Si tornano a contare i morti nelle Rsa. L’ondata autunnale della pandemia si sta allargando anche nelle strutture per anziani, anche se la situazione non è omogenea. Alcuni casi sono emblematici, come quello di Trecate, nel Novarese, dove ci sono stati decine di positivi e pochissimi negativi. O Castelnuovo Don Bosco, dove si contano percentuali allarmanti sia fra gli ospiti che fra i dipendenti. Sono una quindicina quelli deceduti nella struttura di Venaria Reale. Altri a San Germano Chisone. Dovremmo ricordare anche i casi di Gassino, di Piossasco, di Chieri, di Sant’Albano Stura e tanti altri, perché tutti i decessi e malati debbono essere ricordati, nessuno escluso. La realtà è che i morti ci sono di nuovo.
Nonostante le visite dei parenti siano state sospese e il personale sottoposto a tampone, il virus è tornato a circolare per vari motivi.
E laddove non ci sono contagiati o vittime, insorgono altre problematiche importanti. Praticamente tutte le Rsa versano in una situazione economica drammatica. E’ in atto un’ emorragia da parte degli infermieri: lasciano il posto attratti dall’assunzione negli ospedali o perché ritengono troppo pericoloso continuare a lavorare nelle residenze per anziani. Inoltre i costi per la sanificazione e per la messa in sicurezza di queste strutture sono saliti alle stelle.
Più di un consigliere d’ amministrazione di queste residenze mi ha esternato i suoi timori sul futuro. “Non sappiamo se riusciremo ad arrivare a fine anno. Non abbiamo i soldi per pagare gli stipendi e nemmeno per comprare cibo e medicinali”.
Non mi sto preoccupando solo dei bilanci di queste strutture, mi preoccupo del futuro dei nostri vecchi. Se le Rsa chiudono, mi chiedo che fine faranno i nostri papà, le nostre mamme, le zie, i nonni, insomma tutte quelle vite umane che non sono ferrivecchi, ma la nostra storia, la nostra memoria, una ricchezza, una risorsa e non un peso.
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