Noto ristorante in provincia di Asti. Dopo un sontuoso pranzo, (prezzo concordato 50 euro a testa: giusto) chiediamo una torta e un bottiglia di bollicine per festeggiare un compleanno. Surplus di 80 euro .
Trattoria nell’Albese: in queste settimane di super-afflusso turistico si fanno 3 turni a pranzo, alle 12.30, alle 13.30, alle 14.30. Un’ora esatta per mangiare. E poi via, liberare il posto.
Bar sulle piste di sci in una famosa stazione invernale: l’acqua servita in un bicchiere di plastica. Alla domanda se era possibile averla in vetro, mi è stato risposto che “lavare i bicchieri costa”.
Tre indizi fanno una prova? Speriamo di no, anche se cominciano a essere parecchi gli operatori del settore, i turisti, gli osservatori che storcono il naso sulla deriva che sta prendendo il turismo in Piemonte. Per decenni siamo stati regione negletta, quasi del tutto sconosciuta ai flussi di visitatori. Recentemente invece c’è stata un’ inversione di tendenza al punto da far dire a qualcuno che ”occorre mettere il numero chiuso ai turisti, come a Venezia”.
Ma siamo matti? Significherebbe perdere quella genuinità – non solo nei cibi e nei vini, ma nella spontaneità della gente – che è l’arma vincente per il turismo piemontese. Chi sceglie le nostre province lo fa perché sa di essere accolto con cortesia, a prezzi competitivi e per potersi godere un sano relax. Se si perdono queste caratteristiche si rovina il DNA della nostra accoglienza e ospitalità.
Fermiamoci, prima che sia troppo tardi. Ristoratori, albergatori, baristi, tour operator si facciano un sano esame di coscienza: i grandi numeri fanno sicuramente gola a tutti, ma possono diventare un boomerang. Se il turista è accolto bene, torna e fa buona propaganda fra amici e conoscenti. Altrimenti lo freghi una volta, e basta.
E così si rompe il giocattolo.
IL CAMINETTO, RISTORANTE NEL CUORE DI OROPA Next Post:
AGNOLOTTI E STUFATO D’ ASINO, A CALLIANO E NEL MONFERRATO