Ivrea, Cuneo, Torino, Alessandria, Biella… sono soltanto gli ultimi casi di cronaca che hanno riguardato le carceri piemontesi. Sono in corso indagini della magistratura e – come sempre – lasciamo a chi di dovere il compito di stabilire la verità. Perlomeno la verità giudiziaria.
Perché una verità c’è già. Ed è acclarata. Le nostre carceri non sono degne di un Paese civile. Basterebbero, da soli, i dati sui suicidi in cella: già 75 da inizio anno. Ma anche il sovraffollamento delle nostre prigioni è da terzo o quarto mondo . A fine settembre i detenuti presenti nei 192 istituti di pena italiani erano 61.840 contro i 46.929 posti disponibili, quindi con un indice di affollamento pari al 131 per cento.
In Piemonte stiamo ancora peggio: gli ultimi dati indicano che le persone detenute all’interno dei tredici istituti detentivi regionali sono 4365 a fronte di 2943 posti, con un indice di sovraffollamento del 148,32 per cento. Per quanto riguarda gli agenti, attualmente in Regione sono operative circa 2900 unità e si lamenta una mancanza di circa 500. Emblematico il caso di Torino, dove a fronte di circa 400 detenuti in più rispetto alla capienza prevista, manca circa un centinaio di agenti.
I problemi delle nostre carceri sono cronici: il personale è carente e quindi costretto a turni massacranti, le strutture sono fatiscenti e in condizioni igienico-sanitarie quantomeno discutibili, molti istituti sono senza direttori e il penitenziario di Torino è privo di vicedirettori; poi mancano i ruoli intermedi e risulta quindi risulta inadeguata l’ organizzazione della vita quotidiana dietro le sbarre.
Riabilitazione e rieducazione? Sono soltanto semplici parole.
Recentemente ho visto il film di Marco Risi “Il punto di rugiada” dove due ragazzi, condannati, anziché in prigione vengono mandati a lavorare in una casa di riposo. Ne consiglio vivamente la visione anche a chi è chiamato ad affrontare politicamente e amministrativamente il tema carceri.
“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri” .Le parole di Voltaire oggi suonano come condanna senz’appello della “civiltà” italiana.
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