Recentemente un ragazzo, affetto da una rara malattia genetica, mi ha chiesto aiuto per essere ospite alle trasmissioni di Barbara D’Urso, per raccontare la sua convivenza con questa difficile patologia e sensibilizzare l’opinione pubblica.
“Come facciamo ad andare dalla D’Urso per lanciare un appello al ministro del lavoro Orlando?” mi hanno scritto i lavoratori di una grossa azienda, in crisi da anni e sul precipizio dei licenziamenti.
Sono soltanto gli ultimi esempi delle tante analoghe richieste che mi vengono sistematicamente rivolte.
Fino a poco tempo fa il desiderio era quello di finire su Striscia. Ora l’obiettivo è apparire nella vetrina della Barbarella nazionale.
Non entro nel merito della qualità di questi programmi di cosiddetto infotainment televisivo. Sono invece incuriosito dalla risonanza che hanno assunto.
Qualche anno fa, se volevi raccontare una tua vicenda personale, oppure denunciare un’ingiustizia, parlare della crisi della tua azienda, ti rivolgervi ad un avvocato, a un giornale, concedevi un’intervista ad un TG, aprivi una vertenza sindacale, ti appellavi a qualche associazione di consumatori, chiedervi aiuto a un prete…. Insomma, intraprendevi le canoniche vie per ottenere giustizia e visibilità.
Oggi il tribunale popolare è quello di Barbara D’Urso, o di analoghi programmi RAI.
Segno dei tempi? Mala tempora currunt…
Ma non per colpa di Barbara D’Urso, ma perché le vie di denuncia, normali e ordinarie, hanno perso credibilità.
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