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  • Al Boeuc sul Lago d’ Orta

    4 maggio 2024 • CINQUE SENSI • 4223

    IMG-20150720-WA0004[1]

    Il lago d’ Orta è – a mio parere – il più intimo, raccolto e romantico fra i grandi laghi piemontesi. Un’ oasi di pace, silenzio, relax. Vale la gita di una giornata, anche solo per staccare dal caldo e dallo stress di queste settimane. Camminando sul lungolago,  fra i carrugi di Orta e sulla Passeggiata del Silenzio dell’ Isola di San Giulio troverete conforto, rinfresco del corpo e dello spirito e magari potrete anche fare un bagnetto rinfrescante nelle placide acque del lago.

    Se poi avvertirete un certo languorino vi consiglio l’ enoteca al Boeuc (Al Buco) in via Bersani, nella cittadina di Orta.

    Pensate è la più antica osteria sul lago. Era già aperta come cantina-portico nel 1500, sul porticciolo, accanto alla stretta del Lupo, laddove il lago arrivava proprio fino alla via Bersani. E il locale ha mantenuto le caratteristiche di allora: la cantina è fatta in mattoni e in fondo al locale c’ è ancora l’ antico pozzo dove venivano conservati i vini e i cibi, al fresco.

    Il titolare vi proporrà una serie di taglieri misti dove spiccano i prodotti locali: fra i salumi la Fedighina (una mortadella di fegato) e fra i formaggi la Toma del Mottarone. Da non perdere anche la varietà di bruschette, deliziosa quella al tartufo.

    Ma il mio consiglio spassionato va alla BAGNA CAODA ESTIVA. Quando mi è stato proposto questo piatto ho storto il naso, visto il caldo di questa estate…E invece? Una squisita sorpresa. Servita appena tiepida con una marea di verdure fresche, di stagione, è risultato un piatto squisito e rinfrescante. Davvero da provare…

    Ottima la scelta dei vini locali come il Bramaterra, il Gattinara e il Boca. E i prezzi sono competitivi, di fascia bassa.

    Provate questa ENOTECA AL BOEUC, via Bersani 28 – Orta San Giulio – TEL 339 5840039

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  • SCAFFALE: E SE UN ANGELO A LISBONA…DI GABETTO E DI MAURO

    3 maggio 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1849

    ANGELOLISBONA

     E se non fosse accaduto? Se quel gruppo di giovani calciatori non fosse salito su quell’aereo a Lisbona? Se non si fosse schiantato il 4 maggio di settantacinque anni fa sulla collina di Superga? Se non fosse sparita, in un attimo, quella squadra di Invincibili? È Guglielmo Gabetto, il funambolico avanti del Grande Torino, l’attaccante dei gol impossibili a raccontarci, con le sue “vive” parole, intrise di quella schietta torinesità che tanto amava, questa straordinaria, immaginifica, eventualità.

    Dalla penna di due scrittori granata, Orazio Di Mauro e Sergio, il figlio del grande Gabetto, sgorga questa ardita fantasia: pagine che mescolano, con intelligenza, ironia e commozione, l’impossibile e il probabile, la realtà e l’immaginazione, e che ci invitano a riflettere sulle sliding doors delle nostre vite, sull’aleatorietà delle scelte che ciascuno di noi opera, capaci di indirizzare una vita in un verso piuttosto che un altro.

    Un racconto che rende omaggio alla memoria «di uomini che non erano solo campioni, ma che rappresentavano per tutti gli Italiani la voglia di rinascita, di ripartenza dopo le distruzioni, materiali e spirituali, della Seconda guerra mondiale che avevano lasciato il nostro Paese in ginocchio. Quando Valentino Mazzola, Guglielmo Gabetto, Franco Ossola e compagni vincevano, vinceva tutta l’Italia. Ed è per questo che ancora oggi sogniamo ad occhi aperti. Se non avessero preso quell’aereo…», come si legge nella prefazione.

    ORAZIO DI MAURO E SERGIO GABETTO

    SE UN ANGELO A LISBONA

    NEOS EDIZIONI

    14euro

     

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  • FUMARE CON IL CENTIMETRO

    2 maggio 2024 • COSE NOSTRE • 1261

    fumosigaretta

    Divieto di fumo in presenza di bambini o di donne in gravidanza e in ogni luogo all’aperto ad una distanza inferiore di 5 metri da altre persone, senza il loro consenso esplicito. Così recita la delibera approvata dal Comune di Torino.

    Prima premessa: sono un fumatore di pipa da oltre 40 anni.

    Seconda premessa: sono d’accordissimo a qualsiasi intervento per evitare il fumo passivo e per tutelare la salute di tutti.

    Ma quella varata dal Comune di Torino mi sembra una sciocchezza colossale.

    E mi conforta il parere espresso dalla Società Italiana di Medicina Ambientale: “Divieti di fumo come quelli varati a Torino, rischiano di essere difficilmente attuabili e di non determinare risultati concreti”. E aggiungono: “Stabilire per i fumatori una distanza minima dalle altre persone è una misura difficile da far rispettare, perché presume la presenza di controlli a tappeto in strada, da parte di agenti delle forze dell’ordine, dotati di appositi misuratori per accertare le distanze tra cittadini e sanzionare i trasgressori”.

    E poi? Come la mettiamo con il vento? Come lo si misura? Già immagino controlli con il centimetro e l’anemometro

    Secondo l’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a fumare è un adulto su 5, il 20,9% della popolazione, un dato in calo quasi ovunque, sicuramente in Italia.

    Provvedimenti come quello di Torino vanno contro ogni logica. Ci facciamo solo prendere in giro.

    Piuttosto facciamo come in Gran Bretagna dove si mira ad impedire a tutti i nati dal 2009 in poi di acquistare sigarette, per sempre. Quindi, nel Regno Unito si andrà verso l’estinzione totale dei fumatori. Già… ma come farà lo Stato a recuperare quel che incassa con tasse e accise sul tabacco? Quanta ipocrisia.

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  • Amaretti di Mombaruzzo, i dolci dell’ amore

    27 aprile 2024 • CINQUE SENSI • 12445

    amaretti

    Gli amaretti sono dolci antichissimi, quasi certamente furono inventati in Sicilia nel Medioevo e si diffusero in modo rapido nei Paesi Arabi, affacciati sul bacino del Mediterraneo. In epoche successive entrarono a far parte della tradizione dolciaria di Normanni, Francesi e Spagnoli.

    Il dolce si diffuse in Italia e in Europa attraverso pellegrini e conventi, agevolato dal fatto che si conservasse in ottime condizioni per lunghi periodi.  L’amaretto è un biscotto semplice, a base di pasta di mandorle fatta con zucchero, bianco d’uovo, mandorle dolci e mandorle amare. Spesso sono usate, al posto delle mandorle amare, le Armelline, ricavate dai noccioli di albicocca.

    Col tempo e seguendo le varie migrazioni, sono diventati anche dolci tipici piemontesi, diffusi in molte località della regione, per lo più nell’ Alessandrino e nell’ Astigiano. I più rinomati e famosi sono quelli di Mombaruzzo. Ma come è arrivata in Piemonte la ricetta per questo dolce così esotico?

    Pare che la miscela e il dosaggio degli ingredienti sia stato rivelato a Francesco Moriondo, pasticcere di corte per Casa Savoia, nato e residente a Mombaruzzo, da una fanciulla siciliana perdutamente innamorata di lui. Un dono d’amore quindi, che Francesco Moriondo seppe sfruttare dato che cominciò da subito a produrre e mettere sul mercato i suoi amaretti. Correva l’anno 1792 e ben pochi conoscevano o avevano gustato questa specialità. Ben presto l’attività prese piede, grazie alla bontà e fragranza del prodotto. Inutile dire che molti tentarono di imitarlo, anche fuori dalla provincia e dalla regione, ma gli Amaretti di Mombaruzzo continuano a essere considerati i migliori.

    L’attività della famiglia Moriondo prese il volo dopo la metà dell’800 e dopo aver partecipato a varie mostre ed esposizioni. Innumerevoli sono i riconoscimenti per l’amaretto: medaglia d’oro a Napoli nel 1882, a Milano e Torino nel 1884, a Roma nel 1887 e nel 1895.

    Ora gli Amaretti di Mombaruzzo vengono prodotti, oltre che dagli eredi di Francesco Moriondo, anche nei laboratori di altri pasticceri locali, ma sempre con metodi artigianali e ingredienti selezionati che garantiscono una qualità elevatissima del prestigioso prodotto, apprezzato in tutta Italia ma anche nel resto d’Europa.

    Ricetta

    Ingredienti: 2 etti di mandorle dolci, 2 etti di mandorle amare, il bianco di 2 uova, 9 etti di zucchero in polvere.

    Preparazione: sbollentare e pelare le mandorle, farle asciugare in forno senza tostarle quindi pestarle a lungo in un mortaio bagnandole con un po’ di bianco d’uovo. Sbattere lo zucchero con il resto del bianco d’uovo, aggiungere le mandorle e mescolare fino a formare una pasta piuttosto densa. Scaldate il forno a bassa temperatura. Prendete l’impasto e formate delle palline grosse come prugne, disponetele su una teglia ricoperta con carta da forno e fate in modo che non si tocchino. Inumiditele nella parte superiore, toccandole delicatamente con un pennello bagnato con acqua. Infilate quindi la vostra teglia in forno fino a quando le palline non avranno assunto un bel colore biondo, restando morbide in centro. Fatele quindi raffreddare, staccatele delicatamente dalla carta e servite i vostri amaretti.

    Buon appetito!

    Patrizia Durante.

     

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  • GIROVAGANDO: IL CASTELLO DI PRALORMO

    26 aprile 2024 • LUOGHI E LIBRI • 3250

    castellopralormo

    Difficile trovare una data precisa per l’ inizio della costruzione del castello di Pralormo, al confine fra le province di Torino e di Cuneo. Certamente se ne trova traccia verso la fine del XIII secolo. Poi, fra il Quattrocento e il Cinquecento, il maniero venne ampliato con la realizzazione delle torri. Nel 1680 con l’ arrivo dei conti Beraudo di Pralormo cominciò un’ ampia opera di trasformazione e l’ acquisizione dei terreni circostanti, nel Settecento fu realizzata dall’ architetto Galletti (uno dei costruttori di Oropa) la cappella per la religiosissima famiglia nobiliare piemontese.

    Ancora oggi il castello di Pralormo è abitato dai discendenti dei conti Beraudo di Pralormo che lo tengono aperto e vivo grazie ad una serie di iniziative che richiamano migliaia e migliaia di turisti.  Visitare l’ interno significa immergersi nella storia: dalle cucine alle sale affrescate, dalle stanze alle cantine si comprende come si viveva nei secoli passati, come si lavavano gli indumenti, come si riscaldavano gli ambienti, come ci si divertiva e come si lavorava.

    E poi l’ immenso parco storico dove ogni anno, dal 1994, Consolata Beraudo di Pralormo allestisce l’ ormai celeberrimo Messer Tulipano: in primavera un’ esplosione di fiori, colori, profumi.

    Insomma, trascorrere una giornata al Castello di Pralormo (ad una trentina di chilometri da Torino) significa immergersi nella storia, rivivere i fasti dei secoli scorsi, assaporare quell’ aria di genuinità delle cose autentiche, godere degli spettacoli che la natura ci regala in ogni stagione.

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  • UNA FETTA DI PIEMONTE A RISCHIO DI ESTINZIONE

    25 aprile 2024 • COSE NOSTRE • 1186

    NEONATI

    Entro il 2040 il  Nord Italia potrebbe avere quasi 2 milioni e mezzo di residenti in meno rispetto agli attuali: si passera’ dai 27,4 milioni di abitanti del 2023 a 25,1 milioni. Gli effetti si vedranno specie in Lombardia (-673mila), Piemonte (-493mila) e Veneto (-387mila).Nel Nord-est la riduzione sara’ di 939mila persone, nel Nord-ovest di 1,4 milioni. La discesa sara’ fin da subito rapida: -143mila unita’ all’anno nei prossimi sette anni in tutto il Nord Italia.

    Non si tratta di ipotesi o di previsioni catastrofiche.. Tutto questo se non ci saranno nuove migrazioni o una decisa inversione nelle nascite.  Questa infatti, è la semplice analisi matematica tenendo conto del calo di nascite registrato negli ultimi decenni.

    I tecnici la chiamano “glaciazione demografica” e se volessimo applicarci al gioco del “cancella la citta’”, ovvero una lista del tutto soggettiva di citta’ e centri che potrebbero ‘sparire’ se la perdita di abitanti fosse concentrata in esse, in Piemonte diverrebbero disabitate Alessandria, Asti, Cuneo, Moncalieri, Collegno, Rivoli, Nichelino, Vercelli e Biella.

    La diminuzione della popolazione non sara’ uniforme; saranno i centri piu’ remoti ed isolati, con minori servizi (sanita’, scuole) e piu’ basse prospettive di lavoro e vita sociale a pagare il conto piu’ salato. L’abbandono di questi luoghi fara’ venire meno, ad esempio, la manutenzione dei boschi e dei terreni, con conseguente aumento del rischio idrogeologico. Meno abitanti significhera’ minore mercato

    interno, dunque piu’ bassi consumi ma anche investimenti inferiori. Ci saranno sempre più anziani e diminuzione dei giovani; il mercato immobiliare subira’ un forte contraccolpo, cosi’ come l’accumulo dei risparmi privati. La ‘glaciazione’ influira’ naturalmente sui consumi: meno pannolini per neonati, piu’ ausili sanitari per i vecchi.

    Facendo sempre meno figli e cercando di evitare l’ arrivo di nuovi migranti il destino è segnato. Poi non dite che non ce l’ avevano detto.

     

     

     

     

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  • ANCHE LA MENTA PARLA PIEMONTESE

    20 aprile 2024 • CINQUE SENSI • 3889

    mentapiperitapancalieri

    A sud di Torino sorge una cittadina adagiata all’inizio della pianura Padana caratterizzata da un terreno particolare formatosi durante le alluvioni quaternarie, argilloso/siliceo in superficie, molto permeabile ma con un sottosuolo umido. E’ Pancalieri.

    I vasti campi che circondano la cittadina sono famosi per la coltura della Menta Piperita nera (Mentha Piperita varietà Officinalis Sole) nota come Menta Mitcham, dalla località inglese del Surrey dove ebbe origine.

    Questa particolare qualità di menta fu introdotta in Italia nel 1903 da Honoré Carles, che già nel 1901 era entrato in società con  Giovanni Varino, titolare dell’omonima distilleria fondata a Pancalieri nel 1870.

    Nel 1908 Honoré Carles si mise in proprio e da quel momento la coltivazione della Menta Mitcham o Italo – Mitcham, si diffuse in modo rapido, sia per la resa in erba verde, molto remunerativa per il coltivatore, sia per la resa di oli essenziali di elevata qualità, altrettanto remunerativa per i distillatori.

    La coltivazione della menta risale però a parecchi anni indietro, si trovano infatti importanti testimonianze risalenti al 1700 riportate dalla Iconographia Taurinensis conservata nella biblioteca dell’Orto Botanico di Torino.

    Altre importanti testimonianze affermano che in Piemonte esistevano coltivazioni di menta piperita, diversa dalla Mitcham, sin dal 1865: Primo Pietro, confettiere, distillava la menta coltivata a Cavour, mentre a Pancalieri il farmacista Chiaffredo Gamba, la distillava con un alambicco da 100 litri.

    Qualche anno dopo altri aprirono distillerie a Pancalieri come Melchiorre Oddone, mentre Domenico Ulrich a Torino, dava alla distillazione della menta di Pancalieri e dei comuni limitrofi, un’impronta industriale.

    Nel 1914 nella zona del Pancalierese si contavano 17 distillerie con 71 alambicchi, nel 1924 le distillerie erano 22 e raggiunsero il numero di 70 solo due anni dopo.

    Nel dopoguerra la coltivazione della menta rimase vincolata alla zona del pancalierese e seguì le vicende del mercato dell’olio essenziale, quasi tutte le aziende agricole erano oramai dotate di un l’alambicco che consentiva la distillazione in proprio.

    Attualmente la menta si coltiva in vari Comuni tra Villafranca Piemonte e Carmagnola con al centro Pancalieri. L’olio essenziale viene estratto per mezzo di una corrente di vapore in alambicchi d’acciaio, si utilizza la pianta appena raccolta intera, servono 10 quintali di menta per estrarre 3 chili di olio essenziale. La raccolta e la distillazione avviene in piena estate, quando la concentrazione dell’aroma è massima, l’olio essenziale estratto viene sottoposto ad un’ulteriore processo di distillazione che elimina alcune impurità e ne migliora le caratteristiche organolettiche. Nella zona di Pancalieri viene coltivato il 50% delle erbe officinali prodotte in tutta Italia. L’olio essenziale di menta di Pancalieri è iscritto nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionale del Piemonte.

    Patrizia Durante

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  • SCAFFALE: LUCA GIAI E “CE’ PER IL CHE”

    19 aprile 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1250

    ceperilche

    “Cè per il Che” è il nuovo libro edito dal ValsusaFilmFest, con il contributo del Sistema Bibliotecario Valsusa, che racconta le emozioni del viaggio di due valsusini verso il luogo del martirio di Ernesto Che Guevara. Si tratta del diario del viaggio sulle orme Che Guevara intrapreso nel 1984 da Cesare Carlo Favro con Roberto Plano. Un diario che Luca Giai ha voluto riprendere in mano per darlo alle stampe, lasciandolo così per sempre patrimonio di tutti.

    Un diario che unisce San Giorio e La Higuera attraverso la figura di Cesare Carlo Favro. Classe 1947, Comunista, Sindaco, Ferroviere, Fotografo, Thailandese d’adozione, Viticultore, il più giovane pensionato d’Italia. Una vita avventurosa, sempre. E sempre controcorrente. Una passione smisurata per i viaggi, di cui mi ha lasciato i diari personali: Amazzonia, America Latina, Thailandia, India, ma anche Parigi, l’America coast to coast. Ma “Il Viaggio” è stato quello alla ricerca del luogo in cui venne ucciso nell’ottobre del 1967 Ernesto Che Guevara. Un viaggio rimandato per anni e poi realizzato nel 1984, con un reportage fotografico d’eccezione. Immagini presentate in quegli anni Ottanta al “Festival dell’Unità” di San Giorio e poi messe in archivio. Ma nel 2017 ecco giungere l’anniversario dei 50 anni dalla scomparsa del Che. E allora cosa fare? Lo rivela Luca Giai: “Ovviamente lavorare ai fianchi Cesare per convincerlo a riprendere in mano quelle foto ingiallite e ripresentarle al pubblico. Non nascondo le litigate e le mandate a quel paese. Ma alla fine il nostro Cè ha ceduto e si è messo sotto a lavorare sodo per realizzare una presentazione dettagliata e precisa. E così il 12 ottobre del 2017, a 50° dall’uccisione del Che a La Higuera, ecco che al centro polivalente di San Giorio Cesare Favro ha presentato il suo “Viaggio sulle Orme del CHE”.

    Luca Giai spiega il lavoro svolto per arrivare al libro: “Quell’immane lavoro di selezione, organizzazione e predisposizione testi e immagini per il 50° di Che Guevara offre ancora oggi la possibilità di un ulteriore omaggio a Cesare Favro. Grazie alla disponibilità delle sorelle di Cesare, Alida e Marina, che mi hanno donato una copia dell’hard disk dell’inseparabile PC di Cesare e grazie alla sensibilità del ValsusaFilmFest e al contributo del Sistema Bibliotecario Valsusa, quel lavoro oggi si è potuto tradurre in un libro-diario di viaggio che rende omaggio a due miti: il mito internazionale di Ernesto Che Guevara e il nostro mito sangioriese Cesare Carlo Favro. Io ho avuto l’onore di poter solo dare organicità al lavoro fatto da Cesare. Tutto ciò che è contenuto nel libro, fatte salve le prefazioni, è dunque tutto frutto dell’ingegno e della sensibilità di Cesare. Ho voluto che il diario rimanesse in prima persona, perché sicuramente scorre meglio e poi, con un filo di romanticismo, perché penso possa aiutarci a vedere e sentire ancora Cesare qui in mezzo a noi con la sua testa dura, ma col suo grande cuore”.

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  • SUPERMERCATI COME LUOGHI DI SFRUTTAMENTO

    18 aprile 2024 • COSE NOSTRE • 1396

    Roma, 31 mag. (askanews) - Vola il carrello della spesa. A maggio i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,8% su base mensile e dell'1,9% su base annua (in accelerazione da +1,2% registrato ad aprile). E' la stima preliminare dell'Istat.

	I prezzi dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto salgono dello 0,8% in termini congiunturali e del 2,1% in termini tendenziali (in accelerazione da +1,4% del mese precedente).

    Qualche anno fa vennero annunciate, in pompa magna, le aperture di alcuni grandi centri commerciali per 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Quindi, anche a Natale, a Pasqua, a Capodanno e anche di notte. Proprio su queste colonne de “Il Punto” io scrissi che mai avrei fatto la spesa di notte e mai nei giorni festivi, perché consideravo quelle aperture una sorta di condanna allo sfruttamento per i dipendenti. Apriti cielo. Me ne dissero di tutti i colori. Ma va bene così…

    A distanza di qualche anno, durante le passate festività di Pasqua e Pasquetta, le organizzazioni sindacali hanno proclamato lo sciopero del commercio, sciopero che si ripeterà il 25 aprile, il Primo Maggio e così via. Sotto lo slogan “Chiuso per festeggiare”, l’obiettivo è “rispettare le feste per rispettare le persone”.

    “Lasciare aperti i negozi nelle festività pasquali è un gesto in contrasto con i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”, hanno spiegato i sindacati. “Il commercio è da sempre uno dei settori più colpiti da un consumismo insostenibile, che vuole negozi sempre aperti e addetti costretti in un modello di società che non consente più di conciliare i tempi di vita e lavoro”.

    Allora avevo visto giusto? Non me ne frega un bel niente.

    Quel che ribadisco è che non farò mai la spesa di notte e nei giorni festivi.

    Una sola eccezione. È giusto che alcuni esercizi commerciali restino aperti nelle località turistiche: sono i giorni in cui si realizzano i maggiori incassi, sarebbe sbagliato penalizzarli, ma per il resto no. Nessuna deroga nemmeno per i piccoli “banglamarket”, quelli gestiti da extracomunitari.

    Ribadisco sono forme di sfruttamento, oltretutto sottopagate.

    In fondo, anche Dio il settimo giorno si riposò…

     

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  • GIROVAGANDO: IL CIMITERO DI SAN PIETRO IN VINCOLI A TORINO

    12 aprile 2024 • LUOGHI E LIBRI • 2368

    SAN PIETRO IN VINCOLI

    San Pietro in Vincoli è il più antico cimitero di Torino, sorge in borgo Aurora, alle spalle del enorme complesso del Cottolengo. Fu realizzato nel 1777; aveva al centro un’area scoperta con l’ossario generale e 44 pozzi per le sepolture comuni. I porticati servivano invece per le tombe dei nobili. Attorno al cimitero c’ erano due aree separate: una destinata ai giustiziati e ai boia e l’altra ai suicidi e ai non battezzati.

    In quegli anni l’ intera zona era all’ esterno della città, e il camposanto era conosciuto come del Santissimo Crocifisso. Curiosa l’ origine del nome San Pietro in Vincoli. Secondo alcuni fu impiantato in un’ area agricola con parecchi campi di cavoli,  coj in piemontese: quindi San Pietro di Vincoj, tradotto in italiano Vincoli.

    Questo camposanto doveva servire per le spoglie provenienti dalla Chiesa di Corte, dal Duomo, dalla chiese dei SS. Giacomo e Filippo, di San Dalmazzo, delle Orfane e dell’Ospedale dei Pazzi. Insomma, era il cimitero del centro di Torino.
    Nel 1852 fu semidistrutto dallo scoppio della polveriera di Borgo Dora. Nel 1882 le sepolture furono sospese definitivamente, ma il cimitero rimase aperto fino al 1937.

    Dopo la Seconda Guerra Mondiale San Pietro in Vincoli cominciò ad essere oggetto di atti vandalici e teatro di riti satanici tanto che nel 1970 il Comune di Torino decise lo sgombero e il trasferimento di tutte le tombe nel Cimitero Monumentale di via Catania.  Mai però furono ripuliti i pozzi con le tombe comuni: si procedette solo alla chiusura con sigillatura.

    Per lungo tempo continuarono le profanazioni e le messe nere, fin quando negli anni Ottanta venne radicalmente ristrutturato ed adesso l’area del cimitero e la cappella sono adibite a luogo di eventi culturali come il Varvara Festival, il nome è quello di una principessa russa moglie di un ambasciatore presso la corte sabauda. Leggenda narra che di notte il suo fantasma passeggi ancora intorno al cimitero, e che qui porti i suoi inconsapevoli amanti. Varvara Festival è un appuntamento per gli amanti dei suoni oscuri, esoterici, pesanti a tinte dark divenuto in soli due anni un punto di riferimento per gli amanti del genere ospitando artisti nazionali ed internazionali con performance, live e dj set.

    Dopo essere stato abbandonato per 15 anni, nel 1986 si procedette al restauro e fino al 2008 San Pietro in Vincoli è stato sede della Bibliomediateca ” Mario Gromo” del Museo del Cinema.

    Oggi l’ex-cimitero è affidato in gestione a tre associazioni e viene utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni culturali di vario tipo.

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