Un anno fa. Era la notte fra il 23 e il 24 gennaio e a Mondovì, sulla porta di casa del figlio di una deportata in un campo di concentramento, comparvero scritte di chiaro stampo nazista: “Juden here”, “qui ebrei”. Indagini, scandalo, scalpore in tutta Italia.
Ad un anno di distanza la Procura di Cuneo ha chiesto l’archiviazione del caso. Impossibile trovare i colpevoli: “Non c’erano testimoni né videocamere, non avevamo altre informazioni. Abbiamo disposto due consulenze: una chimica e una morfologica. Lo strumento utilizzato era una bomboletta spray di uso comune. Chiunque poteva averla. Quello che è certo, è che la scritta è stata realizzata accuratamente e senza fretta. Non abbiamo avuto nessun riscontro dai gruppi neonazisti individuati. Per questi motivi, ho richiesto l’archiviazione del fascicolo contro ignoti”. Queste le parole del Procuratore capo Onelio Dodero.
Nei giorni scorsi a Torino un ottantenne viene condannato a 9 anni per aver violentato, nel 2006, 15 anni fa, la figlia quarantenne insieme a un paio di amici. L’imputato non ha mai fatto un giorno di galera e mai lo farà perché, in considerazione dell’età, potrà godere di misure alternative e, in attesa della sentenza definitiva della Cassazione, arriverà la prescrizione del reato. Intanto l’uomo è stato accusato di aver abusato di un’altra figlia e di una nipotina. Dal 2006 e per più di una decina d’anni, tutta la vicenda (inchiesta, interrogatori, testimonianze, perizie, insomma l’intero faldone d’indagine) si è arenata in qualche armadio del Palazzo di Giustizia di Torino. E così l’orco resterà impunito e le vittime senza giustizia.
Da quanto sentiamo parlare di riforma della giustizia? Per qualsiasi governo è tra i punti programmatici e fondamentali. Parole che si scontrano con la realtà. E la realtà sono questi due casi di palese sconfitta della giustizia stessa.
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