Quand’ero piccolo, ma anche da ragazzino e giovanotto, i miei genitori mi portavano a fare il giro dei cimiteri. Un saluto, un fiore, una preghiera per i nonni, gli zii, amici e parenti che “erano andati avanti”, mi spiegavano.
Sono passati decenni, parecchio argento ha colorato i miei capelli, ma quel rito non ho mai smesso di ripeterlo. Ancora di più adesso che al camposanto ci sono anche papà e mamma. So benissimo che non sono lì, che lì c’è soltanto povere… ma non riesco a far passare i giorni dei Santi e dei Defunti, senza visitare le loro tombe.
Negli ultimi anni ho notato un progressivo svuotamento dei cimiteri, sempre meno gente e cresce il numero delle tombe in stato di semiabbandono. Le persone che incontro fra i vialetti sono sempre e solo anziane.
Nel frattempo, nei tg e sui giornali, fioccano immagini e notizie di affollate feste di Halloween o delle migliaia di giovani che, alle porte di Torino, hanno partecipato ad un rave party.
Ecco dov’erano finiti i nostri giovani, i nostri ragazzi.
Per la carità, nessun moralismo, nessuna predica. Solo un po’ di mestizia nel vedere quelle tombe in stato di degrado, magari con fiori secchi o finti e sbiaditi, e la gente in giro con maschere e zucche a cantare “dolcetto o scherzetto”.
Ma non basta, non basta mai. Alla tivù ho visto una manifestazione a Novara dei “No green pass” vestiti come i deportati dei campi di concentramento. E sono stato travolto dallo sconforto e dalla rabbia.
“Una passeggiata al cimitero è una lezione di saggezza, quasi automatica” ha scritto il filosofo Emil Cioran, forse bisognerebbe rifletterci.
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