Risale alla fine degli Anni Novanta la decisione di reintrodurre l’ orso nelle montagne del Trentino. Ne furono trasferiti circa una cinquantina dalla Slovenia ai boschi dell’ Adamello e del Brenta. Oggi se ne contano più del doppio, quasi il triplo. Quando furono reintrodotti il 75% della popolazione trentina era favorevole, oggi la medesima percentuale è contraria alla presenza dei plantigradi. Specie dopo la morte del runner e la decisione di abbattere l’ “orso assassino”.
I lupi erano scomparsi dai boschi italiani attorno alla fine dell’ Ottocento. Agli inizi degli Anni Duemila cominciano a rivedersi le prime tracce, forse il proliferare di cani selvatici incrociati con i primi lupi fa sì che oggi se ne contino più di 3mila contro i mille della Francia e i circa cento della Svizzera.
Nel nostro Paese i cinghiali autoctoni vivono solo in Sardegna, mentre nel resto d’ Italia oggi se ne contano quasi 2 milioni e sono i discendenti di quelli introdotti dai Paesi dell’ Est nel dopoguerra e ibridati con i maiali lasciati al pascolo brado.
Insomma, gira che ti rigira, dietro c’è sempre la mano e la volontà dell’uomo. Adesso il coro è unanime: l’ orsa del Trentino che ha assalito il runner va individuata e abbattuta. Senza se e senza ma. E soprattutto senza regolare processo. Poi è intervenuto il Tar e ne ha disposto il trasferimento in una specie di prigione.
Cosa ha fatto di male? Semplicemente, si è comportato da orsa. Forse si è sentito in pericolo, forse aveva paura per i suoi cuccioli, ha visto invaso il suo territorio e ha reagito secondo natura.
Ma è stato l’uomo a riportarlo nei boschi italici e poi pretende che si comporti come un animale di compagnia. E lo stesso dicasi per tutti gli altri animali selvatici. L’uomo vorrebbe piegare la natura ai suoi voleri e ai suoi gusti. Basterebbe lasciare stare gli animali dove sono, e contenere la diffusione con campagne mirate di sterilizzazione. Ma forse tutto ciò è già troppo complicato per la mente umana. Meglio imbracciare un fucile e sparare
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