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  • Bamboccioni siete voi

    17 febbraio 2014 • Archivio • 7911

    Il primo fu l’ allora ministro Padoa Schioppa che invitò a “mandare i bamboccioni fuori di casa”. Poi toccò all’ ex ministro Elsa Fornero: “Non bisogna mai essere troppo choosy (schizzinosi), meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale”. E infine John Elkann, presidente della Fiat: “Molti giovani non trovano lavoro perché stanno troppo bene a casa”.  Sono solo alcuni esempi….

    Ma dove vive questa gente? Ma sanno di cosa parlano? Ma hanno mai provato a cercare un lavoro?

    Non mi riferisco a Padoa Schioppa che purtroppo non c’ è più. Non vorrei nemmeno entrare in polemica con la professoressa Fornero,  però le ricordo che è facile parlare se la figlia ha ben due impieghi…Vorrei anche rammentare a John Elkann che se lui porta la Fiat (o FCA come diavolo si chiama..) all’ estero, i giovani saranno costretti davvero a stare a casa.

    Inviterei lor signori a girare un po’ per le città, per i centri “primo impiego”, a leggere le centinaia di domande di aiuto che che tanti ragazzi o i loro genitori mi spediscono anche a me nella vana speranza che io possa fare qualcosa . Vi garantisco che quasi tutti i giovani hanno voglia di lavorare e se ne andrebbero volentieri di casa il prima possibile, se solo potessero…

    Walter l’ anno scorso ha preso la laurea in Economia con 110 e lode: era sicuro di trovare lavoro subito, ma finora ha ricevuto solo banali proposte di andare porta a porta a vendere contratti per il gas..Mi dice: “Cosa mi è servito farmi il culo per 25 anni per prendere la laurea con il massimo dei voti?” Non so dargli una risposta.

    La cosa che più mi preoccupa, però, è la sempre più grande distanza che c’ è tra la vita reale e quella della politica e dell’ economia. Davvero chi ci comanda – a qualsiasi livello – non sa minimamente come vive la gente, ogni giorno. Le preoccupazioni, i sogni, le illusioni, le gioie e le speranze di chiunque ogni mattina prende l’ autobus e spera che domani sia un giorno migliore.

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  • Rivoglio il calciobalilla

    5 febbraio 2014 • Archivio • 9946

    L’ altro giorno  sono entrato in un bar di primo mattino. Il solito caffè, poi mi giro e vedono cinque persone, tra cui due donne e un ventenne, che alle 7.30 erano attaccate alle slot machine. Mi è presa l’ angoscia.

    Allora mi sono informato e ho scoperto che l’ anno scorso in Piemonte si sono giocati 5 miliardi di euro, 400 milioni nella sola  Torino. Nella nostra città sono 1600 i locali che hanno slot machine o video lottery terminal, il 93 per cento si trova a meno di 500 metri dalle scuole. La concentrazione massima di questi locali è nel quartiere Aurora, mediamente il più povero di Torino. Un bambino torinese su 4 ha giocato almeno una volta, mentre i più assidui  sono gli anziani.  In Italia sono 800 mila le persone dipendenti dal gioco e il nostro mercato è il mercato più fiorente in Europa, il quarto al mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Macao. Tristi primati.

    Lo so, si gioca per cercare la fortuna che ti cambia la vita, ma si perde, quasi sempre si perde. Gli interessi in gioco sono tantissimi e miliardari, quelli della criminalità ma anche quelli dello Stato che gode e specula sui nostri vizi e sulle nostre debolezze . Un tempo si giocava per passione, nessuno finiva in rovina. Ora invece è una malattia. “Ho rinunciato alle macchinette e a fior di incassi, ma non mi andava di vedere la gente rovinarsi così” mi hanno detto Stefano e Patrizia che hanno appena rilevato un bar a Grugliasco.

    Ci avete mai fatto caso? Vicino ai bar che hanno le slot machine, ci sono negozi compro-oro. Una pura coincidenza?

    Vi chiedo di unirvi alla mia battaglia ideale: rivoglio nei bar i calciobalillla, i flipper e i ping-pong. D’ ora in poi non entrerò più nei locali che hanno le macchinette mangiasoldi.

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  • Torino capitale. Di cosa?

    30 gennaio 2014 • Archivio • 15645

    “Oh, i presagi tristi per l’avvenire di Torino che si facevano al tempo del trasporto della capitale! E li facevano i Torinesi stessi, che per un momento perdettero la fiducia in sé medesimi”. Così Olindo Guerrini, scrittore nel 1864, quando la capitale fu spostata da Torino a Firenze.

    “Da torinese sono fiero di questa Fiat mondiale”. Così Piero Fassino, sindaco di Torino, alla notizia del trasferimento della sede legale e fiscale della Fiat a Amsterdam e Londra.

    Nei giornali enigmistici il gioco sarebbe “quale delle due risposte è sbagliata?”.

    Forse nessuna delle due. Ma qualcosa mi suona stonato in questo trionfalismo che circonda la morte di Fabbrica Italiana Automobili Torino, perchè di fine si tratta. Magari per un futuro più grande e importante, ma quel capitolo nato 115 anni fa a Palazzo Bricherasio di Torino per volontà di 9 industriali e nobili piemontesi, è chiuso, per sempre. Torino da poco più di 30 anni aveva perso il titolo di capitale d’ Italia, ma l’ iniziativa di quei pionieri la fece diventare, nel volgere di pochi anni, “capitale dell’ automobile”. Oggi Torino è capitale di cosa?

    Non è la solita lagna subalpina del “qui sono nate tante cose che poi ci hanno portato via”. Non vivo con i paraocchi e capisco le scelte di Marchionne e degli eredi degli Agnelli. Faccio un pochino più fatica a capire il codazzo dei lecchini che, in questi giorni e in passato, hanno steso tappeti rossi a qualsiasi decisione del Lingotto.  Un solo esempio. Vogliamo ricordare i 70 miliardi stanziati una decina di anni fa da Comune, Regione e Provincia per il rilancio di Mirafiori? Oggi Mirafiori è il deserto dei tartari.

    Nel giorno storico del 29 gennaio 2014, fra un collegamento tv e l’ altro, bevendo una birra all’ 8 Gallery ripensavo alle migliaia di operai che si sono spaccati la schiena proprio lì dove c’ erano le presse e adesso invece ci sono  lustrini, negozi e paillettes. Lo so i tempi cambiano, siamo nella globalizzazione e auguro grandi cose alla FCA (tra l’ altro, che brutto acronimo) ma per adesso non riesco a fare salti di gioia.

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  • Non voglio le quote rosa

    23 gennaio 2014 • Archivio • 10002

    So di avventurarmi in un terreno minato e periglioso, ma con l’ aiuto di tutti (e soprattutto di tutte, che siete tante) riusciremo a ragionare in modo pacato e magari anche intelligente, mah..chissà…

    Premetto che il tema non è la riforma elettorale, né chi la propugna né chi la osteggia, quindi evitate i vari commenti politici a favore di uno e contro quell’ altro. Voglio ragionare con voi soltanto su un aspetto delle varie proposte che leggo sui giornali. Tutti concordano sulla necessità che almeno il 50 per cento dei candidati siano donne. Tutti sono d’ accordo..io no! Non perché penso sia troppo alto il limite del 50 per cento, anzi sono convinto che potrebbero essere il 60-70 e perché no.. anche l’ 80 per cento.

    Ma non mi piacciono le quote rosa, in nessun settore. Mi sanno di riserva indiana, di specie da proteggere. Se un candidato è valido, è onesto, ha idee, rappresenta valori, è disponibile all’ impegno va messo in lista, a prescindere dal sesso. Altrimenti fuori.

    Leggo già le obiezioni: “Ma se non mettiamo un obbligo, allora non ci saranno mai candidate donne o saranno pochissime”. Questo è il problema, è vero. Ma non lo si risolve inserendo obblighi e percentuali. L’ inserimento obbligatorio dimostra soltanto che il cammino delle pari opportunità è ancora lungo, molto lungo.

    Ho la sensazione che le quote rosa siano soltanto uno specchietto per le allodole. Credo che Angela Merkel o Margareth Thatcher siano arrivate a guidare Germania e Gran Bretagna  grazie alle loro capacità, e non grazie a “posti riservati” in lista.

    Se qualcuno pensa che il mio sia un ragionamento maschilista, rispondo con uno scritto  di Teresa Mattei, una delle persone che hanno scritto la Costituzione Italiana

    “Le donne hanno una mentalità orizzontale: guardano intorno a sé, si tirano sul maniche per fare le cose. Non guardano al potere, quello è un modo di pensare degli uomini. Le donne guardano lontano, ma sempre al loro livello, e questo vuol dire democrazia, vuol dire pace, vuol dire concretezza della vita”.

    E’ profondamente vero, per questo vorrei un Parlamento e un governo pieno di donne, ma che sono lì per meriti propri e non per obbligo di legge.

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  • Uomini, quanto siamo stupidi

    16 gennaio 2014 • Archivio • 11769

    Giulio Cesare, John Fitzgerald Kennedy, Bill Clinton, Silvio Berlusconi…e ora Francois Hollande. E la lista potrebbe continuare con decine di altri nomi.

    Perchè noi uomini ci caschiamo sempre? Perchè non ricordo uno scandalo sessuale in cui ci sia di mezzo una donna di potere?

    Perchè le donne al potere sono pochissime e quindi non se ne ha ricordo per un semplice calcolo delle probabilità…Purtroppo non è così semplice.

    La realtà è che noi uomini siamo proprio degli stupidi, e mi trattengo per educazione. Spesso per una scappatella buttiamo all’ aria storie d’ amore importanti, eppure non riusciamo a trattenerci dal correre dietro una sottoveste. E più si sale la scala del potere, più ci si casca. Giulio Cesare era l’ uomo più potente del mondo ma si lasciò inebriare da Cleopatra e rischiò di perdere tutto. Clinton, per una distrazione sotto la scrivania, ha rischiato l’ impeachment…e così via.

    Sono fatti privati, mi si dirà. Assolutamente sì. Infatti di quello che fanno i potenti sotto le lenzuola non me ne frega assolutamente niente. Ma io, da cittadino, pretendo – e ribadisco, pretendo – che siano e restino fatti privati. Invece ho l’ impressione che l’ inebratura del potere porti certi uomini alla convinzione di poter fare tutto quello che vogliono, impunemente. Sicuri di farla franca e di non dover rendere conto a nessuno (nemmeno alla propria moglie) delle proprie scappatelle. Ed è proprio questo che non accetto. Nella mia ingenua convinzione di democrazia, sogno un potente che sappia dire no a qualsiasi tentativo di corruzione, che decida solo per il bene del Paese. Se invece cede al minimo frusciar di gonne e giarrettiere, comincio ad avvertire qualche perplessità.

    Anche perchè di gallinelle pronte a far girar la testa il mondo è pieno. Purtroppo. E il purtroppo lo dico per voi donne.

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  • Regione Piemonte, che agonia

    11 gennaio 2014 • Archivio • 7036

     Appena saputo dell’annullamento delle elezioni piemontesi decretato a quattro anni dal voto, se fossi Emanuele Filiberto di Savoia chiamerei  i miei avvocati chiedendo di istruire la pratica contro il referendum monarchia-repubblica del ’46. Oppure da cittadino piemontese chiederei la revisione di quel trattato del 24 marzo  1860 quando Cavour cedette alla Francia la Savoia e Nizza con la sua provincia.
    Perché la giustizia in Italia è questa, ed in fondo è quella che meritiamo. Un paese da operetta ha una giustizia da operetta. I giudici sono come i politici, che non sono mai molto meglio o molto peggio della nazione che rappresentano, quanto piuttosto lo specchio fedele.

     Lo voglio dire ben chiaro. Non sto nè dalla parte di Cota nè da quella della Bresso. E senza voler entrare nel merito di una vicenda complicata come quella piemontese, il primo dato che salta agli occhi è infatti questo: com’è possibile la che sentenza del Tar – peraltro non definitiva – arrivi dopo quasi quattro anni dal voto? Scusate, ma per controllare cento, mille, duemila firme, serve tanto tempo? Ci indignamo tanto per gli sprechi delle Regioni  ma qualcuno per cortesia ci può fare il conto di quanto costa all’economia piemontese questo ritardo nella catena decisionale della giustizia amministrativa? Ci sarà qualcuno che pagherà per queste lungaggini e lentezze? Di fronte a tanti dubbi, una certezza: non pagherà nessuno. Pagheranno  i cittadini.

    Negli Stati Uniti – che dicono sia la culla democrazia – nel 2004 la riconta dei voti è durata poche settimane, poi fu decretata la vittoria di Bush su Al Gore. Pochi giorni per dare via libera all’ uomo più potente del mondo.

    Da noi 4 anni e non è ancora finita.

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  • Quel brutto regalo

    27 dicembre 2013 • Archivio • 16791

    Un ricordo di decenni fa. A Natale, da ragazzini era nostra usanza andare a messa di mezzanotte, scambiarci i pacchetti regalo  con gli amici e poi rientrati a casa ognuno, nel segreto della propria camera, se li apriva.  Non dimenticherò mai quell’ anno..

    C’ era una ragazzina per la quale mi ero preso un’ autentica cotta. Il suo pacchetto regalo lo tenni per ultimo e me lo scartai con il cuore in gola.  Che delusione! Mi aveva regalato un paio di calzini bianchi numero 35 (io portavo il 44 di piede) con i ponpon rosa appiccicati dietro…

    Il mattino dopo mi chiese se mi era piaciuto il regalo e di fronte al mio sì con  faccia alquanto perplessa, indagò e scoprimmo così che c’ era stato uno scambio di pacchetti. Il fatto che in giornata mi arrivò il mio vero regalo, non mitigò affatto la delusione provata nella notte…

    Perché questo racconto? Perché a tutti voi sarà capitato di ricevere un brutto regalo, un dono davvero sbagliato.

    Ho letto di una donna che lasciò il marito perché a Natale gli aveva regalato una…betoniera. E te credo…

    E allora raccontate la vostra delusione per  quel pacchetto orrendo che vi è toccato scartare.

    Avete avuto il coraggio di esprimere il vostro disappunto a chi vi fece quel regalo?

    E che fine ha fatto? Il regalo? E il donatore?

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  • TROPPA RABBIA IN GIRO

    14 dicembre 2013 • Archivio • 7948

    A me mi girano, girano, girano…sapessi come mi girano..e un giorno o l’ altro mi scoppiano…e se mi scoppiano sono guai, tu che ridi non lo sai..ridi ridi poi vedrai…

    Cantava così più di 20 anni fa il compianto Gipo, a conferma che la rabbia montava già allora..Ma anche leggendo queste parole si evince che la rabbia si tramutava in fretta in ironia, sarcasmo…

    Oggi c’ è troppa rabbia in giro. E non mi riferisco alla rabbia dei forconi, degli studenti, dei disoccupati. Mi riferisco a quella più spicciola. Alla mamma che strattona il figlioletto inveendo contro la sua pigrizia o i suoi capricci. A quella dell’ automobilista in coda al semaforo. A quella di chi attende il proprio turno alla mutua o alle Poste.Ovunque ti giri vedi solo gente che schiuma di rabbia, con la bava alla bocca, occhi iniettati di sangue e bestemmie a fiumi.  Perchè?  Lo stress, la vita sempre di corsa, gli impegni che si accavallano, l’ insoddisfazione generale, la crisi economica.  Tutto vero, ma….

    Meglio un regalo in meno e un sorriso in più. Se chi riceve un regalo sapesse la rabbia che qualcuno ci ha messo nell’ andarlo a comprare, ci rinuncerebbe volentieri.  La rabbia fa male al fegato, fa diventare brutti, provoca le rughe. Un sorriso invece vince anche la gastrite.

    E poi ricordiamoci che gli anarchici, alla fine dell’ 800, quando venivano arrestati dai regi carabinieri, li guardavano e dicevano

    …una risata vi seppellirà…

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  • Un Natale solidale

    6 dicembre 2013 • Archivio • 9485

    Sono rimasto stupito, piacevolmente. L’ ultimo argomento del blog ha raccolto una marea di commenti, una voglia di esprimere qualcosa sul Natale. Tutti diversi ma tutti uniti da un minimo comune denominatore, il gusto del ricordo e la voglia di sentire calore umano…L’ ultimo intervento, quello di Monica, raccomandava poi che il Natale fosse un giorno speciale..

    Allora, proprio perchè diventi un giorno speciale per tanti non solo per noi, occorre dare una mano a chi fa più fatica. In questi giorni siamo inondati da proposte, iniziative di solidarietà. Io mi permetto di suggerirne alcune.

    1) Il mercatino di Oasi, dall’ 8 al 15 dicembre, tutti i pomeriggi dalle 16 alle 20, a Torino  in via Valentino 18 (angolo via Monfalcone). Oggetti regalo per tutte le tasche e per tutti i gusti: l’ intero ricavato va per le Missioni di don Aldo Rabino in Brasile, nel Mato Grosso.

    2) Il Natale è la festa dei bambini, ma  quelli che soffrono in ospedale? Tante le associazioni si impegnano per loro, tutte meritevoli. Io conosco gli amici di www.unverosorriso.it e sono vicino alle loro iniziative.

    3) E per i malati che Natale sarà? Anche qui tantissime le associazioni: i miei amici lavorano per la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica (hanno anche una pagina su Facebook) e danno speranza a tante famiglie colpite da questa malattia che è davvero bastarda e deve essere sconfitta solo grazie alla ricerca.

    Soltanto qualche suggerimento. Il blog adesso è a vostra disposizione per altre iniziative, altre proposte e altri modi per vivere davvero il Natale. Perchè io sono convinto che si è più felici quando si fa un regalo che piace piuttosto che quando lo si riceve.

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  • Le tradizioni del Natale

    30 novembre 2013 • Archivio • 31784

    Dopo indignazioni e risse in Consiglio regionale, tiriamo un pò il fiato…siamo in dicembre, mese di Natale e allora andiamo incontro a queste feste.

    Quando ero piccolo, mio papà preparava l’ albero di Natale e sotto faceva un piccolo, povero presepe. Io lo arricchivo con soldatini e macchinine da corsa. Da noi non era usanza fare il cenone, anzi la sera del 24 si mangiava poco. Poi io andavo a nanna supereccitato perchè nella notte sarebbe passato Gesù Bambino con i regali che io avrei trovato la mattina del 25. Il pranzo di Natale era rigorosamente sempre uguale: insalata russa, agnolotti,  cappone e panettone.

    E allora, ecco il blog diventa un piccolo sondaggio.

    1) Meglio l’ albero di Natale o il presepe?

    2) Meglio Babbo Natale o Gesù Bambino?

    3) Meglio il cenone o il pranzo di Natale?

    4) Meglio il cappone o il capitone?

    5) Meglio il panettone o il pandoro?

    Rispondete liberamente e arricchite il dibattito anche con altri quesiti o riflessioni. E non dite che non vi piace più il Natale. Tutti sappiamo che il Natale è per i bimbi, per loro è davvero una festa. Quindi rispondete anche per loro.

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