Viviamo in un paese dove chi ha le conoscenze giuste per saltare una fila è considerato un furbo. E chi trova il modo per evitare una coda? Un ganzo. E lo dimostrano anche le attuali, quotidiane vicende legate alla somministrazione dei vaccini.
Ogni categoria ha vantato il diritto di privilegio: dai giornalisti (e c’è chi se lo è fatto inoculare di straforo) ai politici, dai giudici agli avvocati, dagli insegnanti (con la stragrande maggioranza attualmente in DAD), ai dipendenti pubblici… e potremmo continuare con mille altri esempi. Ogni categoria ha accampato valide motivazioni per poter essere sottoposta a vaccinazione, prima di altri.
Soltanto le cassiere dei supermercati (che invece ne avrebbero ben donde) non si sono fatte sentire, ma forse perché non hanno un’associazione di categoria che le tuteli. La regola del “lei non sa chi sono io…” non ha perso questa occasione per mettersi in cattiva luce.
Io non voglio passare davanti a nessuno. Non ritengo di appartenere a una categoria a rischio. Come cronista incontro persone ogni giorno, ma prendo i miei opportuni accorgimenti per proteggermi dal contagio.
Aspetto che tocchi agli ultrasessantenni, e quindi a me. Deve essere questa l’unica regola, l’età.
Dopo i medici e gli infermieri, i malati e le fasce deboli si deve continuare in base all’età. Altrimenti si fanno favoritismi e quindi ingiustizie.
Però, al di là dell’ordine di chiamata, occorre affidarsi e fidarsi della scienza e vaccinarsi. Anzi è indispensabile.
L’altro giorno il papà di una ragazzina con disabilità, si è rivolto così ad un giovane che non voleva vaccinarsi: “Ti prego, fallo. Se non per te, almeno vaccinati per salvaguardare mia figlia che non può essere vaccinata, è debole e facilmente contagiabile”. Il vaccino non serve soltanto per noi stessi ma per proteggere chi ci sta attorno.
Senza passare davanti a nessuno ma con la ferma volontà di uscire da questo incubo.
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