Il grissino è uno dei prodotti più noti e diffusi della gastronomia italiana nel mondo, ed è torinese. Non ha bisogno di leggende o racconti per affermare la sua identità, si conosce persino l’anno della nascita 1679 e il nome del “papà” Antonio Brunero, perché il grissino è storia e ha contribuito a fare la storia.
Nel 1666 il ducato di casa Savoia e la città di Torino furono allietati dalla nascita del piccolo Vittorio Amedeo II, ma la gioia durò poco, il bambino era di salute cagionevole: fragile e delicato sembrava sempre a un passo dalla morte. Nel 1668 la sua vita fu considerata talmente in pericolo da indurre il padre ad organizzare un’ostensione straordinaria della Sindone per invocare un aiuto divino per la sua guarigione, il piccolo la scampò ma non fu mai un bambino scoppiettante di salute.
Verso i dieci anni il duca si ammalò nuovamente in modo grave, il padre era morto da poco e così la madre, Maria Giovanna Battista di Nemours, diede incarico al medico di corte, Teobaldo Pecchio di Lanzo Torinese, di trovare una cura per il figlio. Dopo molte prove, visite e consulti, il medico ricordò di aver avuto in giovane età parecchi disturbi simili a quelli del duca: disturbi digestivi, causati da intossicazioni alimentari dovute alla probabile scarsa igiene dei luoghi dove i cibi erano preparati. La madre del medico aveva trovato il modo per nutrirlo e farlo crescere in salute, anziché il pane comune gli proponeva del pane ben lievitato impastato con pochissima acqua, croccante e privo di mollica. Il medico si rivolse quindi al panettiere di casa Savoia, che forniva il tipico pane di forma allungata dell’epoca: la Ghersa, fece separare l’impasto in tante striscioline da allungare con il movimento delle mani, una volta cotte diventarono dei bastoncini appena dorati, con assenza totale di acqua e molto croccanti. Erano nati i grissini.
Il dottor Pecchio buttò medicamenti e pozioni e alimentò il giovane duca con i grissini. Vittorio Amedeo II superò le difficoltà di stomaco, il giovane fisico si ristabilì e nel 1713 divenne il primo Re sabaudo.
Il grissino, in breve tempo, diventò il pane preferito in casa Savoia: Carlo Felice era solito sgranocchiare grissini ai concerti del Teatro Regio e la principessa Felicita si fece ritrarre con un grissino in mano. Con l’arrivo di Napoleone i grissini valicarono le Alpi, l’imperatore era ghiottissimo di quelli che lui chiamava “Le petits batons de Turin”, tanto da far istituire un servizio postale che gli facesse arrivare da Torino una fornitura quotidiana dei prelibati grissini.
La forma di grissino più antica è sicuramente il robatà, di lunghezza variabile tra i 40 e gli 80 cm, è riconoscibile per le caratteristiche nodosità dovute alla lavorazione a mano. Il robatà di Chieri è inserito nella lista “prodotti agroalimentari tradizionali italia” del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Anche il grissino stirato gode di tutela, di più recente creazione, e si distingue dal robatà in quanto la pasta, anziché essere allungata mediante arrotolamento e leggero schiacciamento manuale, viene distesa tenendola per i capi e facendola muovere fino al raggiungimento della larghezza delle braccia del panificatore. Il prodotto risulta quindi più friabile; inoltre, questo metodo ha consentito la lavorazione meccanizzata fin dalla fine del 1700.
Patrizia Durante
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