Bruna ha visto suo papà l’ultima volta il giorno di Natale: hanno pranzato insieme poi il malore, il trasferimento in ospedale, il Covid e, una settimana fa, il decesso. Franca, quando suo marito si è sentito male, ha chiamato l’ambulanza: i sanitari hanno diagnosticato “sospetto ictus”, ospedale, Covid, la morte e la sepoltura. Bruna e Franca non hanno potuto nemmeno vedere i corpi dei loro cari. Sono stati avvolti in un lenzuolo, messi in una bara chiusa e consegnati per i funerali.
E’ uno degli aspetti più devastanti di questa pandemia. Devastante per chi se ne va. Morire da soli, senza il conforto dei congiunti, degli amici, dei figli, dei parenti deve essere davvero terribile. Patire la perdita di un marito, di un genitore, di un amico senza un ultimo commiato è profondamente ingiusto, inaccettabile. Bruna mi ha detto: “Mio papà ha vissuto la sua vita, era anziano, malato, mi aspettavo la sua dipartita. Ma non riesco a darmi pace: non l’ho più potuto vedere da Natale”.
Cesare Pavese la pensa diversamente: “Inutile piangere. Si nasce e si muore da soli” scrive nel romanzo “La casa in collina”. Ma ogni volta che ripenso a mia mamma, mancata quasi 5 anni fa, la mia vera consolazione è ricordare che quando è salita in Cielo io ero accanto a lei, la stringevo e la abbracciavo forte.
Non ci sono solo le colonne di camion militari che nella notte portavano via le bare da Bergamo: ricordate? Un anno fa. Ogni persona che, in questi mesi, chiude gli occhi in un ospedale, è da solo. Senza il conforto di nessuno. E i parenti lo sapranno solo attraverso una fredda telefonata. INGIUSTO!
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