A una giovane donna (a me molto cara), insegnante di sostegno e precaria nella scuola elementare statale, non è stata rinnovato l’incarico per quest’anno scolastico perché si è diffusa la voce che fosse incinta, nonostante mancassero molti mesi al periodo di permesso per maternità. Non sono rari i casi di ragazze a cui, al primo colloquio per assunzione, venga ancora chiesto se è sposata e se intende avere figli.
Riflettendo su questi fatti mi imbatto nella notizia che – certificato dall’ Istat – in questa estate 2023 in Italia i single hanno superato le coppie: in base all’ultimo rapporto annuale chi vive da solo rappresenta il 33,2 per cento della popolazione contro il 31,2 delle coppie.
Sommando questi due dati capisco perché l’Italia resti uno dei paesi d’Europa con il più basso dato di natalità. 1,25 nascite per donna, davanti solo alla Spagna con 1,19 e Malta ultima con 1,13.
L’ inversione di questa rotta, per cui presto saremo un paese di vecchi, non può arrivare solo con i soldi, cioè con un maggior sostegno economico. Non è vero che non si fanno figli perché non si hanno soldi: mia nonna, che è vissuta all’epoca della Malora di Beppe Fenoglio, partorì e crebbe 7 figli.
La risposta deve essere soprattutto culturale e sociale: una nascita deve essere vissuta come un dono, cioè proprio come si diceva un tempo come un lieto evento. E invece sembra che l’annuncio di una gravidanza sia quasi una tragedia.
E invece, qualsiasi governo, per invertire la tendenza della denatalità – nelle varie proposte che ho letto – mi pare ragioni sempre e solo in termini economici.
Dare più soldi alle madri, aumentare gli assegni famigliari, regalare qualche settimana di permesso in più per i padri…. Forse ha preso alla lettera quel detto piemontese per cui “i figli si comprano”….
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