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  • SCAFFALE: “LONTANO DA CASA” DI PANDIANI

    7 maggio 2021 • LUOGHI E LIBRI • 2893

    Lontano da casa

    Benvenuti a Torino, anzi benvenuti in Barriera di Milano, teatro e protagonista di “Lontano da casa”, ultima opera letteraria di Enrico Pandiani, edito da Salani.

    La Barriera di Milano è uno dei quartieri più popolati e popolari quartieri della nostra città. Da sempre approdo per i flussi migratori che hanno reso vivace e diversa la storia di Torino, racchiude in sé un’infinita ricchezza culturale fatta di tradizioni e contaminazioni e un altrettanto e ugualmente infinita raccolta di problematiche legate ai difficili percorsi di integrazione.

    Proprio qui, proprio in questo quartiere che è prima casa, per chi è effettivamente lontano da casa, Pandiani decide di ambientare una tagliente, cruda, ma avvincente quanto entusiasmante storia.

    Due donne ne sono il motore: Jasmina Nazeri, ragazza di origine iraniana, che vive in Barriera e, insegnando italiano agli immigrati, ha una profonda conoscenza di luoghi e persone e Pandora Magrelli, ispettore, spedita lì con provvedimento disciplinare, in cerca di riscatto per tornare a occupare il suo posto in centro città.

    L’omicidio di un giovane di colore è la partenza di un viaggio che si snoderà tra rifugi di fortuna, centri d’accoglienza e ville in collina, fra traffici illegali e sparatorie. Un viaggio, ricco di colpi di scena, in una città caratterizzata da stridenti contraddizioni: da sempre incapace di accogliere, ma in grado di avere slancio e attenzione per i più deboli. Le due facce di Torino, come Jasmina e Pandora, la prima ha improntato la sua vita e le sue scelte sull’aiuto agli ultimi, la seconda è un condensato di insofferenza, scorrettezza, pregiudizio e intolleranza. Hanno in comune un’unica caratteristica, la fragilità.

    Enrico Pandiani ha fatto centro, ancora una volta. Ci siamo oramai abituati alla sua scrittura pulita, lineare e mai banale e non ci aspettiamo niente di meno. Quello a cui personalmente non riesco a fare abitudine è la straordinaria capacità di indagare l’animo umano. Ma non solo, mette a frutto nella scrittura il mestiere di disegnatore, i suoi personaggi non sono mai solo tratteggiati o sfumati, anche chi appare solo per poche pagine, ha caratteristiche precise, che lo rendono vivo, come averlo davanti agli occhi.

    Lontano da casa è un libro che si legge in una manciata d’ore, secco e asciutto come un colpo di frusta, e come tale, lascia il segno.

    Patrizia Durante

    LONTANO DA CASA

    Enrico Pandiani

    Salani Editore

    € 16,80

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  • ADESSO TOCCA A NOI

    6 maggio 2021 • COSE NOSTRE • 2540

    mascherine

    L’altra sera in una piazzetta di Torino, lungo il fiume Dora, mi sono fermato a guardare, allibito. C’era un assembramento di giovani che facevano aperitivo, tutti vicini e tutti senza mascherina. Adesso siamo alla riapertura di locali, bar, ristoranti, palestre, centri sportivi, socialità all’ aperto… Mi domando: siamo pronti? A giudicare dalle immagini della festa scudetto dell’ Inter, direi di no.

    Il rischio Sardegna è dietro l’angolo. L’isola era diventata regione bianca e nel giro di due settimane è tornata ad essere rossa. Sembra proprio che non siamo capaci a valutare il pericolo. Ma soprattutto non siamo capaci a convivere col virus, e questo lo dobbiamo assolutamente imparare.

    Appena aprono i cancelli eccoci tutti pronti a scappare dai recinti, come bestie imbizzarrite.

    La voglia di evasione, di viaggi, di turismo è tanta, ma è proprio questo il momento della ragionevolezza, dell’attenzione, del non abbassare la guardia. Certo, ci vorranno interventi adeguati nei trasporti (non si è fatto nulla, mi pare), nell’approntare locali pubblici e aule scolastiche con tutti i crismi del distanziamento. Ma il lavoro più importante, lo sforzo maggiore lo deve fare ognuno di noi.

    Mascherine, gel, distanziamento, prudenza… lo ripetiamo da un anno e mezzo. Poi ci saranno i vaccini, certo. Ma senza la collaborazione personale, tutto sarà vano. Non voglio ripartire in autunno con i macabri bollettini di contagi, vittime, ricoveri in terapia intensiva. Aiutiamoci l’uno con l’altro. Noi possiamo ricominciare a circolare ma – ricordiamolo sempre – anche il virus continua a circolare.

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  • RIAPRONO GLI STADI, TUTTO TORNATO NORMALE?

    29 aprile 2021 • COSE NOSTRE • 2938

    pallonecovid

    Amo il calcio, ogni week end oltre alla partita del mio Toro, guardo almeno un paio di altre gare. E lo ammetto: non mi piace seguire il calcio in TV e con gli stadi vuoti.

    Detto questo, quando è stato annunciato che con gli Europei tornerà il pubblico sugli spalti, mi è venuto un brivido. È vero che sarà solo al 25 per cento della capienza, ma siete convinti che i tifosi – in caso di gol – non si abbracceranno per esultare? Figuratevi. Sicuro che sì.

    E l’avvicinamento allo stadio? I trasporti, i parcheggi? Sono certo che ci saranno assembramenti. Ma che importa. Panem et circenses. Solo che qui manca il pane.

    L’Italia e una repubblica fondata sul calcio. Ci sono difficoltà nel riaprire i bar e i ristoranti, chiuse per un anno palestre e piscine. Niente educazione fisica per i nostri ragazzi, ma tutti allo stadio.

    Anche i soloni del Comitato Tecnico Scientifico hanno dato il via libera, nonostante in questi mesi praticamente in ogni squadra, si sia verificato un focolaio di Covid.

    Ma attenzione: “The show must go on” riguarda solo i grandi campioni. Il calcio giovanile, i campionati minori, le partitelle fra amici quelle no.

    Quelle sono pericolose.

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  • SCAFFALE: IL GIOCO DELLE ULTIME VOLTE DELLA OGGERO

    23 aprile 2021 • LUOGHI E LIBRI • 2616

    Il gioco delle ultime volte2

    Margherita Oggero si diverte a scompigliare e scandagliare le vite dei suoi personaggi. Lo fa con grande maestria nel suo recente libro “Il gioco delle ultime volte”, edito da Einaudi.

    Un battibecco tra coniugi apre il romanzo, due pagine di gesti consumati e battute secche, che rendono l’idea del rapporto sfilacciato esistente tra Teresa e Nicola. Poi, la presenza di lui, medico in pronto soccorso e l’arrivo di una giovanissima ragazza vittima, all’apparenza inconsapevole, di un investimento da parte di un tram. L’angoscia per la sorte della ragazza, seguirà Nicola anche durante il fine settimana, programmato con un gruppo di amici a Chamois.

    La prospettiva è piacevole: ambiente amichevole, panorami meravigliosi e passeggiate nella quiete assoluta della natura. La realtà sarà diversa, tra ospiti imprevisti, piccoli incidenti e contrattempi di vario genere, i programmi subiscono variazioni. La proposta del gioco “Delle ultime volte” stravolgerà, poi, la vita e la storia del gruppo, composto da quattro uomini e quattro donne.

    Quando è stata l’ultima volta che abbiamo fatto o visto qualcosa senza sapere che sarebbe stata l’ultima? La domanda è semplice, e apparentemente banale, ma sollecita ricordi che riaffiorano con prepotenza, rivelando segreti nascosti e stati di sofferenza soffocata e inespressa.

    Le maschere cadono e si spezzano facendo rumore.

    Margherita Oggero tesse una trama fatta di sentimenti che diventano storie personali in cui tutti si possono riconoscere, un gioco che diventa scusa per raccontare emozioni condivisibili. La sua scrittura indagatrice, così moderna ed efficace, tocca l’animo del lettore e induce alla riflessione. Le storie dei protagonisti sono composte da segreti, bugie, rivelazioni, delusioni, sensi di colpa e perfino gioie. Alla fine del week end ciascuno ritornerà alla quotidianità, ma niente sarà come prima.

    Con l’ultima pagina sorge spontanea la domanda, chissà cosa succederebbe se venissi sottoposto, e coinvolgessi le persone a me vicine, in questo gioco? Quanto di nascosto, inespresso e sotterraneo è diventato parte integrante della nostra vita, e della nostra immagine?

    Patrizia Durante

    IL GIOCO DELLE ULTIME VOLTE

    Margherita Oggero

    Einaudi Edizioni

    € 18.00

     

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  • SE BRUCIASSE LA CITTA’

    22 aprile 2021 • COSE NOSTRE • 2598

    PROTESTE

    La frase «Se non hanno più pane, mangino brioche» è tradizionalmente attribuita a Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, che l’avrebbe detta in riferimento al popolo affamato, durante una rivolta dovuta alla mancanza di pane. Forse quella frase Maria Antonietta non l’ha mai pronunciata, poco importa… mi è però tornata in mente assistendo alle sempre più numerose scene di protesta – quasi di rivolta – in varie città italiane, per il prolungato blocco di alcune attività produttive e commerciali.

    Premesso che sono contrario a qualsiasi forma di violenza, anche verbale, non si può non vedere (e tenere in dovuto conto) come nel nostro Paese stia crescendo sempre più una rabbia vera, motivata, e che gli scontri di piazza siano un campanello d’allarme.

    Ho intervistato un barista a Torino che si è incatenato al suo dehors perché’ in 14 mesi di lockdown ha ricevuto circa 6 mila euro di ristori (pari a circa 400 euro al mese) e nelle settimane scorse gli è stata pure notificata l’ingiunzione di sfratto perché non è riuscito a pagare 2 mensilità di affitto: adesso rischia di dover abbandonare il suo locale, dopo essersi indebitato nel 2019 per 80 mila euro per ristrutturarlo. Una situazione limite? No, è purtroppo simile a migliaia di altre, in Piemonte e in Italia.

    Per mia fortuna non sono al governo, e so di non averne le capacità. Ma mi permetto un piccolo suggerimento: perché non sospendere gli affitti per un anno, oppure perché – anziché pensare a ristori, o sostegni, o come volete chiamarli – lo stato, le regioni, i comuni non intervengono direttamente per pagare i canoni di locazione? Questo sì che sarebbe un aiuto concreto, immediato.

    Mi auguro di sbagliare ma ho la sensazione che si stia logorando lo stato sociale e che pochi se ne stiano accorgendo. Meglio pensarci in tempo e correre ai ripari, prima che brucino le città.

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  • UN PIEMONTE SENZA BAMBINI?

    15 aprile 2021 • COSE NOSTRE • 2800

    NEONATI

    Nell’anno passato in Piemonte sono nati poco più di 27mila bambini. Si tratta di un record negativo rispetto al passato: negli anni Cinquanta le nascite sfioravano le 40mila unità e durante il baby boom degli anni Sessanta avevano raggiunto le 65mila unità. Le province di Cuneo, Novara e Torino, quelle con il più alto indice di natalità mentre Asti, Biella e Alessandria, quelle con il più basso.

    Culle vuote: colpa del Covid. Sarebbe troppo facile adottare questa equazione. La realtà è che questo trend di decrescita pare ormai irreversibile e prosegue da una decina di anni. Una delle principali cause del forte calo di nascite sta nella diminuzione delle donne in età fertile, all’ incirca quelle fra i 15-49anni: nel 2019 erano quasi 832mila, il 14 per cento in meno delle 971.800 donne nel 2010. In dieci anni, in Piemonte, è diminuito di circa 140mila soggetti, il numero complessivo di persone di sesso femminile. Quindi meno possibili mamme, meno neonati. E’ ovvio.

    Fin qui i dati, le statistiche. Ma non possiamo fermarci ai freddi numeri. Qui è in gioco il nostro futuro. Egoisticamente mi verrebbe da dire: chi verserà i contributi per pagare le nostre pensioni?

    Ma uscendo dal proprio orticello, è indubbio che non si può non fare i conti con la crisi economica che ha avuto e ha un forte impatto sull’incertezza nel futuro: i nostri giovani restano per più anni in casa con papà e mamma, quindi viene sempre più spostata in avanti l’età per la scelta di avere il primo figlio. Non si può nemmeno non tener conto del fatto che il mondo del lavoro è ancora molto maschilista. Per una donna è molto più difficile conciliare la maternità con la professione rispetto ad un uomo, mancano strutture e supporti.

    Ci salveranno gli immigrati? Nel Terzo e Quarto Mondo, al contrario che qui da noi, si fanno sempre più figli, e per non morire di fame saranno costretti a emigrare.

    Chi oggi grida ai quattro venti: “Prima gli Italiani” – a mio umile giudizio – dovrebbe confrontarsi con questi freddi numeri.

     

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  • SCAFFALE: NATO PER NON CORRERE DI ANZALDI

    9 aprile 2021 • LUOGHI E LIBRI • 2547

    Nato per non correre

    Un libro per chi ancora crede nel motto “volere è potere”.

    Salvo Anzaldi è un giornalista, tifoso interista e amante di Bruce Springsteen. Salvo è emofilico: qualsiasi urto, ogni piccola caduta, una botta e le articolazioni hanno versamenti sanguigni, si gonfiano, le cartilagini si frantumano e il dolore aumenta. Un’infanzia terribile, la scoperta ritardata della malattia, corse continue ai pronto soccorso. La passione per il gioco del pallone che si trasforma sempre in un trauma. Interventi chirurgici, protesi in titanio, lunghe degenze, pesanti percorsi di riabilitazioni.

    Il 1 novembre 2015 Salvo, però, è uno dei 5 ragazzi emofilici che corrono la Maratona di New York, un’impresa mai riuscita prima d’ora. Sei ore, 0 minuti e 17 secondi, una media di 8 chilometri all’ora. E’ il tempo di  Anzaldi. “Sofferente e forse piangente, sulla finish line ritrovo il mio solito aplomb – scrive in questo bel libro biografico – la foto ufficiale al traguardo mi sorprende con il pugno sinistro alzato e un sorriso sobrio”.

    Un volume da leggere tutto d’un fiato come Salvo ha corso i 42 chilometri a New York. La malattia, la vita e il trionfo di questo giovane giornalista sono punteggiate dalle cronache (soprattutto calcistiche e musicali) degli anni ’70-80-90 e 2000. E’ la storia di tutti noi narrata da uno che ha sofferto molto, un bambino a cui avevano raccomandato di “non correre”, ma che alla fine ha corso la maratona più famosa del mondo.

    “NATO PER NON CORRERE”

    Salvo Anzaldi

    CasaSirio Sciamani editore – 16 euro

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  • UN VACCINO SENZA PRIVILEGI NE’ PRIVILEGIATI

    8 aprile 2021 • COSE NOSTRE • 2512

    VACCINI

    Viviamo in un paese dove chi ha le conoscenze giuste per saltare una fila è considerato un furbo. E chi trova il modo per evitare una coda? Un ganzo. E lo dimostrano anche le attuali, quotidiane vicende legate alla somministrazione dei vaccini.

    Ogni categoria ha vantato il diritto di privilegio: dai giornalisti (e c’è chi se lo è fatto inoculare di straforo) ai politici, dai giudici agli avvocati, dagli insegnanti (con la stragrande maggioranza attualmente in DAD), ai dipendenti pubblici… e potremmo continuare con mille altri esempi. Ogni categoria ha accampato valide motivazioni per poter essere sottoposta a vaccinazione, prima di altri.

    Soltanto le cassiere dei supermercati (che invece ne avrebbero ben donde) non si sono fatte sentire, ma forse perché non hanno un’associazione di categoria che le tuteli. La regola del “lei non sa chi sono io…” non ha perso questa occasione per mettersi in cattiva luce.

    Io non voglio passare davanti a nessuno. Non ritengo di appartenere a una categoria a rischio. Come cronista incontro persone ogni giorno, ma prendo i miei opportuni accorgimenti per proteggermi dal contagio.

    Aspetto che tocchi agli ultrasessantenni, e quindi a me. Deve essere questa l’unica regola, l’età.

    Dopo i medici e gli infermieri, i malati e le fasce deboli si deve continuare in base all’età. Altrimenti si fanno favoritismi e quindi ingiustizie.

    Però, al di là dell’ordine di chiamata, occorre affidarsi e fidarsi della scienza e vaccinarsi. Anzi è indispensabile.

    L’altro giorno il papà di una ragazzina con disabilità, si è rivolto così ad un giovane che non voleva vaccinarsi: “Ti prego, fallo. Se non per te, almeno vaccinati per salvaguardare mia figlia che non può essere vaccinata, è debole e facilmente contagiabile”. Il vaccino non serve soltanto per noi stessi ma per proteggere chi ci sta attorno.

    Senza passare davanti a nessuno ma con la ferma volontà di uscire da questo incubo.

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  • CENTOMILA EURO DI DEBITO, MA C’È CHI INVESTE

    1 aprile 2021 • COSE NOSTRE • 2319

    EURO

    La scorsa settimana abbiamo parlato di 100 mila vittime in un anno. Per uno strano gioco della cabala, secondo i dati di Bankitalia, in questo anno di pandemia, la crisi economica ha fatto sì che ogni famiglia italiana abbia contratto un debito di 100 mila euro. Incredibile. Lo stesso numero.

    Il calcolo è desunto dallo squilibrio dei nostri conti pubblici e, come sempre accade con la statistica, siamo al pollo di Trilussa. Se ogni italiano mangia un pollo, magari c’è chi ne ha mangiati due, e chi niente.

    Anche in questo caso ci sono categorie che senz’altro hanno perso di più di altre dall’esplosione del Covid, e chi invece, magari, si è pure arricchito. Sta di fatto che l’economia mondiale ha subito una batosta incredibile e l’Italia è in prima fila nella triste classifica del debito pubblico: 2603 miliardi di euro di deficit per il nostro Paese, 43.646 euro per ogni italiano (neonati compresi) e appunto 100mila euro a famiglia. Serve un piano Marshall come dopo la Seconda Guerra Mondiale.

    Ma intanto c’è chi ha deciso di investire e di puntare sul futuro. L’azienda Inalpi di Moretta, a cavallo fra le province di Torino e Cuneo, ha varato un piano di investimenti 2021-2025 di quasi 150 milioni di euro per la costruzione della seconda torre di spravatura del latte e per la realizzazione di un moderno caseificio. Investimenti che avranno certamente anche ricadute occupazionali e su tutto l’indotto.

    La speranza che altre aziende seguano questo esempio. Perché, per chi può, questo è il momento di investire sul futuro e non solo di piangersi addosso

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  • SCAFFALE: IL TEMPO DI VIVERE CON TE DI CULICCHIA

    26 marzo 2021 • LUOGHI E LIBRI • 2589

    Il tempo di vivere con te

    Giuseppe Culicchia ha impiegato 40 anni a scrivere questo libro. Difficoltà nella scrittura? Ricerche storiche importanti? Niente di tutto questo. La ragione è interiore, diremmo intima.

    “Il tempo di vivere con te” è incentrato sulla figura di Walter Alasia al cui nome è legata la colonna milanese delle Brigate Rosse. Ma Walter è cugino primo di Culicchia (Beppe come è chiamato nel libro), figlio della sorella della mamma. Di dieci anni più vecchio dell’ autore, Alasia è sempre stato il mito, il punto di riferimento, l’ amico più vecchio, il fratello maggiore. Lui vive a Sesto San Giovanni, nel Milanese, il giovane Culicchia a Grosso Canavese, ma l’ estate la trascorrevano sempre insieme, giocando, esplorando, scoprendo il mondo, allenandosi a basket o per le Olimpiadi.

    E così quando nella notte fra il 14 e il 15 dicembre 1976 in un blitz vengono ammazzati due poliziotti e viene ucciso Walter Alasia, 20 anni, l’ undicenne Beppe Culicchia perde tutto, un affetto immenso, le certezze della sua infanzia, il punto di riferimento della sua crescita. Ad un ragazzino del tutto inconsapevole del percorso terroristico del cugino viene sbattuta in faccia la terribile realtà della morte violenta e della perdita degli affetti. Ma anche la verità su quel cugino che parteggiava sempre per gli indiani contro il generale Custer e che adesso aveva intrapreso una strada diversa, quella dell’ eversione armata.

    Per questo ci sono voluti 40 anni per prendere le distanze e raccontare questa storia di amicizia, di fratellanza, di crescita che si interrompe d’ improvviso e finisce  tragicamente nel sangue.

    Non c’ è compassione nè retorica, non si cerchino nuove verità su quei terribili anni. Il volume è un viaggio nei ricordi di un bambino con un unico obiettivo. “Questo è solo il tempo di vivere con te. Ancora per un poco”: parole commosse di Culicchia rivolte all’ amatissimo cugino

    GIUSEPPE CULICCHIA

    IL TEMPO DI VIVERE CON TE

    MONDADORI

    17 euro

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