Nell’estate degli scontrini pazzi e delle relative polemiche, è passato – quasi sotto silenzio – un aumento generalizzato dei prezzi per mangiare fuori casa almeno del 15-20 per cento. Tutti a discutere e a polemizzare sul ristoratore che aggiunge 2 euro per tagliare a metà un toast o per portare un altro cucchiaino se il dolce lo consumiamo in due. Tutti pronti a stracciarsi le vesti.
Intanto per pranzare o cenare al ristorante, in pizzeria o in trattoria si debbono scucire dai 35 ai 40 euro a cranio. E mi riferisco a un antipasto seguito da un primo o da un secondo, con un calice di vino o una birra. Sicuramente ci sarà chi ha speso molto di più (un amico ha pagato 95 euro per la sua cena in una masseria del Salento), ma pochi saranno quelli in grado di indicare prezzi più modici. Nelle Marche, nei paesi dell’interno, i prezzi sono ancora contenuti, ma nei locali sul mare il conto medio si aggira attorno ai 40 euro.
In una settimana a Parigi non ho mai speso meno di 35-40 euro a testa, per un piatto e un antipasto o un dessert divisi in due con mia moglie. Ma in Francia lo stipendio medio si aggira sui 2mila euro netti, al mese. Sempre a Parigi non ho trovato un distributore – in agosto – con prezzi della benzina inferiori ai 2 euro al litro.
Una mia amica in Albania ha speso – in ristoranti di pregio, sulla costa – mai più di 20-25 euro a testa, ma in quel Paese lo stipendio medio non arriva a 900 euro.
In Italia lo stipendio medio – secondo l’ Istat – è di circa 1500 euro, ed è cresciuto in un decennio del 12 per cento. Ripeto: in un decennio. I rincari, in un anno, del 20 per cento. Ecco perché mangiare fuori è sempre più salato e quindi sembrerebbe più difficile. Eppure i ristoranti sono quasi sempre pieni.
Come mai? Chissà perché? Forse aveva ragione Trilussa….
Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.
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