Per lavoro nelle ultime settimane mi è capitato di visitare parecchi ristoranti, bar ed esercizi commerciali. Mi sono imbattuto, sovente, nella scritta “cercasi personale”. E non è un caso perché il fenomeno è assai diffuso in tutta Italia, nelle città turistiche e nelle campagne, nei luoghi di villeggiatura e nelle zone industriali.
“Colpa del reddito di cittadinanza” ripetono tutti, a gran voce. “La gente preferisce stare a casa e percepire 700-800 euro senza far niente, piuttosto che andare a lavorare, quasi sempre di sera e soprattutto al sabato e alla domenica”. Il refrain è scontato, a cantilena.
Ma, forse, non è proprio così. Forse la ragione non è soltanto quella.
Basta cercare qualche informazione e si scopre che quasi nessun locale propone un contratto vero e proprio, che non ci sono orari precisi e che le mansioni variano da esercente a esercente. In media la paga si aggira fra gli 800 e i 1000 euro, più le mance. Si lavora 8-10 ore per sei giorni alla settimana. La chiusura è attorno alla mezzanotte ma se ci sono dei tiratardi si va ben oltre e lo straordinario non viene pagato. Cameriere spesso vuol dire anche fare le pulizie del locale, non soltanto servire ai tavoli. In Italia, quella della mancia, è un’usanza poco praticata, al contrario di altri paesi dove spesso è obbligatoria. Raramente il cameriere è trattato dal cliente con rispetto e stima, molto sovente ci si approccia con superiorità, come se non fosse un professionista, ma una persona al nostro servizio.
Non è così ovunque, sarebbe sbagliato generalizzare, certo. Ma è sbagliato pure liquidare questo fenomeno con la frase “non hanno voglia di lavorare”. Proviamo a pagare il giusto, a offrire contratti dignitosi con orari precisi, introduciamo una mancia garantita sotto la voce “coperto e servizio”, costruiamo rapporti di stima e collaborazione fra cliente e cameriere e poi vediamo se davvero “non si trova personale”.
AI PAUTASSI DI GOVONE, LA LANGA VEGETARIANA Next Post:
SCAFFALE: PALA E TEQUILA DI BEPPE PEZZETTO