Ecco, ci risiamo. E’ finita la scuola, e puntuale arriva il tormentone “compiti delle vacanze”. E’ giusto darli? E’ meglio lasciare i ragazzi per tre mesi liberi di giocare, divertirsi, riposarsi, annoiarsi? Così com’è la situazione è sbagliata.
Non è questione di quantità di compiti, ma di qualità. Una scuola che funziona deve appassionare gli studenti e quindi dovrebbe indurre i ragazzi – quando non si hanno obblighi di frequenza, di interrogazioni, di compiti in classe – a cimentarsi in un lavoro che appassioni, che interessi, che coinvolga. Che ne so.. a mo’ di esempio dico: perché non invitarli a realizzare reportage sui luoghi di vacanza, con fotografie, filmati, schede, interviste, ovviamente utilizzando i dispositivi elettronici, che tanto amano. Insomma incuriosire i ragazzi alla scoperta, alla conoscenza di usi, luoghi, costumi, abitudini alimentari dei territori che si frequentano nei luoghi estivi. Per chi (purtroppo) rimane a casa, gli stimoli possono essere altrettanto forti: scopri il tuo quartiere, o paese – storia, origine del nome, edifici particolari – e chi più ne ha, più ne metta.
Se tutto passa attraverso l’obbligo e la costrizione, il risultato è vano, inutile, e sovente controproducente. Se invece l’apprendimento è una sfida, un gioco, un divertimento – proprio perché si è in vacanza – i risultati saranno garantiti.
O forse mi sbaglio.
D’ altronde sono boomer e la mia scuola è quella del secolo scorso.
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