A destare scalpore è stato il caso di Davide Rebellin, perché atleta vincente, famoso. E da quel tragico caso, si è riaperto il dibattito sulla sicurezza per chi viaggia su due ruote nelle nostre strade. I numeri sono allarmanti: nel 2021 sono morte oltre 200 persone in bicicletta; ogni 35 ore, in Italia, un ciclista viene ucciso, una fotografa per difetto, in quanto non vengono conteggiate le vittime di incidenti stradali che muoiono settimane dopo il tragico evento, a causa delle ferite riportate.
Mancano dati precisi sul numero di investimenti in città e fuori dai centri abitati, ma basta un dato per capire qual è la situazione italiana. Le principali 14 città metropolitane hanno in media appena 1,5 chilometri di ciclabili per diecimila abitanti, un quarto delle città capoluogo non raggiungono il chilometro. A Helsinki, per fare un paragone, ci sono 20 chilometri, mentre Amsterdam e Anversa arrivano a 15.
Ma non è soltanto un problema di assenza di piste ciclabili. Quelle esistenti sono spesso pericolose perché progettate e realizzate male.
Poi ci sono la maleducazione, la guida spericolata, il mancato rispetto del codice della strada da parte degli automobilisti. Tutto vero, da sottoscrivere.
In un recente incontro, però, Filippo Ganna, plurimedagliato della bici ha così tuonato: “Prendiamoci le nostre responsabilità. Quante volte, spesso di domenica, mentre mi alleno su strade provinciali e statali, incrocio gruppi di ciclisti che viaggiano in fila per tre, o addirittura per quattro. Io gli urlo dietro, impreco”. Aggiungendo poi che occorre imparare ad andare in fila indiana, a rispettare le regole della strada, a non occupare il centro carreggiata, a non fare manovre imprudenti, a non viaggiare di notte o nella nebbia senza gli opportuni strumenti di visibilità. E se lo dice il più veloce ciclista al mondo.
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