella del secolo scorso.

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  • SCAFFALE: ALBI E LA CUCINA DI BUROLO E DEL CANAVESE

    28 giugno 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1314

    trattoriatrecolombe

    Il titolo del volume è Trattoria Tre Colombe. E rimanda a uno storico locale di Burolo, ridente cittadina del Canavese. Adriano Albi, burolese di nascita, dopo aver lavorato una vita nel mondo dell’ alimentazione, da pensionato è tornato alle sue origini e si è dedicato alla sua passione per la cucina tradizionale e alla ricerca e alla pubblicazione del ricettario di nonna Beatrice, l’ anima delle Tre Colombe.

    E così l’ autore si è messo con paziente rigore a ricostruire quelle storiche ricette ridonando loro i profumi autentici delle origini. Profumi di una cucina povera, ma che anticipava di decenni quei “piatti a km 0”, tanto di moda oggi. Piatti che rappresentano l’ ultimo stadio di una cultura gastronomica basata sull’ utilizzo di quelle carni, verdure, salumi, formaggi un tempo utilizzabili solo nel luogo di produzione.

    Ne emerge un testo pratico di cucina della tradizione canavesana, autentica, vera, quella della nonna di Adriano Albi, nonna Beatrice Borga. Appunto.

    120 pagine di ricette semplici, che ognuno può replicare in casa propria: dalle conserve ai risotti, dalle frittate ai brodi, dalle lumache alla pasta fatta in casa. Senza dimenticare i dolci, la frutta spiritosa e i piatti unici.

     

    ADRIANO ALBI

    TRATTORIA TRE COLOMBE

    EDIZIONIPEDRINI

    18 euro

     

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  • PIEMONTE CAMPIONE D’ ITALIA PER BANDIERE VERDI

    27 giugno 2024 • COSE NOSTRE • 1267

    montagna estate 2

    La nostra regione ha conquistato il primo posto nella classifica delle Bandiere Verdi assegnate da Legambiente ai territori dell’ intero arco alpino.

    Ma ovviamente la notizia è passata quasi sotto silenzio. Perché i piemontesi sono fatti così. Mai vantarsi troppo dei successi: piace il basso profilo.

    E’ invece noi vogliamo ribadirlo a gran voce. ll Piemonte si conferma la regione più green d’alta quota, con le sue cinque bandiere verdi. Seguono Friuli-Venezia Giulia con quattro, Veneto con tre bandiere, Lombardia e Valle d’Aosta con rispettivamente due bandiere, Alto Adige, Liguria e Trentino rispettivamente con una bandiera.

    Ci sarebbero anche delle bandiere nere assegnate a quelle realtà che invece si sono distinte in negativo. Ce ne sono anche in Piemonte. Ma in quest’ occasione vogliamo parlare solo delle cose belle e stigmatizzare il silenzio che ha circondato questo riconoscimento.

    Queste notizie dovrebbero girare; dovremmo far sapere all’Italia intera che Legambiente ha eletto il Piemonte prima regione per Bandiere Verdi. Altrimenti poi i turisti (almeno quelli che scelgono la montagna) finiscono per privilegiare altre regioni.

    E noi mugugniamo. Però, anche quando vinciamo i campionati, non lo diciamo a nessuno!

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  • IL PANETTONE D’ AMARE, DA MANGIARE IN ESTATE

    22 giugno 2024 • CINQUE SENSI • 1329

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    Galup festeggia il solstizio d’estate con la presentazione della nuova linea del PANETTONE D’AMARE. Un Panettone con un nome originale, che rimane facilmente impresso nella memoria per via dell’assonanza tra le parole “d’amare” e “da mare”, un divertente gioco che riporta alla leggerezza della bella stagione.

    La nuova linea del PANETTONE D’AMARE – che l’azienda di Pinerolo ha presentato nella sua prima versione nell’estate 2023 ottenendo un considerevole consenso – quest’anno si arricchisce di una nuova proposta: il PANETTONE CON YOGURT INALPI E PESCA CANDITA, una fresca proposta tutta estiva che celebra il gusto della sperimentazione in pasticceria e la collaborazione creativa tra aziende del territorio.
    Della linea fanno inoltre parte il PANETTONE CON LIMONE CANDITO AL PROFUMO DI BASILICO con un soffice impasto arricchito con scorzoni canditi di limoni di Sicilia e avvolto dall’intenso profumo naturale del basilico e il PANETTONE AI FRUTTI TROPICALI caratterizzato da un mix di frutti tropicali – cubetti di ananas, mango e papaya semicanditi – e pasta d’arancia miscelata direttamente nell’impasto.

    Il PANETTONE D’AMARE– confezionato a mano con rafia ed incarti dai toni pastello è arricchito da un pendaglio che è anche una cartolina postale. La tipologia d’impasto è di tipo Milano da 750 gr., prodotto con lievito madre Galup, impastato e lievitato lentamente per 40 ore per garantirne la tipica fragranza, a cui si aggiunge un originale tocco di profumi e di freschi sapori tipici dell’estate. Ottimo degustato in ogni momento della giornata, è perfetto anche per pic-nic estivi, perché no, come una merenda al mare da condividere con amici e parenti o per fine pasto accompagnato da una pallina di gelato!

    “Abbiamo scelto e voluto festeggiare il solstizio d’estate presentando la linea 2024 del PANETTONE D’AMARE, perché per Galup questo è il proseguimento di un importante progetto lanciato lo scorso anno. I riscontri sono stati estremamente positivi ed è per questa ragione che abbiamo deciso di ampliare la gamma con una nuova proposta di eccellenza. Proseguiamo inoltre un percorso iniziato in questi ultimi 12 mesi, con il quale vogliamo costruire un filo rosso che accompagni ogni momento dell’anno, creando quella destagionalizzazione che ci consentirà di avere nuove proposte per i nostri consumatori in inverno o in estate, per le festività o per tutti i giorni,  per fare di Galup la più dolce compagnia di ogni nostra giornata” – ha dichiarato Elisa Mereatur – Responsabile Marketing dell’azienda pinerolese.

    Le 3 ricette PANETTONE D’AMARE sono disponibili in tutta Italia presso i migliori rivenditori Galup, nei Galup Store di Pinerolo e Torino e online su www.galup.it

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