Proprio nella settimana della tragedia della Marmolada ero sulle Dolomiti, esattamente a Canazei. E il giorno prima della sciagura ero salito a uno dei rifugi dove fanno tappa gli alpinisti esperti prima di dirigersi sul ghiacciaio e in cima alla vetta regina delle Alpi Trentine. Forse, casualmente, ho incontrato qualcuna delle vittime.
Prego, comunque, per tutti loro.
Questa coincidenza non mi autorizza a esprimere giudizi, sentenze, pareri per nulla più illuminati di altri. Non posso nemmeno dire che a me non sarebbe successo, perché non sono uno scalatore così esperto e quindi non avrei affrontato quell’ escursione. Il giorno prima mentre salivo verso il rifugio Vajolet (le mie gite in montagna hanno perlopiù scopi enogastronomici!!!) a un certo punto ho sentito gridare sopra la mia testa ”attenzione…sassi…sassi”. Poco dopo una scarica di pietre si è abbattuta sul nostro largo sentiero. Potevano investirci e farci male. Quindi, la tragedia è dietro l’angolo, può succedere ovunque, anche durante la più tranquilla passeggiata.
Ma il giorno che ero al rifugio verso la Marmolada a mezzogiorno c’erano 30 gradi a 2mila metri. La totale assenza di neve dell’ultimo inverno metteva in mostra il ghiacciaio nudo, esposto al forte calore del sole. Si poteva prevedere il distacco del saracco? Impossibile dare una risposta.
Quel che è certo è che non c’era alcun divieto a salire. E oggi ci si domanda: servono i divieti, le limitazioni? Al mare quando viene esposta la bandiera rossa è vietato fare il bagno, ma c’è chi si tuffa ugualmente. Per agevolare i soccorsi, nei giorni successivi la tragedia, il sindaco di Canazei ha disposto lo stop al transito sulla Marmolada, ma c’è chi ugualmente ha cercato di salire sul ghiacciaio. Insomma, sembra impossibile frenare o limitare l’ incoscienza umana.
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