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  • SCAFFALE: D’ OTTAVIO E L’ INNO DI MAMELI

    22 marzo 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1480

    inno

    Tutti ne conosciamo almeno la prima strofa. Pochi, pochissimi ne conoscono le origini e la travagliata storia.

    Parliamo dell’ Inno di Mameli che solo dal 4 dicembre 2017 è diventato l’ Inno ufficiale della Repubblica Italiana.

    Umberto D’ Ottavio, già sindaco di Collegno (Torino), assessore alla Provincia, deputato, ha voluto sopperire a questa lacuna raccontando la storia del Canto degli Italiani. Ed eccoci a scoprire che il testo fu scritto da Goffredo Mameli nel 1847, musicato dal Novaro un anno dopo, assunto come inno della Repubblica Italiana nel 1946, ma solo provvisoriamente.

    Il Italia ciò che è provvisorio diventa definitivo e così bisogna arrivare al 2017 quando Fratelli d’ Italia viene – con un’ apposita legge proposta da D’ Ottavio – riconosciuto come inno ufficiale.

    Perchè Mameli scrisse quel testo così aulico e apparentemente ostico? Perchè gli insorti lo cantavano durante le 5 giornate di Milano? E’ vero che Fratelli d’ Italia trae ispirazione dalla Marsigliese, inno di Francia? A questi e a tanti altri quesiti risponde il volumetto di Umberto D’ Ottavio fino a descrivere l’ iter parlamentare – non facile – per far diventare il brano Inno Ufficiale della Repubblica Italiana.

    Interessante e utile anche la pubblicazione del testo ufficiale del Canto degli Italiani e una breve storia degli inni di tanti altre Nazioni nel mondo.

    UMBERTO D’ OTTAVIO

    L’ INNO DI MAMELI

    NEOS EDIZIONI

    12 euro

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  • QUANTA PIOGGIA SPRECATA

    21 marzo 2024 • COSE NOSTRE • 1441

    SPAZZANEVE

    Piove, guarda come piove, guarda come viene giù…. E in montagna metri di neve.

    Qualche disagio, un po’ di allagamenti, qualche strada interrotta, vie delle città diventate un colabrodo con buche che sembrano voragini, ma – per il resto – il sistema Piemonte ha retto bene. In provincia di Torino sono stati raggiunti anche i 250 mm di pioggia, ma le precipitazioni sono state abbondanti (oltre i 100 mm) un po’ su tutto il territorio piemontese.

    Faccio una previsione? Fra qualche mese sentiremo parlare di allarme siccità e danni all’agricoltura. Ne sono sicuro.

    E se invece, avessimo potuto trattenere e accumulare anche solo un decimo della pioggia caduta in questi giorni, avremmo – quasi certamente – evitato la prossima e futura siccità.

    Ripeto: un decimo dell’acqua scesa dal cielo.

     Basterebbe aver realizzato, nel corso di questi anni,  piccoli invasi per poter accumulare l’acqua da utilizzare poi, nel corso della stagione estiva, per irrigare campi, orti, frutteti, ecc. L’ andamento climatico degli ultimi decenni è ormai delineato: precipitazioni sempre più episodiche e sempre più abbondanti, che si alternano a lunghi periodi siccitosi.

    Come chiede da anni la Coldiretti, è sempre più urgente il varo di un piano per i piccoli invasi al servizio dell’agricoltura. I progetti ci sono, i finanziamenti anche: mancano solo le autorizzazioni delle varie autorità competenti.

    Comunque, questa perturbazione è già stata una buona premessa per la stagione agricola alle porte. E la tanta neve caduta, consentirà alle stazioni sciistiche di attirare turisti e sportivi – dopo il flop dell’inverno – almeno per le prossime vacanze pasquali.

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  • Da Francesca, la cena coi fiocchi

    16 marzo 2024 • CINQUE SENSI • 12587

    Torino Foto Dario Nazzaro : RUBRICA MANGIAR BENE. OSTERIA LA CENA COI FIOCCHI.

    Francesca, l’ amica ritrovata.

    Francesca è una cuoca davvero brava quanto semplice nel modo di preparare i piatti e nell’accogliere la gente.

    Quando, qualche anno fa, sono entrato nel suo nuovo locale, zona  stadio Filadelfia,  ho ritrovato una delle mie cuoche preferite e i suoi piatti impareggiabili.

    Zuppa cerali e legumi, Spadellata di carciofi e mazzancolle, Sarde beccafico e Caponata di melanzane, Salmone selvaggio affumicato con burro e crostini,  Flan di porri con fonduta, Parma affinato Saint Marcel con erbe di montagna, Albese con sedani  e Parmigiano, Pasta con le sarde (Specialità della casa), Cuscus alla Trapanese, Strozzapreti all’astice, Risotto alla pescatora, Noir di salmone al ragu’ di calamari, Plin al sugo d’arrosto, Agnolotti ai carciofi con pomodorino fresco, Gnocchi pecorino e radicchio, Fritto misto alla piemontese, Fritto misto di baccalà, calamari e carciofi …..solo per darvi un’ idea e mettervi sul gusto…

    E i dolci? Non c’è ombra di dubbio: lo zabajone caldo. Lo prepara lei, Francesca, lì, sul momento, al vostro tavolo. Uno spettacolo!

    Un consiglio, provatelo. Anche il prezzo è ok!

    OSTERIA CENA COI FIOCCHI, via SPANO 16 – TORINO –  tel. 011 318 7993 (possibilità di parcheggio gratuito)

    e dite che vi mando io!!!!!!!!!!!

    beppe gandolfo

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  • GIROVAGANDO: IL FORTE DI FENESTRELLE

    15 marzo 2024 • LUOGHI E LIBRI • 3426

    forte-fenestrelle-piemonte-633x400

    Il Forte di Fenestrelle è un complesso fortificato eretto in Val Chisone nella provincia di Torino. Per le sue dimensioni e il suo sviluppo lungo tutto il fianco sinistro della valle, la fortezza è anche detta la grande muraglia piemontese. E’ infatti visibile da ogni parte mentre si sale in automobile da Torino verso il Colle del Sestriere, e viceversa. Dal 1999 è diventata il simbolo della Provincia di Torino e nel 2007 è stata inserita nella lista dei 100 siti storico-archeologici di rilevanza mondiale più a rischio. 

    Progettata inizialmente dall’ ingegner Ignazio Bertola nel diciottesimo secolo  con funzione di protezione del confine franco-piemontese, la fortezza venne completata solamente nel secolo successivo e non fu mai coinvolta in assedi o assalti in forze degni di nota o rilievo; fu invece protagonista di alcune schermaglie minori e di un breve scontro nel corso della Seconda Guerra Mondiale.  Dopo un lungo periodo di abbandono, nel 1990 è iniziato un progetto di recupero, tuttora in corso, che l’ha riaperta al turismo, con circa 200mila visitatori l’ anno.

    Durante tutta la sua attività come struttura militare la fortezza venne usata, in alcuni momenti storici, come prigione: la fortezza, al naturale e sempre attivo ruolo di deterrente militare, aggiunse, quindi, quello di prigione per criminali comuni e prigione di stato. In alcuni limitati casi furono detenuti anche criminali comuni, che avevano commesso crimini nelle aree limitrofe o di competenza del governatore della fortezza. In casi eccezionali vi giunsero, per motivi vari, anche detenuti da altre aree geografiche. Essi condividevano gli stessi ambienti con i militari, ma erano trattati in modo diverso essendo soggetti alla giurisdizione civile e non militare.

    La costruzione è in realtà un insieme ininterrotto di strutture fortificate, per questo motivo il termine più corretto per definirla è “fortezza”. E’ formata da 3 forti e 7 ridotte, uniti ed indipendenti fra loro, collegati da spali, bastioni, scale e da ben 28 risalti, per una superficie complessiva di 1.350.000 metri quadrati La struttura si sviluppa per oltre 3 chilometri su un dislivello di circa 635 metri. La fortezza viene oggi ricordata anche per le sue due lunghe scalinate: la scala interna, detta “Scala Coperta” composta da circa 4.000 gradini, che permetteva di raggiungere tutti i forti che compongono la struttura senza dover mai uscire, e la scala esterna, detta “Scala Reale” composta da 2.500 gradini che veniva utilizzata dal re quando si recava in visita.

    Consigliate le visite guidate per comprendere meglio la complessità e le bellezze della struttura. Partenza alle ore 10.00 del mattino, e alle 15.00 del pomeriggio, per questo viaggio di tre ore all’interno del Forte di Fenestrelle.

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  • UNO SPRITZ? NO GRAZIE, MEGLIO UN VERMOUTH

    14 marzo 2024 • COSE NOSTRE • 1475

    vermut-OK

    Il Vermouth è nato in Piemonte. Quindi il Vermouth è Piemonte e Piemonte è Vermouth.

    La conferma è arrivata dal Primo Salone dedicato proprio a questa bevanda alcolica: la recente manifestazione, tenutasi nell’aulica sede del Museo del Risorgimento, ha fatto registrare numeri record. Migliaia di visitatori, decine di espositori, un’ infinità di assaggi e di cocktail.

    Poi, però, se andate in qualsiasi bar, all’ora dell’aperitivo… ecco che quasi tutti – specie i clienti più giovani – ordinano uno Spritz. Quindi Prosecco Veneto, Aperol o Campari.

    L’invito è caloroso: provate un Vermouth con ghiaccio, oppure un Vermouth e soda. Volete essere più sofisticati? Andate su un cocktail, più o meno alcolico, Hair Raiser, Burnsides, Stormy Weather, Manhattan, Bobby Burns, Negroni. Tutti hanno un ingrediente in comune, il Vermouth appunto.

    Antonio Benedetto Carpano, questo è il nome del distillatore che lo inventò nel 1786 nel laboratorio di piazza Castello a Torino: vino moscato, una miscela di circa cinquanta erbe e spezie e zucchero caramellato per dare quel colore ambrato e il nuovo liquore era pronto. Il giovane Carpano ebbe un’intuizione degna del miglior ufficio marketing: inviò alcune bottiglie del suo Vermouth a Palazzo Reale, il re Vittorio Amedeo II ne fu talmente entusiasta da far sospendere le forniture di Rosolio, che fino ad allora la faceva da padrone nei salotti cittadini: il Vermouth fece quindi un trionfale ingresso in tutti i Palazzi. Fu un successo. Il nuovo vino aromatizzato divenne l’aperitivo, il momento di sosta e di ristoro preferito dai Piemontesi.

     Dopo un periodo di declino, oggi è tornato prepotentemente di moda. E allora, proprio dal Piemonte deve partire la sfida allo Spritz.

    E io sarò il primo a dire: “Uno Spritz? No grazie. Meglio un Vermouth”.

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  • LA NICCHIA DI CAVOUR, TRIONFO DI SAPORI E VINI

    9 marzo 2024 • CINQUE SENSI • 4758

    freisa-vino-03

    Una carta dei vini così non l’ avevo mai vista, praticamente un libro di almeno una cinquantina di pagine. C’ è di tutto, perfino il Monfortino Magnum da 1500 euro.

    Franco Turaglio ha scoperto la ristorazione già da adulto, prima lavorava all’ Ufficio Tecnico Enel di Pinerolo. Poi nell’ 87 comincia ad avvicinarsi al mondo di Slow Food, cementa l’ amicizia con Carlin Petrini, e una ventina di anni fa apre LA NICCHIA, vineria e ristorante  nel centro di Cavour.

    Ai fornelli la moglie Giulia e il suocero Claudio, ma anche giovani chef come quel giapponese che – dopo aver lavorato a Cavour – è tornato nel paese del Sol Levante e a Nagoia ha aperto un suo ristorante chiamandolo “Pasta da Franco”. Insomma, l’ esperienza piemontese gli aveva lasciato il segno.

    Cavour è la cittadina di Tuttomele e anche la cucina della Nicchia è caratterizzata da questo splendido frutto. Dalla mela grigia ripiena di anatra agli gnocchi di castagne e zucca con crema di mele murela, dallo strudel vegetariano con mela magnana alle classiche, impareggiabili frittelle di antiche mele.

    Ma nel menù non mancano i piatti della tradizione piemontese, ovviamente rivisitati come il vitello stonato, il filetto di cervo, la gallina bianca di Saluzzo e tanti altri. Accompagnati ovviamente da vini per tutte le tasche, ma tutti personalmente scelti da Franco e garantiti.

    I prezzi? Veramente abbordabili. Un bel menù varia dai 30 ai 50 euro, poi ovviamente dipende da quello che scegliete nella favolosa cantina: assolutamente da visitare, anche se siete astemi.

    LA NICCHIA – via Roma 9 – Cavour (Torino) tel. 0121 600821

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  • SCAFFALE: PICCININO E IL SUO VERMOUTH DI TORINO

    8 marzo 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1626

    vermouth

    L’ edizione in inglese di questo volume è stata nominata fra i primi 10 libri al mondo sulla Cultura del Bere. Basterebbe, da solo, questo riconoscimento per dare un valore al lavoro di Fulvio Piccinino, torinese, docente di distillazione e produzione di liquori all’ Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

    Nell’ edizione originale, in italiano, Piccinino racconta la storia straordinaria del “Vermouth di Torino” , un vino liquoroso che ha origini antichissime ma che all’ ombra della Mole Antonelliana è diventato famoso nel mondo. Ricerche storiche approfondite, interviste ad esperti e appassionati per ricostruire l’ origine di questo vino medicinale che diventa dapprima un punto fermo nell’ abitudine dell’ aperitivo, poi il re mondiale dei cocktail (Americano, Negroni, Martini Dry hanno alla base, sempre, il Vermouth), ma anche un vino a tutto pasto e infine, anche, un ottimo amaro.

    Una magica alchimia a partire dal nome: Vermouth in tedesco significa assenzio, una delle tante piante aromatiche che caratterizzano la composizione di questa bevanda straordinaria.

    Nelle 150 pagine del libro non mancano gli aneddoti, le curiosità, la comunicazione pubblicitaria, i produttori storici e quelli moderni. Insomma, un lungo viaggio per scoprire tutti i segreti di uno dei più famosi vini aromatizzati del mondo.

    FULVIO PICCININO

    IL VERMOUTH DI TORINO

    GRAPHOT EDITORE

    15 euro

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  • TURISMO LENTO, POSSIAMO ESSERE I PRIMI

    7 marzo 2024 • COSE NOSTRE • 1205

    CAMMINATE

    L’Italia è la prima destinazione in cui Inglesi, Tedeschi e Francesi vorrebbero trascorrere una vacanza slow: lo ha rilevato una recente indagine presentata alla Borsa del Turismo.

    Il 60% degli italiani, interessati a una vacanza lenta, sceglierebbe di rimanere in patria (solo il 33% andrebbe in Spagna). Attribuiscono il primato al nostro Paese anche il 49% dei tedeschi (Austria come seconda scelta), il 51% dei francesi (che in alternativa scelgono di restare in Francia o di andare in Spagna).

    Parliamo di periodi di relax in cui ci si riappropria del tempo, delle giornate a misura d’uomo, non di corse continue per vedere questo o quel sito, per provare quel nuovo ristorante o per raggiungere un qualsiasi traguardo.

    I dati del Cammino di Oropa del 2023 confermano questa spinta e ci dicono anche qualcosa in più sui camminatori. Nel 2023 il Cammino di Oropa ha convalidato la crescita degli anni precedenti (in media + 1000 viandanti all’anno) si è confermato un cammino che piace molto alle donne e ai giovani. Ma non si tratta solo di camminanti o di amanti delle due ruote. La vacanza slow è un modo di vivere e non un limite di velocità.

    Partendo da questi pochi e scarni dati, credo che tutti siamo convinti che il nostro Piemonte avrebbe le carte in regola per essere vincente come offerta di turismo lento.

    Tutte le valli del Cuneese (nessuna esclusa), le colline di Langhe-Monferrato-Roero, le trattorie di campagna, i tanti musei senza code chilometriche delle nostre città, i sentieri che costellano la corona delle Alpi, i panorami e le acque placide dei laghi, il mare a quadretti delle risaie… Se volete continuiamo per pagine e pagine, sono mete meravigliose e senza eguali.

    L’ offerta – in termini di paesaggi e location – non manca. Dobbiamo convincerci l’un l’altro. Capire che quella della vacanza slow è un’ opportunità da non perdere assolutamente.

    Inutile perdersi in futili competizioni con Rimini, Riccione, Capri o con Roma, Firenze e Venezia.

    Raccontiamo al mondo intero quello che può offrire il Piemonte, perché è proprio quello che vanno cercando milioni e milioni di vacanzieri.

     

     

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  • Il Bonèt, dolce delle feste

    2 marzo 2024 • CINQUE SENSI • 14769

    Bunet

    Il Bonèt è uno dei dolci più noti della tradizione piemontese. Originario delle Langhe, è un budino a base di uova, zucchero, latte, amaretti secchi, rum (o caffè) e cacao. E’ il dolce delle feste, ottimo come coronamento di un pranzo importante, bello da vedere sulla tavola imbandita, è senza dubbio un dessert sostanzioso, goloso e richiede tempo e pazienza per la preparazione. Insomma, un dolce da concedersi di tanto in tanto per coccolarsi e coccolare gli ospiti.

    L’origine del suo nome è controversa e diverse sono le versioni. In piemontese il termine Bonèt indica un cappello o un berretto rotondo che ricorda la forma dello stampo in cui viene cotto il budino. Infatti, lo stampo in rame in cui si cuocevano flan e budini, veniva chiamato bonèt ed cusin-a cioè cappello da cucina, viene quindi naturale pensare che il dolce abbia preso il nome dallo stampo. Diversa è però l’interpretazione diffusa nelle Langhe: il budino è il cappello di tutto il pranzo. L’ultima golosa portata che chiude il banchetto, il cappello indossato prima d’uscire. Qualunque sia l’origine del suo curioso nome, una cosa è certa, questo delizioso budino viene preparato e cucinato con la stessa tecnica, diffusa in tutta Europa, dei dolci della famiglia delle crème caramel, quindi a bagnomaria e deve essere servito rigorosamente freddo.

    Nei tempi antichi il Bonèt era preparato con l’aggiunta del fernet perché aiutava la digestione. L’introduzione del rum e del cioccolato avvenne solo quando i prodotti provenienti dalle colonie sudamericane, iniziarono a diventare comuni nelle ricche cucine. Esistono tutt’ora diverse varianti, col caffè, col cognac e alcuni, invece degli amaretti, usano tritare le nocciole della qualità Tonda e gentile delle Langhe.

    Il Bonèt può essere abbinato con lo spumante rosato dell’Alta Langa servito fresco o del Chiaretto del Monferrato.  

    INGREDIENTI

    Amaretti 100 gr. più qualcuno per la decorazione, Cacao amaro in polvere 50 gr. Uova medie 10 tuorli, Rum ½ bicchiere, Latte fresco 700 ml. Zucchero 150 gr. Per il caramello: Zucchero 100 gr.

    PREPARAZIONE

    Per prima cosa riscaldare il forno a 180° in modalità statica. Tritate finemente gli amaretti (ricordandovi di lasciarne da parte qualcuno per la decorazione) fino ad ottenere una polvere sottile come la farina. Alla polvere di amaretto unite il cacao setacciato e senza grumi e tenete da parte. Preparate il caramello facendo sciogliere i 100 gr. di zucchero in un pentolino a fuoco basso e senza mai mescolarlo. In un’ampia terrina montate a crema lo zucchero con i tuorli, quando i tuorli sono ben montati unitevi il rum, la miscela di amaretti e cacao e il latte a temperatura ambiente. Non preoccupatevi se la consistenza finale sarà piuttosto liquida. Versate il caramello nello stampo da plumcake o nello stampo da budino e fatelo ben aderire a tutta la superficie. Attenzione a non scottarvi!

    Versate quindi, poco alla volta, il composto per il Bonèt aiutandovi con un mestolo. Inserite lo stampo che avrete deciso di utilizzare in uno più grande per il bagnomaria, riempite quindi l’intercapedine tra i due stampi con acqua bollente fino a 2/3 dall’orlo e fate molta attenzione a non far andare acqua nel composto del Bonèt. Fate cuocere nel forno preriscaldato a 180° per circa 40/45 minuti; il Bonèt sarà cotto quando inizierà a staccarsi dalle pareti dello stampo. Togliete quindi il vostro budino dal forno e togliete anche il contenitore del bagnomaria, lasciate quindi raffreddare a temperatura ambiente.

    Quando il Bonèt sarà freddo, mettetelo almeno un’ora in frigorifero, dopodiché immergete lo stampo velocemente in acqua bollente per agevolare l’estrazione del dolce. Per staccare le pareti, potrete aiutarvi con la punta del coltello, ma fate molta attenzione: è un’operazione delicata! Ora sformatelo capovolgendolo sul piatto di portata e decorate con gli amaretti che avete tenuto da parte.

    Qualche consiglio: l’acqua del bagnomaria non deve mai bollire, il Bonèt rischierebbe di diventare troppo sodo e pieno di bolle, anziché liscio e morbido. In alternativa al rum è possibile usare la stessa dose di caffè non zuccherato e ovviamente freddo. Per chi è intollerante al lattosio, è possibile sostituire il latte vaccino con quello di soya.

    Patrizia Durante

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  • GIROVAGANDO: IL CASTELLO DI MIRADOLO

    1 marzo 2024 • LUOGHI E LIBRI • 1954

    MIRADOLO

    II progetto originario del Castello di Miradolo risale all’ ultimo quarto del Settecento.

    Ma il maniero, con relativo parco,  che si trova alle porte di Pinerolo, all’imbocco della Val Chisone, a 40 km circa da Torino,  assume l’ attuale aspetto solo  nella prima metà dell’Ottocento grazie a Maria Elisabetta Ferrero della Marmora, sposa Massel, la quale fa ultimare la costruzione del Palazzo di Miradolo, inserire la Serra neogotica e la Torre rotonda; grazie a lei il giardino all’italiana viene convertito nel parco paesaggistico di oltre 6 ettari che si conserva ancora oggi.  Tra gli eredi Massel troviamo Luigi Emanuele Cacherano di Bricherasio, morto tragicamente nel 1904, che fu tra i soci fondatori della FIAT, prima grande azienda automobilistica italiana. Nel 1950 gli eredi Massel-Cacherano lasciano il Castello di Miradolo ad una congregazione religiosa che trasforma la dimora in casa per esercizi spirituali. Nel 2007 l’intero complesso è acquistato da un gruppo di privati e dato in comodato d’uso alla Fondazione Cosso che lo riapre nel 2008.

    La Fondazione dà vita a un imponente programma di restauri che permette la riapertura al pubblico di tutte le sale e del parco. Dal 2014 il Castello è tra le residenze aderenti all’ADSI, “Associazione dimore storiche Italiane”. Obiettivo della Fondazione Cosso è confermare il Castello di Miradolo come polo culturale, punto di riferimento per gli abitanti del luogo e per i visitatori, così da rievocare quel cenacolo culturale che tra Ottocento e Novecento la Contessa Sofia di Bricherasio, antica proprietaria della storica dimora, aveva saputo creare intorno a sé.

    Un parco di oltre 6 ettari circonda la dimora: organizzato intorno a un’imponente radura centrale, è uno splendido esempio di giardino all’inglese in cui le linee sinuose dei contorni, le macchie arboree caratterizzate da una notevole varietà di tessiture, colori e forme, la presenza di un antico sistema di canali, sono segni inconfutabili dello stile romantico. Il parco accoglie alberi maestosi e centenari, tra cui 5 esemplari monumentali, e specie esotiche. Un bosco di bambù giganti incanta per il suo fascino.
    La camelia è uno dei fiori rappresentativi del parco e a Miradolo si conservano ancora oggi camelie introdotte nell’Ottocento cui, nel 2019, si sono aggiunti oltre 130 giovani esemplari . Un orto di oltre 500 mq è rinato nel 2021 e ha forma circolare: armonioso, chiuso, protetto. Affaccia sulla corte rustica e ne completa l’originaria vocazione agricola insieme alla cascina con stalla, fienile, forno, pollaio e lavatoio.

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