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  • SE NATALE E CAPODANNO FOSSERO GIA’ PASSATI?

    17 dicembre 2020 • COSE NOSTRE • 2399

    albero natale

    Negli anni passati sovente sentivo tante persone ripetere “vorrei che Natale e tutte le feste fossero già finite…”. Era per quel senso di ansia, di frenesia, di preoccupazione che ci davano la corsa convulsa ai regali, ai brindisi di auguri, agli incontri con amici e parenti che magari non vedevamo da mesi e che non avremmo rivisto per altrettanto tempo. Ma a Natale era d’obbligo incontrarci e scambiarci baci e abbracci. Le Festività, quindi, coincidevano con un senso di fastidio e di affanno, che si placava solo dopo l’Epifania.

    Quest’anno è diverso. L’effetto pandemia sta rivoluzionando completamente il Natale e la fine dell’anno. Forse – però – più che la pandemia, sono i provvedimenti del governo a darci ansia e angoscia. Il giorno di Natale e di Santo Stefano non potrò muovermi dal mio comune, nemmeno per far festa con i parenti più stretti, se abitano in un’altra città. A Capodanno potrò festeggiare la fine di questo dannato 2020, ma restando in casa, e con un numero limitato di persone. La sera di Natale posso andare a Messa, ma a casa entro le 22. Il primo gennaio pranzo al ristorante, ma non più di 4 a tavola e nel raggio di pochi chilometri da casa. Quell’ agriturismo carino, sul lago, dove si mangia divinamente? Meglio scordarselo. E poi, ovviamente, niente baci e abbracci: d’obbligo sempre indossare la mascherina. E anche i regali che senso ha farli se tanto non avrò occasione di scambiarli con parenti e amici. E quindi una bella botta anche ai commercianti, mentre i ristoratori – con i locali chiusi – si beccano un crack da 40 miliardi di euro.

    Ecco perché anche quest’anno… ”vorrei davvero che fossero già trascorsi Natale e Capodanno”.

    Non voglio passare per negazionista e neppure per incosciente, ma per festeggiare chiusi in casa e imbavagliati, meglio saltare. Spengiamo la luce alla sera del 24 dicembre e quando la riaccendiamo è già il 7 gennaio. Che bello. Oltretutto saremmo nel 2021 e finalmente ci saremo lasciati alle spalle questo 2020 di emme.

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  • NON CI SONO SOLO LE PISTE DA SCI

    10 dicembre 2020 • COSE NOSTRE • 2916

    ciaspole

    Premetto che da parecchi anni non ho più messo gli sci ai piedi, per problemi alla schiena. Amo la montagna, conosco un’ infinità di amici il cui reddito è legato quasi esclusivamente alla stagione sciistica. Quindi so benissimo cosa può comportare la mancata apertura degli impianti nel periodo natalizio per grandi stazioni come Bardonecchia, Sestriere, Sauze, Courmayeur, Cervinia, Limone, ma anche per località meno note come il Frais, Frabosa, Pragelato, Usseglio, ecc. Miliardi di introiti in fumo, migliaia di addetti del settore senza lavoro.

    Alberghi, ristoranti e bar che aspettavano solo le vacanze di Natale e i week end per salvare un’ annata già balorda, che si trovano con un pugno di mosche.

    Giusto o sbagliato non consentire l’ apertura degli impianti causa emergenza sanitaria? Il dibattito è aperto quanto infuocato. Ognuno ha le proprie ragioni.

    Mi permetto, però, di ricordare sommessamente che la montagna non è fatta solo di piste e discese su pendii innevati. Da quando ho smesso di praticare lo sci, ho scoperto il favoloso mondo delle ciaspole, delle passeggiate in luoghi incontaminati e altrettanto suggestivi: pronti a regalare pace e bellezza.

    E poi c’ è lo sci di fondo, le salite con le pelli di foca e le discese sci ai piedi. Tutti sport altrettanto divertenti e che danno garanzie assolute: distanziamento assicurato, il rischio di assembramenti pari allo zero.

    Forse questo inverno 2020-21 può diventare l’ occasione per fare un’ esperienza diversa, per scoprire una montagna nuova, ugualmente attraente. Basteranno un paio di scarponi adatti, se volete le ciaspole o gli sci da fondo, e via alla scoperta di panorami mozzafiato, camminate che regalano ristoro al corpo e allo spirito.

    E agli albergatori, ai ristoratori, ai baristi, agli operatori turistici suggerisco di predisporre – fin da adesso – programmi e proposte di escursioni, gite, giornate sulla neve all’ insegna del divertimento, della sicurezza e della pace.

    Le nostre montagne sono pronte ad accoglierci, con o senza impianti aperti.

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  • SCAFFALE: TORINO-OPERAZIONE SECONDO TEMPO DI BALLACCHINO

    4 dicembre 2020 • Archivio, LUOGHI E LIBRI • 1487

    Torino_Operazione

    Cosa importa se è finita

    Cosa importa se ho la gola bruciata o no?

    Ciò che conta è che sia stata

    Come una splendida giornata…

    Nonostante sia un giallo, ho deciso di spoilerare la fine.

    Queste sono le parole scelte da Rocco Ballacchino per terminare il suo ultimo romanzo. E, come dichiarato da lui stesso nei ringraziamenti, ultimo davvero, perché chiude la fortunata serie, edita da Fratelli Frilli, che ha visto protagonisti il duo Crema-Bernadini.

    La coppia investigativa formata da Sergio Crema, commissario perfino troppo normale e Mario Bernardini, invadente, quanto arrogante e spigoloso, critico cinematografico, giunge quindi al capolinea.

    Dal 2014 al 2020, i nostri hanno affrontato sette indagini, ambientate a Torino in tempo reale, così come è ambientata, in città e nell’immediato pre-Covid, la loro ultima avventura.

    La storia prende inizio in una mattina di febbraio 2020, quando una donna si presenta in commissariato per denunciare la scomparsa del figlio: un rider impegnato in battaglie per rivendicare diritti di lavoro. Sergio Crema sottovaluta il grido d’aiuto della donna, convinto che il ragazzo presto tornerà a casa. Di fatto, il suo cuore e la sua mente, sono in tumulto per vicende che lo vedono coinvolto, al di fuori del lavoro, con il suo magistrato: Giulia Bonamico.

    Sarà una leggerezza che costerà cara al nostro Crema e alla sua squadra che si vedranno, costretti dai sensi di colpa, ad impegnarsi ancor di più per arrivare alla soluzione di un caso intricato quanto pieno di facili e false piste. Alla fine, la soluzione arriverà, nel secondo tempo, anche grazie a lui: Mario Bernardini, a cui basta una frase per illuminare il buio percorso del commissario Crema.

    Le cose stanno cambiando nel piccolo mondo del commissario, Giulia Bonamico e Mario Bernardini stanno compiendo delle scelte che li porteranno ad allontanarsi. Una storia d’amore mai concretizzata e un’amicizia, interrotta ma mai finita, sono forse arrivate a una svolta. Le loro scelte scavano l’animo di Crema, infliggendo ferite profonde e gli fanno aprire gli occhi su una realtà che pare non bastargli più.

    L’amicizia con Bernardini e il legame ambiguo, seppur mai concreto con la Bonamico, hanno regalato entusiasmo, adrenalina e galoppate di fantasia al nostro commissario, che ora pare rifugiarsi nel legame sereno, complice e duraturo con la moglie e nell’amore concreto e senza voli pindarici dei suoi figli.

    Quando si chiude una serie è un momento sospeso, per l’autore e per i suoi lettori, si apre uno squarcio di tempo indefinito in cui ci si crogiola nelle emozioni date dalla scrittura o dalla lettura di quanto pubblicato. Ci si delizia tra il piacere di aver condiviso quell’avventura e l’attesa di cosa accadrà.

    Se si riprende tra le mani Scena del crimine primo romanzo della fortunata serie, leggendo qua e là, ci si rende conto della crescita dell’autore, dell’evoluzione della scrittura, della maggiore cura riservata agli ultimi libri e della ricerca di nuovi modi per delineare personaggi, paesaggi ed emozioni. In questi anni Rocco Ballacchino è maturato con noi, per noi e grazie a noi lettori, ed è ora un autore completo, con uno stile preciso.

    Attendiamo quindi il prossimo ciclo, la prossima serie, sicuri che saprà ancora sorprenderci. Con Torino – Operazione secondo tempo, si è chiusa una porta, ora è il tempo di aprire un portone.

    Patrizia Durante

    Titolo:  Torino – Operazione secondo tempo

    Autore:  Rocco Ballacchino

    Editore: Fratelli Frilli Editori

    Prezzo:  14.90 euro

     

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  • PREOCCUPATO PER LE RSA, ANCOR DI PIU’ PER I NOSTRI VECCHI

    3 dicembre 2020 • COSE NOSTRE • 2545

    RSA

    Si tornano a contare i morti nelle Rsa. L’ondata autunnale della pandemia si sta allargando anche nelle strutture per anziani, anche se la situazione non è omogenea.  Alcuni casi sono emblematici, come quello di Trecate, nel Novarese, dove ci sono stati decine di positivi e pochissimi negativi. O Castelnuovo Don Bosco, dove si contano percentuali allarmanti sia fra gli ospiti che fra i dipendenti. Sono una quindicina quelli deceduti nella struttura di Venaria Reale. Altri  a San Germano Chisone. Dovremmo ricordare anche i casi di Gassino, di Piossasco, di Chieri, di Sant’Albano Stura e tanti altri, perché tutti i decessi e malati debbono essere ricordati, nessuno escluso. La realtà è che i morti ci sono di nuovo.

    Nonostante le visite dei parenti siano state sospese e il personale sottoposto a tampone, il virus è tornato a circolare per vari motivi.

    E laddove non ci sono contagiati o vittime, insorgono altre problematiche importanti. Praticamente tutte le Rsa versano in una situazione economica drammatica. E’ in atto un’ emorragia da parte degli infermieri: lasciano il posto attratti dall’assunzione negli ospedali o perché ritengono troppo pericoloso continuare a lavorare nelle residenze per anziani. Inoltre i costi per la sanificazione e per la messa in sicurezza di queste strutture sono saliti alle stelle.

    Più di un consigliere d’ amministrazione di queste residenze mi ha esternato i suoi timori sul futuro. “Non sappiamo se riusciremo ad arrivare a fine anno. Non abbiamo i soldi per pagare gli stipendi e nemmeno per comprare cibo e medicinali”.

    Non mi sto preoccupando solo dei bilanci di queste strutture, mi preoccupo del futuro dei nostri vecchi. Se le Rsa chiudono, mi chiedo che fine faranno i nostri papà, le nostre mamme, le zie, i nonni, insomma tutte quelle vite umane che non sono ferrivecchi, ma la nostra storia, la nostra memoria, una ricchezza, una risorsa e non un peso.

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  • SE LA MORTE ARRIVA IN CASA

    26 novembre 2020 • COSE NOSTRE • 2449

    omicidio-carabinieri-300x225

    Il 2020 non è ancora finito e in Piemonte dobbiamo purtroppo contare una lunga scia di omicidi fra le mura domestiche: almeno 11 episodi criminali con un incredibile numero di vittime. A cominciare dal 13 marzo quando un ex vigile urbano a Beinasco (Torino) teme per il futuro del figlio disoccupato e allora prende la sua pistola, stermina l’intera famiglia e poi si suicida. Ultima, in ordine di tempo, la strage di Carignano del 9 novembre quando un operaio di 40 anni uccide la moglie, spara sui due gemellini di 2 anni, uccide pure il cagnolino e poi si toglie la vita.

    Quando ero giovane era pericoloso andare per strada. Erano gli anni del terrorismo e si sparava all’impazzata per uccidere, anche nelle vie più trafficate. Adesso pare che siano le stanze di casa ad essere diventate il luogo maggiormente a rischio.

    Cosa è diventato il focolare domestico? Da angolo degli affetti, dell’amore e del calore a luogo dove si scatenano i peggiori istinti, le violenze, le frustrazioni, la rabbia più cieca.

    Sarebbe sbagliato generalizzare: ogni caso fa storia a sé. Ma certo deve far riflettere questa escalation di delitti compiuti fra le mura di casa. E certamente il lockdown, con l’obbligo di restare chiusi in pochi metri quadrati, può essere scintilla che dà il via alla follia.  Non c’è mai – dicono gli esperti – un rapporto diretto di causa-effetto fra le restrizioni e la tragedia.

    Mio papà e mia mamma hanno vissuto insieme per 43 anni in un piccolo appartamento di due camere e tinello: litigavano spesso, ma non ho mai visto un gesto violento e  non ho mai sentito neppure un insulto.

    La realtà è che c’è troppa rabbia nell’aria. Ci si insulta e si arriva alle mani anche solo per una precedenza non data.

    Abbiamo dimenticato cosa significa il controllo di se stessi, la calma, la gentilezza, la cortesia, il saper disinnescare le discussioni, la ricerca paziente dell’equilibrio nei rapporti di coppia, la gioia del condividere, anche solo per vedere la gioia negli occhi dell’altro. Ma anche il saper elaborare e superare la frustrazione, quando le cose non vanno come avremmo sperato, il saper soffrire, magari anche piangendo, in silenzio, in casa.

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  • SCAFFALE: GLI AGNELLI DI ANTONIO PARISI

    20 novembre 2020 • LUOGHI E LIBRI • 3055

    Gli Agnelli

    Di libri sulla famiglia Agnelli ne sono stati scritti a bizzeffe. Cos’ha di nuovo e di diverso questo di Antonio Parisi? Lo scopriamo già nella quarta di copertina: “I dubbi sulla morte di Edoardo, la vita sopra le righe di Lapo, la controversa eredità dell’Avvocato e adesso della moglie Marella. La storia della dinastia Agnelli, una famiglia al centro di misteri e sfortunate  morti premature”.

    Insomma, un’indagine a tutto campo sulle pagine oscure della famiglia più importante, potente e famosa d’Italia.

    Al centro della narrazione la  controversa morte di Edoardo Agnelli del novembre 2000, esattamente 20 anni fa e le indagini che furono fatte o non fatte (a partire dalle bugie a proposito dell’autopsia e degli esami tossicologici sul cadavere). A partire dalle ultime ore in vita del figlio dell’Avvocato si dipanano le biografie di tutti gli Agnelli. A cominciare dall’inizio del ‘900 quando uno dei fondatori della Fiat, Giovanni Agnelli (il nonno dell’Avvocato) , riuscì a diventare amministratore delegato in seguito ad “un controverso suicidio del conte Emanuele Bricherasio di Cacherano”. Si prosegue con varie vicissitudini giudiziarie dal 1907 fino alle più recenti indagini sulla corruzione in Fiat e alle nebbie che hanno circondato la morte di Sergio Marchionne.

    Per esplicita ammissione dell’autore il testo si avvale di un’infinita serie di note (che rendono spesso meno agevole la lettura) e basandosi sovente sulla diretta testimonianza di Marco Bava, amico di Edoardo Agnelli, e noto disturbatore delle assemblee Fiat. Un testimone credibile? Lo stesso Bava afferma di aver messo tutta la sua documentazione (molte lettere personali del figlio dell’Avvocato) a disposizione dell’Archivio di Stato che però non si è ancora pronunciato nel merito.

    Insomma, un libro da prendere con le molle. Nessuna verità sacrosanta, ma uno squarcio diverso su una dinastia che spesso è passata alle cronache come bella, patinata, vincente, invidiabile. E invece che ha vissuto in un mare agitato da drammi laceranti, divisioni e lotte intestine.

    ANTONIO PARISI

    GLI AGNELLI

    DIARKOS EDITORE, 17 euro

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  • IO NON COMPRO DAI GIGANTI DEL WEB, NEMMENO ADESSO

    19 novembre 2020 • COSE NOSTRE • 2213

    online

    E siamo di nuovo in lockdown. Giusto? Sbagliato? Se ne discute anche troppo. Quasi non si riesce a parlare d’altro.

    C’è però un dettaglio che mi lascia perplesso, diciamo pure  indignato. Mentre molti negozi, esercizi commerciali, grandi magazzini sono costretti ad abbassare le serrande (qualcuno anche solo nei week end) le vendite on line proseguono, imperterrite.

    Non solo. Ho sentito persone affermare che approfiterranno di questo periodo, chiusi in casa, per fare acquisti e per portarsi avanti con i regali di Natale attraverso le varie piattaforme dei giganti del web.

    Io no!!!! Non ci sto. E vi spiego il perché. Anzitutto questi colossi non pagano le tasse, oppure le pagano in misura irrisoria, in Italia. “Ma comprare on line è  più comodo e poi costa meno” dicono in tanti. Bene, sappiate che siete complici dell’ evasione di milioni di euro.

    E poi perché questo significa la morte dei negozi e dei nostri esercizi commerciali. Se, quando potranno riaprire, noi avremo già fatto gran parte degli acquisti, loro come faranno a ripartire?

    Non servirà a  nulla poi lamentarsi per le serrande abbassate definitivamente, per il centro delle nostre città morto. È il momento anche  della solidarietà. Per questo, io non compro on line, nemmeno adesso. Aspetto che i miei amici commercianti, ristoratori, baristi riaprano per prendere un caffè, per mangiare una pizza, per i regali di Natale. Intanto mi servo nei negozi che sono ancora aperti o effettuano l’ asporto e il servizio a domicilio.

     

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  • SACCHEGGI E DEVASTAZIONI, ERA TUTTO PREVEDIBILE

    12 novembre 2020 • COSE NOSTRE • 2539

    SCONTRI

    Da oltre 30 anni seguo le cronache piemontesi e di manifestazioni in piazza ne ho raccontate tante. Dagli squatter alle prime proteste in Val di Susa per arrivare – più recentemente – alle Sardine e ai Si Tav. Non potevo mancare quindi alle ultime manifestazioni contro il Dpcm per le misure per il contenimento del Covid.

    Quindi, per esperienza diretta sul campo, non mi sono affatto stupito delle scene di devastazione e saccheggio che ho visto e testimoniato nei servizi televisivi. Posso dire che me le aspettavo, anzi ero certo che sarebbero successe.

    Perché questi sono professionisti del disordine e della tensione, forse mescolati a ultrà delle frange più estreme del tifo, con schegge partite dai centri sociali. Giovani partiti da quelle periferie che qualcuno, in campagna elettorale, aveva illuso sarebbero state riqualificate. Una regia via web e un solo obiettivo: fare il maggior numero di danni possibile.  Arrivano i barbari a fare prove di guerra civile, armati con i pezzi della città da profanare. Vanno a fuoco cassonetti e monopattini, le grate di ferro dei cantieri e i tavolini dei dehors servono come piedi di porco per rompere vetrine e depredare negozi.

    Una rivolta a due facce. Quella dello sciacallaggio organizzato di piazza Castello e le quiete rimostranze contro il coprifuoco delle migliaia di ristoratori, baristi, pizzaioli, lavoratori delle palestre, insomma onesti cittadini che erano in piazza Vittorio.

    La mia esperienza mi fa dire che era tutto già preordinato, prestabilito, precostituito, con lo scopo di far passare quasi sotto silenzio le vere ragioni della protesta. Sui giornali e tg si è parlato – quasi esclusivamente – degli scontri, degli incidenti, dei saccheggi…”perché fa più notizia”… e le voci della protesta pacifica sono sparite.

    Perché non fermarli prima? “Vige il diritto di manifestazione garantito dalla Costituzione. Il questore può solo vietarla per gravi motivi di ordine pubblico, documentati”, è stato risposto dalle autorità cittadine.

    Dopo quello che era successo a Napoli forse non era più sufficiente un semplice  richiamo, del tipo “fate i bravi”.

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  • LO SCAFFALE: IL GRANDE TORINO DI MANASSERO

    6 novembre 2020 • LUOGHI E LIBRI • 2550

    Il grande Torino

    C’ è un simpatico detto che circola negli ambienti granata: “Se il Toro collezionasse tante vittorie quanti sono i libri scritti sulla sua storia e sul suo mondo saremmo nei primi posti del palmares mondiale…”

    La bibliografia sul Torino infatti è vastissima. Eppure si arricchisce continuamente, anche con questo recente volume di Alberto Manassero, “Il Grande Torino”. E lo diciamo subito, è un bel colpo. Lo conferma nella sua prefazione Franco Ossola: “Manassero ha vinto la sua sfida nel modo più schietto e solare”. Decine e decine i volumi pubblicati sugli Immortali: scrivere ancora qualcosa di nuovo era impresa non facile, ma il giornalista di Tuttosport, classe 1963 e tifoso granata da sempre, ci è riuscito. Anzitutto trovando una voce narrante del tutto inedita e affascinante, il campo del Filadelfia. Ed è proprio quel tempio a raccontarci le gesta degli Invincibili, ma anche dei Presidenti Cinzano e Novo, dei dirigenti, dei giornalisti, degli accompagnatori, dei tifosi…insomma, di tutto quel mondo che ruotava attorno ad una squadra, il Grande Torino, che non era soltanto una formazione formidabile, ma anche il simbolo della rinascita di un’ Italia, in ginocchio sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale.

    Al suo esordio editoriale, Manassero ci accompagna attraverso 423 pagine in un viaggio che va dal 1926 – anno di nascita del Filadelfia – fino al 4 maggio 1949 – data della tragedia di Superga -. Ma anche nei giorni successivi, quelli della camera ardente e dei funerali che richiamarono a Torino circa un milione di persone. Il tutto narrato con uno stile da “scrittore autentico” (per dirla ancora con Franco Ossola) e aiutandosi con una miriade di articoli pubblicati dai giornali dell’epoca: imperdibile il pezzo di Vittorio Pozzo, l’allenatore, l’amico, colui che fu chiamato a riconoscere i resti dei 31 cadaveri, e che “non so come, con che forza, in quale tempo riuscì a dettare per la Stampa”.

    Un’opera certosina che ci catapulta dentro una storia che non è soltanto a tinte granata, ma che racconta un pezzo di vita della nostra Italia.

     

    ALBERTO MANASSERO – IL GRANDE TORINO

    EDIZIONI DIARKOS

    18 euro

     

     

     

     

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  • CONTRO IL VIRUS CON LATTE, YOGURT E CAFFE’

    5 novembre 2020 • COSE NOSTRE • 3041

    COLAZIONE

    “Non c’è solo il Covid. Parlate anche d’ altro, siamo stufi di tg e giornali dedicati solo e unicamente a ‘sto virus e ai contagi. Non se ne può più.. diventeremo pazzi”. Me lo sento ripetere ogni giorno. E allora ecco che “Il Punto” di questa settimana lo dedichiamo ad altro, all’ insegna dell’ ottimismo.

    Due realtà positive, due imprese che scommettono sul futuro nonostante la crisi. Una grande e una piccola.

    La Lavazza ha inaugurato a Settimo lo stabilimento “1895 Coffee Designers”, nuovo brand che nasce a Torino in una fabbrica esperienziale, luogo in cui si fondono cura artigianale e innovazione ad alto contenuto tecnologico per dare vita, ogni giorno, alla creazione di caffè d’eccellenza.   La nuova factory è un ambiente altamente specializzato, dotato di soluzioni tecnologiche all’avanguardia, con risparmi energetici di circa il 30% grazie a tostatrici di nuova generazione.

    In frazione Cussanio a Fossano, a una decina di chilometri dalla fattoria di famiglia, c’è il Caseificio al Santuario, una storia di tradizione e innovazione: formaggi freschi, stagionati e yogurt realizzati con latte di capra e di vacca. Alla base, una filosofia semplice ma fondamentale: offrire prodotti freschi della tradizione e di qualità. E capita così che, navigando i internet, si approdi al sito del Caseificio che apre la sua presentazione con queste parole “Ciao! Noi siamo Raffaele, Carla, Luca e Davide e abbiamo una piccola fattoria con un piccolo caseificio”. Raffaele Tortalla, fondatore e attuale presidente di Compral Latte, è allevatore da tutta la vita, un mestiere che fa con passione, con entusiasmo. Un amore per la propria terra che ha saputo trasmettere ai figli Luca e Davide e che condivide con la moglie Carla. Il Caseificio al Santuario è un piccolo gioiello dal cuore grande, tanto grande da creare, durante il periodo di lockdown, un vero e proprio servizio di consegna a casa, totalmente gratuito, per anziani e per tutte quelle persone che avevano difficoltà ad uscire.

    Queste sono le storie belle, quelle che è bello raccontare, quelle che è piacevole leggere, quelle che fanno grande la nostra terra.

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