L’anno scorso i morti in Italia a causa di incidenti stradali sono stati 2.875. Cioè più di 7 vittime al giorno. E quest’ anno davvero sembra non andare meglio, se si pensa che fino a ottobre, nella sola provincia di Cuneo, si contavano già 41 incidenti mortali.
Una strage silenziosa a cui ci siamo abituati. Sembra una striscia di sangue infinita che, però, non impressiona neppure più. Invece dietro questi freddi numeri ci sono vite spezzate, lacrime, dolore. Registriamo clamore, sgomento e titoloni di fronte a casi eclatanti, come il ragazzo diciottenne ucciso a Roma sul marciapiede, travolto da una vettura guidata da una donna ubriaca, a cui avevano – in passato – già ritirato la patente, ma poi tutto torna nella quotidianità. Un trafiletto in cronaca locale.
Sembra di trovarsi di fronte a una tragedia scontata. E invece non è così. Non può essere così. La Stampa di Cuneo ha avviato una raccolta firme per la messa in sicurezza della rete viaria della Provincia Granda. C’è chi propone l’estensione dei limiti dei 30 chilometri orari in un maggior numero di strade e vie, dentro e fuori città. Chi chiede un ulteriore inasprimento delle pene per infrazioni gravi.
Tutto fattibile e necessario, ma – credo – si debba affrontare questo dramma anche da un punto di vista culturale ed educativo. Il mito dello sballo e della velocità hanno pervaso le generazioni più giovani. Più controlli certamente, ma anche più educazione civica e stradale. Pene severe servono? Forse. Ma sarebbe più utile far trascorrere giornate e nottate nei Pronto Soccorso degli ospedali a chi ha commesso infrazioni pesanti, come guidare sotto stato di ebrezza da alcool o droghe: vedere con i propri occhi e toccare con mano, le conseguenze di certi gesti scellerati, è certamente di maggior insegnamento che sei mesi senza patente. Anche perché “in quei mesi punizione ho bevuto ancora di più, tanto non dovevo guidare”. Sentito con le mie orecchie.
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